CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 ottobre 2019, n. 26766

Lavoro – Patologie di origine professionale – Danno biologico da invalidità permanente, danno morale e danno esistenziale – Accertamento della responsabilità

Fatti di causa

1. M. B. e L. B. convenivano in giudizio F. F. per i Settori Industriale e dei Servizi s.p.a. (già N. C. s.p.a.), Ing. V. R. s.r.l. (già Impresa L. G.) e M. S. e A. G. quali socie illimitatamente responsabili e legali rappresentanti della società S. e B. s.n.c. chiedendo l’accertamento della loro responsabilità in ordine alle patologie di origine professionale contratte dal padre V. B. in conseguenza dei periodi lavorativi prestati alle dipendenze delle indicate società e la condanna delle stesse al risarcimento iure hereditatis del danno biologico da invalidità permanente, danno morale e danno esistenziale sofferto dal congiunto nonché al risarcimento iure proprio del danno morale, psicofisico ed esistenziale ed al pagamento di € 8.000,00 a titolo di spese funerarie affrontate per il decesso del padre.

2. Il Tribunale ha respinto la domanda.

3. La Corte di appello di Torino, in parziale riforma della decisione, nel resto confermata, ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva delle convenute M. S. e A. G..

4. Il giudice di appello, per quel che ancora rileva, premesso che la patologia polmonare dalla quale era affetto V. B. era stata allo stesso diagnosticata il 1° giugno 1967, che le successive complicazioni polmonari e la cardiopatia costituivano normale sviluppo della detta patologia e quindi non si configuravano quale aliquid novi al fine del decorso del termine di prescrizione, ha ritenuto prescritta la pretesa risarcitoria formulata iure hereditario; ha rigettato la richiesta di risarcimento del danno iure proprio in quanto formulata unicamente in sede di conclusioni della originaria domanda sul presupposto della configurabilità in re ipsa del danno collegato al mero status di figlie del lavoratore deceduto; ha respinto, inoltre, in quanto priva di riscontro probatorio la domanda di pagamento dell’importo di € 8.000, 00 a titolo di spese funerarie.

5. Per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso L. B. e M. B., in proprio e nella qualità di eredi di V. B. sulla base di due motivi.

5.1. Gli intimati M. S., G. A. e Ing. V. R. s.r.l. non hanno svolto attività difensiva.

5.2. F. s.p.a. ha resistito con tempestivo controricorso.

5.3. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 cod. civ., dell’art. 32 Cost. e degli artt. 2946 e 2948 cod. civ., censura la sentenza impugnata sul rilievo che in presenza di un danno proprio per la vittima scaturente dal decesso la prescrizione non poteva che farsi decorrere dall’epoca del decesso risalente all’anno 1997; in conseguenza, il decorso del termine prescrizionale doveva ritenersi ritualmente interrotto con la richiesta di cui alla raccomandata inviata nel corso dell’anno 2002. Espone di avere, nel ricorso introduttivo, chiesto anche il danno non patrimoniale da decesso ed osserva, sulla base del richiamo a Cass. 1361/2014, che se sussiste un danno proprio per la vittima per la perdita della vita la decorrenza della prescrizione non può che farsi risalire al momento del decesso.

2. Con il secondo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 76 e 315 cod. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ. e degli artt. 2727 e sgg. cod. civ., censura il rigetto della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale avanzata iure proprio; sostiene, in sintesi, che la sola circostanza della esistenza di uno stretto legame familiare era sufficiente a fondare, in via presuntiva configurandosi quale dato di comune esperienza, la esistenza del pregiudizio non patrimoniale connesso alla perdita del genitore.

3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

3.1. Occorre premettere che, come reso palese dall’esplicito richiamo a Cass. n. 1361 del 2014 formulato nella illustrazione del motivo in esame, il pregiudizio del quale parte ricorrente lamenta il mancato ristoro è quello da perdita della vita il quale, secondo il richiamato arresto giurisprudenziale, rileverebbe “ex se”, a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato ne abbia avuto e senza che assumano rilievo né la persistenza in vita della vittima per un apprezzabile lasso di tempo, né l’intensità della sofferenza dalla stessa subita per la cosciente e lucida percezione dell’ineluttabilità della propria fine, coincidendo il realizzarsi di tale pregiudizio con il decesso.

3.2. Secondo lo storico di lite della sentenza impugnata (sentenza, pag. 4), le richieste formulate iure hereditatis dalle originarie ricorrenti attenevano al risarcimento del danno biologico da invalidità permanente, del danno morale e del danno esistenziale; la questione del danno cd. tanatologico nei termini sopra configurati non è stata in alcun modo affrontata dalla decisione di secondo grado.

