CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 novembre 2018, n. 30036
Tributi – Accertamento – Riscossione – Sconti su crediti derivanti da operazioni di factoring
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 208/06/2010, depositata in data 22 novembre 2010, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio, accoglieva parzialmente l’appello proposto da A. s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 256/06/2008 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva rigettato il ricorso della società contribuente avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva contestato nei confronti di quest’ultima maggiore materia imponibile ai fini Irpes, Irap, Iva e ritenute alla fonte, per l’anno di imposta 2004, in conseguenza al disconoscimento degli sconti superiori al 12% sulle vendite di auto nuove, alla applicazione di una percentuale di ricarico pari al 21,96% relativamente alle cessioni di auto usate, al recupero a tassazione, ai sensi dell’art. 37bis del d.P.R. n. 600 del 1973, degli sconti su crediti derivanti da operazioni di factoring nonché all’applicazione delle ritenute d’acconto sugli interessi passivi dei finanziamenti effettuati dai soci alla società contribuente.
2. La CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) l’avviso di accertamento aveva chiaramente enunciato i principi posti a base delle varie contestazioni e si componeva di una parte motivazionale e di una parte relativa ai conteggi; 2) sia dal p.v.c. che dall’atto impositivo risultava una precisa ricostruzione dei fatti contestati per cui, anche se da quest’ultimo non si evinceva alcun riferimento all’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, era rimessa al giudice l’individuazione delle norme applicabili alla fattispecie sulla base dei fatti sottoposti al suo giudizio; 3) quanto al motivo di appello concernente l’assunta nullità dell’avviso di accertamento ex art. 37bis, comma 5, del d.P.R. n. 600 del 1973, per omessa valutazione, con riguardo ai rilievi n. 3 e 4 – inerenti il recupero a tassazione degli sconti sui crediti derivanti da operazioni di factoring e l’applicazione delle ritenute d’acconto sugli interessi relativi a finanziamenti fruttiferi dei soci – delle osservazioni formalmente addotte dalla società, la sentenza impugnata aveva, anche se implicitamente e sinteticamente, affrontato tutti i punti essenziali della controversia, e in ogni caso, nel “tenuto conto” della motivazione dell’avviso di accertamento erano state riportate le osservazioni del contribuente e nel “considerato” le ragioni del loro mancato accoglimento; 4) quanto al motivo di appello concernente l’assunta inesistenza, trattandosi di accertamento analitico-induttivo, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni addotte dall’Ufficio, con riguardo ai presunti maggiori ricavi per cessioni di auto nuove ed usate, a) gli sconti recuperati sulla vendita delle auto nuove erano stati riscontrati su 191 casi per il 2003, e 200 casi per il 2004 ed erano risultati notevolmente superiori alla prassi commerciale del settore, in aggiunta alla applicazione di altre agevolazioni; b) le perdite dichiarate per la cessione delle auto usate erano notevoli, avuto riguardo ai tempi ravvicinati tra acquisto e rivendita, ai criteri prudenziali per valutare l’usato in acquisto e alla divergenza tra quanto dichiarato e 17 contratti in corso; 5) era da accogliere il motivo di appello concernente la ripresa a tassazione degli sconti sui crediti derivanti da operazioni di factoring, dato che il vantaggio della liquidità poteva essere compensato con il costo dell’operazione; 6) la materiale erogazione degli interessi sui finanziamenti dei soci non era presupposto necessario per la ritenuta d’acconto; 7)era inammissibile il motivo di appello concernente erroneità della pronuncia della CTR in ordine alla riscontrata mancata produzione in giudizio da parte della società contribuente di documentazione fiscale;
3.Avverso la sentenza della CTR, la A. s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate, articolando ricorso incidentale, affidato a due motivi. Resiste al ricorso incidentale, la società contribuente con controricorso.
4. A. s.r.l. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. insistendo nelle conclusioni del ricorso principale e del controricorso al ricorso incidentale.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso principale, la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 42, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, 3 della legge 241 del 1990 e 7 della legge n. 212 del 2000, per avere la CTR erroneamente ritenuto valida la motivazione per relationem dell’avviso di accertamento, ancorché quest’ultimo non evidenziasse né il tipo né la natura della verifica fiscale espletata dall’Ufficio.
