CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 novembre 2019, n. 30420
Procacciatore di affari – Contributi fondo commercianti – Versamento – Qualificazione di rapporto di agenzia
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di rigetto dell’opposizione di A.F. avverso il verbale ispettivo con il quale gli era stato contestato di aver esercitato attività di procacciatore di affari dal novembre 2001 in favore di diverse aziende senza aver versato al fondo commercianti i contributi pari ad Euro 12.766,00.
La Corte ha ritenuto in primo luogo infondata la dedotta nullità della sentenza di primo grado in quanto asseritamente depositata il giorno dopo. A riguardo la Corte ha riferito che la sentenza, emessa ex art. 281 sexies cpc, era allegata al verbale di udienza e per tale ragione non recava alcuna data di deposito e che la circostanza del deposito il giorno dopo avrebbe dovuto essere oggetto di querela di falso.
Quanto alla mancata iscrizione del F. nell’elenco degli esercenti attività commerciale ha rilevato che tale iscrizione non aveva valore costitutivo,costituendo solo fonte di una presunzione di esplicazione di attività continuativa.
Ha affermato, inoltre, che la qualificazione di rapporto di agenzia operata dal primo giudice, sebbene il verbale ispettivo qualificasse il rapporto di procacciatore d’affari , non costituiva mutamento d’ufficio della causa petendi.
Ha rilevato, infatti ,che l’attività lavorativa, di promozione degli affari oggetto di imposizione contributiva era la stessa nell’agenzia e nell’attività di procacciatore ed era tale attività a costituire presupposto di insorgenza dell’obbligazione contributiva mentre le modalità di espletamento dell’incarico, quale agente o procacciatore, erano irrilevanti ai fini dell’obbligo di iscrizione al fondo commercianti, allorché detta attività venga svolta con continuità e sia fonte di reddito.
Infine ha rilevato che la pretesa contributiva rimaneva identica sia che si trattasse di agenzia sia di procacciatore d’affari.
2. Avverso la sentenza ricorre il F.. Resiste l’Inps.
Ragioni della decisione
3. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 281 bis cpc nella parte in cui la Corte aveva escluso la nullità della sentenza per omessa attestazione del cancelliere della data di deposito della sentenza e nella parte in cui la Corte ritiene che il verbale d’udienza cui è allegata la sentenza attesti il deposito della sentenza alla data di redazione del verbale.
Rileva che la data di deposito è diversa da quella di pubblicazione che la cancelleria deve apporre dando notizia alle parti costituite (in quanto la presunzione di conoscenza era applicabile alle sole ordinanze e non alle sentenze).
4. Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 1742 e 2222 c.c., del d.lgs. n. 124/2004, dell’art. 13 L. 683/1983 di conv, D.L. n. 463/1983dell’art. 3, leet. B) comma 10 L. n. 683/1983, dell’art. 14 L. n. 689/1981 del combinato disposto dell’art. 1 L. n. 1397/1960 e dell’art. 1 L. n. 613/1966, dell’art. 29 L. 160/1975 e succ modifiche, dell’art. 112cpc.
Osserva che l’accertamento di un’attività lavorativa come agente di commercio invece che come procacciatore costituiva mutamento della causa petendi; che il giudice non avrebbe potuto sostituirsi agli ispettori dell’Inps e discostarsi da quanto accertato dagli stessi; con la conseguenza che avrebbe dovuto dichiarare illegittimo l’accertamento ispettivo . Deduce che il F. non era iscritto in alcun elenco nominativo degli esercenti attività commerciali e, pertanto, non era tenuto ad alcun pagamento dei contributi relativi.
5. Il ricorso è infondato.
Per quanto attiene al primo motivo,va esclusa la sussistenza di un’ipotesi di nullità che avrebbe imposto alla Corte d’appello la rimessione al primo giudice, in quanto gli artt. 353 e 354 cpc individuano tali ipotesi di rimessione al primo giudice e tra queste non vi è la mancata indicazione della data di deposito della sentenza. Va rilevato, inoltre, che la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., integralmente letta in udienza e sottoscritta dal giudice con la sottoscrizione del verbale che la contiene, deve ritenersi pubblicata e non può essere dichiarata nulla nel caso in cui il cancelliere non abbia dato atto del deposito in cancelleria e non vi abbia apposto la data e la firma immediatamente dopo l’udienza. Questa Corte ha precisato, infatti, a riguardo (cfr Cass 22519/2018) che “la previsione normativa dell’immediato deposito in cancelleria del provvedimento è finalizzata a consentire, da un lato, al cancelliere il suo inserimento nell’elenco cronologico delle sentenze, con l’attribuzione del relativo numero identificativo, e, dall’altro, alle parti di chiederne il rilascio di copia, eventualmente, in forma esecutiva“
6. Quanto agli altri motivi di censura va rilevato che ciò di cui si discute, nella fattispecie, è l’obbligo del ricorrente di iscriversi alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali e pagare i relativi contributi pretesi dall’Istituto in quanto, come affermato dalla Corte d’appello, il procacciatore d’affari, come l’agente, ben può assumere la qualifica di imprenditore commerciale quando detta attività venga svolta in via continuativa e sia fonte di reddito, vi sia cioè l’esercizio continuativo, prevalente ed abituale di attività commerciale. Nella specie, come accertato dagli ispettori con il verbale ispettivo del 11/12/2006, il F. esercita attività commerciale con occupazione prevalente e abituale e tale circostanza neppure viene contestata dal ricorrente, che formula censure relativi alla natura di agente o di procacciatore d’affari, senza invece proporre censure circa lo svolgimento di attività commerciale o la sussistenza delle caratteristiche perché sussista l’obbligo di iscrizione al fondo esercenti attività commerciale presso l’Inps ed a pagare i relativi contributi.
7. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna a pagare le spese processuali.
Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, dpr n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge nonché Euro 200,00 per esborsi. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del dpr n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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