3.3. Premesso che il pregiudizio del quale si lamenta il mancato ristoro non è riconducibile ad alcuna delle voci di danno oggetto della originaria domanda, quale sopra ricostruita, posto che il danno biologico si configura quale lesione della integrità psicofisica della persona in se considerata, indipendentemente dalle ripercussioni che essa può comportare sulla capacità di lavoro e di guadagno del soggetto (Cass. 19493 del 2007, Cass. 11039 del 2006, Cass. n. 4236 del 1997, Cass. n. 477 del 1996) e comprende anche il danno cd. esistenziale (quale componente dinamico-relazionale attinente alla vita esterna del danneggiato), appartenendo tali categorie (o voci) di danno alla stessa area protetta dall’art. 32 Cost. (Cass. n. 23469 del 2018, Cass. Sez. Un. n. 26972 del 2008) mentre il danno morale concerne la sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute (Cass. n. 901 del 2018, Cass. n. 25817 del 2017), costituiva onere delle odierne ricorrenti dimostrare la avvenuta rituale allegazione, nell’ambito del giudizio di merito, della esistenza di un danno non patrimoniale da perdita della vita riferito al congiunto.

3.4. Quando, infatti, una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 1435 del 2013, n. 20518 del 2008, n. 22540 del 2006).

3.5. Tale onere non è stato assolto dalle odierne ricorrenti che si sono limitate a richiamare, senza procedere alla relativa trascrizione nelle parti di pertinenza, il ricorso di primo grado ed il ricorso in appello (v. ricorso, pag. 5, penultimo cpv.), riferimento questo intrinsecamente inidoneo a conferire specificità al motivo di ricorso per cassazione secondo quanto già ritenuto da questa Corte in tema di rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito (Cass. 11984 del 2011, Cass. 10128 del 2003).

3.6. Tanto è sufficiente a determinare la inammissibilità del motivo in esame risultandone assorbito l’ulteriore profilo attinente, alla esclusione della risarcibilità del danno cd. tanatologico come configurato dalle odierne ricorrenti, alla luce della evoluzione giurisprudenziale di questa Corte successiva a Cass. 1361 del 2014 (Cass. Sez. Un. n. 15350 del 2015, Cass. n. 23183 del 2014).

4. Il secondo motivo presenta un profilo di inammissibilità collegato al difetto di specifica impugnazione dell’affermazione della Corte di merito circa la carenza di allegazioni nella originaria domanda in ordine al danno iure proprio asseritamente sofferto dalle ricorrenti per il decesso del genitore.

4.1. Tale assunto non viene, infatti, specificamente contrastato dalle odierne ricorrenti; tantomeno viene dimostrato mediante trascrizione nelle parti di pertinenza che nella originaria domanda la richiesta di risarcimento iure proprio si fondava su un compendio di allegazioni idonee a dare contezza, ove provate, della esistenza del dedotto danno connesso alla perdita del genitore. A questo proposito va rammentato che il pregiudizio da perdita del rapporto parentale rappresenta un peculiare aspetto del danno non patrimoniale e consiste non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì nello sconvolgimento dell’esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, nonché nella sofferenza interiore derivante dal venir meno del rapporto (Cass. 21060 del 2016, Cass. 16992 del 2015). Tale danno deve essere oggetto di allegazione e prova (Cass. n. 23462 del 2010).

4.2. Le censure articolate si incentrano, sostanzialmente, sulla questione della configurabilità in re ipsa, sulla base di un ragionamento presuntivo, del dedotto danno per la perdita del rapporto parentale e cioè attengono ad un profilo logicamente e giuridicamente successivo rispetto a quello, assorbente ai fini del mancato accoglimento della domanda, rappresentato dal rilievo della riscontrata carenza allegatoria.

4.3. In ogni caso tali motivi di doglianza appaiono privi di pregio alla luce della giurisprudenza di legittimità che nel riconoscere la tutela risarcitoria per danno non patrimoniale connesso alla violazione dei diritti inviolabili della famiglia artt. 2, 29 e 30 Cost. ha ribadito che tale danno, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato, neppure potendo condividersi la tesi che trattasi di danno in re ipsa, sicché dovrà al riguardo farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. (Cass. Sez. Un. n. 26972 del 2008, Cass. n. 21230 del 2016) dovendo altresì puntualizzarsi con riguardo a quest’ultima che in tema di presunzioni di cui all’art. 2729 c.c., la denunciata mancata applicazione di un ragionamento presuntivo che si sarebbe potuto e dovuto fare non è deducibile come vizio di violazione di norma di diritto, bensì solo ai sensi e nei limiti dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. cioè come omesso esame di un fatto secondario (dedotto come giustificativo dell’inferenza di un fatto ignoto principale), purché decisivo, vizio neppure prospettato dalle odierne ricorrenti.

5. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile risultandone assorbite, per il principio della ragione più liquida, le eccezioni formulate dalla parte controricorrente (v. controricorso, pag. 2 e sg.).

6.Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.

7. Sussistono i presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione alla controricorrente F. s.p.a. delle spese di lite che liquida in € 6.000,00 per compensi professionali, e 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.