1.1. Il motivo è infondato.
In base ad indirizzo giurisprudenziale consolidato, l’onere dell’Ufficio di mettere in grado il contribuente, attraverso la motivazione dell’atto impositivo, di conoscere le ragioni della pretesa tributaria, può essere assolto per relationem mediante il riferimento a elementi offerti da altri documenti conosciuti o conoscibili dal destinatario, come il processo verbale di constatazione della Guardia di finanza che sia stato notificato o consegnato al contribuente; né un tale rinvio può considerarsi illegittimo, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (v. e plurimis Cass. n. 28061 del 2017; Cass. 13/10/2011, n. 21119; Cass. 10/02/2010, n. 2907).
Inoltre, in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7, comma 1, della L. n. 212 del 2000, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione. Parimenti l’art. 42, secondo comma, ultima parte, del d.P.R. n. 600 del 1973, stabilisce che solo se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale (Cass. n. 28713 del 2017; n. 18073 del 2008; n. 407 del 2015). Nella specie, CTR si è attenuta ai suddetti principi, in quanto, ha precisato che, ancorché l’avviso di accertamento impugnato richiamasse il previo p.v.c., il medesimo chiaramente enunciava “i principi posti alla base delle varie contestazioni” e si componeva di una “parte motivazionale di sei pagine” nonché di una “parte relativa ai conteggi di tredici pagine”.
2. Con il secondo motivo del ricorso principale, la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 112 c.p.c., per avere la CTR, pur ammettendo la mancata indicazione nell’atto impositivo di alcun riferimento normativo al criterio utilizzato dall’Ufficio ai fini dell’accertamento, erroneamente rigettato il motivo di appello concernente la assunta erronea ricostruzione dei fatti di causa e qualificazione dell’accertamento come induttivo da parte del giudice di primo grado, legittimando in tal modo una indebita “riqualificazione” da parte di quest’ultimo dell’accertamento mediante un titolo diverso da quello adottato dall’Ufficio;
2.1. In disparte l’avere evocato congiuntamente la violazione dei n. 3 e 5 del comma 1, dell’art. 360 c.p.c. senza che nella parte argomentativa fossero state sviluppate le ragioni a sostegno dell’una e dell’altra censura, il secondo articolato mezzo di impugnazione è infondato.
Infatti, il motivo muove dall’erroneo presupposto che al giudice tributario sia preclusa la facoltà di autonoma qualificazione dei fatti di causa – nella specie, di ritenere essersi trattato di un accertamento induttivo – mentre, invece, «il principio secondo cui le ragioni poste a base dell’atto impositivo segnano i confini del processo tributario, il cui carattere impugnatorio comporta che l’ufficio finanziario non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse da quelle fatte valere con l’atto impugnato, non esclude il potere del giudice di qualificare autonomamente la fattispecie a prescindere dalle allegazioni delle parti in causa, né l’esercizio di poteri istruttori d’ufficio, nei casi previsti dalla legge, non potendo ritenersi che i poteri del giudice tributario siano più limitati di quelli esercitabili in qualunque processo d’impugnazione di atti autoritativi, quale quello amministrativo di legittimità» (Cass. n. 20027 del 2017; 7393 del 2012; conf. Cass. n. 20398 e n. 22932 del 2005 nonché n. 21221 del 2006).
Nella specie, giudice di appello ha fatto buon governo dei suddetti principi avendo – dopo avere precisato che, sia nel p.v.c. che nell’avviso di accertamento, risultava una precisa ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione – ricondotto la autonoma qualificazione della fattispecie al potere del giudice di merito.
Da qui anche la irrilevanza, a tal fine, della riscontrata mancata indicazione nell’avviso di accertamento della indicazione del riferimento normativo all’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973 .
3. Con il terzo motivo del ricorso principale, la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di dichiarare la nullità della sentenza di primo grado ex art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul motivo di ricorso concernente la dedotta illegittimità ex art. 37bis del d.P.R. n. 600 del 1973 dell’avviso di accertamento, quanto alla ripresa degli sconti sui crediti derivanti da operazioni di factoring e al recupero della ritenuta di acconto sugli interessi sui finanziamenti dei soci, nonché al motivo di ricorso sull’inapplicabilità delle sanzioni.
3.1. Al riguardo, la ricorrente deduce che la CTR, pur riconoscendo, nel richiamare l’effetto devolutivo dell’appello, l’omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado sulle suddette censure, avrebbe erroneamente omesso di dichiarare la nullità della sentenza di primo grado.
3.2. In disparte il profilo di inammissibilità per avere la ricorrente richiamato congiuntamente i numeri 3, 4 e 5 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c., la censura non coglie la ratio decidendi avendo la CTR, lungi dal riconoscere l’omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado, affermato che quest’ultimo sia “pure implicitamente e sinteticamente” aveva affrontato tutti i punti essenziali della controversia.
3.3. Nel merito la censura è comunque infondata.
Va rammentato, al riguardo, che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancanza di espressa statuizione sul punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (v. in particolare, Cass. n. 5351 del 2007, che ha ravvisato il rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame), ed inoltre che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, e dovendo pertanto escludersi il suddetto vizio quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass. n. 10636 del 2007), dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 1237 del 2018; n. da 21424 a 21428 del 2017, n. 17956 del 2015, n. 20311 del 2011).
Nella specie la CTR si è attenuta ai suddetti principi, avendo escluso il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su entrambe le censure, per avere quest’ultimo, sia pure implicitamente e sinteticamente” affrontato tutti i punti essenziali della controversia”, svolgendo poi, nel richiamare l’effetto devolutivo, sostanzialmente ad abundantiam, i rilievi circa la completezza motivazionale (nel “tenuto conto” e nel successivo “considerato”) dell’avviso di accertamento in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente.
4. Con il quarto motivo del ricorso principale, la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, commi 3 e 5 c.p.c., la violazione dell’art. 2729 c.c. per avere la CTR, nel rigettare il motivo di appello concernente la assunta illegittimità della decisione di primo grado per insussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni poste a fondamento della verifica fiscale in ordine alla cessione di auto nuove ed usate, erroneamente ritenuto legittimo l’espletato accertamento, ancorché gli elementi presuntivi posti alla base dello stesso non rivestissero il carattere della gravità, precisione e concordanza.
In particolare, la ricorrente deduce l’erroneità della sentenza della CTR per avere confermato la legittimità dell’accertamento sulla base di presunzioni che apparivano ” abbastanza precise, concordanti e verosimili”, ancorché vertendosi in tema di accertamento analiticoinduttivo, le stesse dovessero rivestire i caratteri della gravità, precisione e concordanza.
4.2. In disparte l’evocazione congiuntamente del n. 3 e del n. 5 del comma 1, dell’art. 360 c.p.c. senza che nella parte argomentativa siano state sviluppate le ragioni a sostegno dell’una e dell’altra censura, il motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi, per avere la CTR, nel confermare, per quanto di interesse, la sentenza di primo grado, avallato la riconduzione dell’accertamento da quest’ultima effettuata nelle maglie di quello induttivo ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, che può basarsi anche su presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
5. Con il quinto motivo del ricorso principale, la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, commi 3 e 5 c.p.c., la violazione dell’art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 600 del 1973, per avere la CTR, nel disattendere il relativo motivo di appello, erroneamente ritenuto che la materiale erogazione degli interessi non fosse presupposto necessario per la ritenuta d’acconto.
5.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha difatti già avuto occasione di chiarire che, in tema d’imposta sul reddito delle persone giuridiche, la dimostrazione della mancata percezione degli interessi attivi sulle somme date a mutuo incombe sul contribuente, già per il carattere normalmente oneroso del contratto di mutuo, quale previsto dall’art. 1815 c.c., nonché in virtù della presunzione fissata dal 2° comma dell’art. 45 del d.P.R. n. 917/86 (arg. ex Cass. 7 ottobre 2015, n. 20035; 21 aprile 2010, n. 9469). Di qui la conseguenza che la società di capitali che abbia ricevuto somme di denaro a titolo di mutuo dai propri soci ha l’obbligo di effettuare la ritenuta d’acconto sugli interessi quali corrispettivi dovuti ai soci mutuanti in conseguenza del finanziamento, ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n. 600/73, non solo nel caso in cui la corresponsione dei suddetti interessi sia effettivamente avvenuta, ma anche quando essa sia soltanto presunta dalla legge (Cass. n. 3819 del 2018; n. 15868 del 2009; 16821 del 2007). Nella specie, la CTR si è attenuta ai suddetti principi per avere correttamente ritenuto – nel confermare la ripresa della ritenuta d’acconto sugli interessi passivi dei finanziamenti concessi dai soci alla società contribuente – che la materiale erogazione degli interessi non costituisse presupposto necessario per la ritenuta d’acconto.
6. Con il sesto motivo del ricorso principale, la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, commi 3 e 5 c.p.c., la violazione dell’art. 2697 c.c. per avere la CTR confermato, per quanto di interesse, la sentenza di primo grado che aveva ritenuto erroneamente non assolto l’onere della prova da parte della società contribuente per mancata produzione di documentazione fiscale rilevante.
6.1.La censura è inammissibile non avendo la ricorrente colto il decisum, per avere la CTR sul punto dichiarato inammissibile l’appello della ricorrente in quanto “del tutto irrilevante in relazione a quanto precedentemente esposto”, e dunque, in sostanza, per difetto sopravvenuto di interesse alla luce di quanto osservato in merito agli altri motivi di gravame.
7. Con il primo motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 37bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 66 e 71 del d.P.R. n. 917 del 1986, per avere la CTR erroneamente accolto – escludendo la configurabilità di una fattispecie elusiva ai sensi dell’art. 37bis cit. – il motivo di appello della società contribuente in ordine alla dedotta illegittimità della ripresa a tassazione degli sconti su crediti derivanti da operazioni di factoring, ancorché le dette perdite non risultassero da “elementi certi e precisi” di cui all’art. 66 cit., per essere state le cessioni effettuate contestualmente alla stipula dei contratti di vendita di autoveicoli ai debitori ceduti, in assenza di rischi di insolvenza, al fine di ottenere un finanziamento indiretto.
8. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, la Agenzia denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. la insufficiente motivazione della sentenza impugnata circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, per non avere la CTR sufficientemente argomentato in ordine alla sussistenza nella specie dei presupposti per la deducibilità delle perdite su crediti.
9. Il secondo motivo del ricorso incidentale è fondato.
In tema di imposte sui redditi di impresa, grava sul contribuente l’onere di fornire la prova della deducibilità delle perdite su crediti ritenuti dal Fisco indeducibili, dimostrando la natura di componenti negative del reddito d’impresa, sulla base di elementi certi e precisi o, in alternativa, la prova dell’assoggettamento a procedure concorsuali, dovendosi ritenere, al contrario, insuperabile l’accertamento da parte del Fisco della indeducibilità, particolarmente se basato su contestazioni specifiche e minuziose in ordine a crediti specificamente determinati (Cass. n. 7032 del 2018; n. 447 del 2015; Cass. n. 16823 del 2014).
Quanto al dedotto vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ., lo stesso si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. n. 30822 del 2017; Cass. n. 19547 del 2017; n. 15489 del 2007).
La CTR non ha fatto buon governo dei suddetti principi, in quanto, a fronte della contestazione dell’Ufficio circa la mancata prova da parte della contribuente dell’esistenza delle asserite perdite su crediti, quali componenti negativi del reddito di impresa – con una motivazione sul punto scarna e non esente da vizi logici-giuridici, in violazione del criterio distributivo dell’onere della prova, ha ritenuto in violazione del criterio distributivo dell’onere della prova, ha ritenuto illegittima la ripresa a tassazione, in presenza di un “valido motivo economico” ravvisato nelle attuate operazioni di factoring, stante la avvenuta compensazione tra la liquidità ottenuta e il costo dell’operazione.
10. L’accoglimento del secondo motivo di ricorso rende inutile la trattazione del primo con assorbimento dello stesso.
11. In conclusione, va accolto il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbito il primo e va rigettato il ricorso principale; con cassazione della sentenza impugnata, in relazione al ricorso incidentale, e rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, affinché esamini il merito della vicenda.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale; assorbito il primo motivo del ricorso incidentale, e rigetta il ricorso principale della società contribuente; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso incidentale e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lazio, in diversa composizione.
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