CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 settembre 2020, n. 19633
Tributi – Importazioni – Dazi doganali – Accertamento differente classificazione della merce rispetto a quella dichiarata – Recupero maggior dazio e irrogazione sanzioni – Legittimità
Fatti di causa
Z. Srl e I. Spa, quale rappresentante indiretto del primo, impugnavano con separati ricorsi il provvedimento con cui l’Agenzia delle dogane, a chiusura della controversia doganale, confermava l’avviso di accertamento, nonché il conseguente atto di irrogazione di sanzioni, e rettificava la classificazione della merce importata, di cui alla bolletta doganale IMZ 4240/R del 16 dicembre 2010, dichiarata alla voce NC 4002 9900 00 (gomma sintetica), esente da dazio, ed invece da ricondurre, a seguito di analisi chimica, alla NC 3904 6990 99 (fluoroelastomero FKM) (attuale 3904 6920 00), al dazio al 6,5%, recuperando i maggiori diritti non corrisposti.
Le contribuenti contestavano la fondatezza della pretesa, non provata e in contrasto con la classificazione internazionale.
Chiedevano, inoltre, l’applicazione dell’esimente ex art. 220 CDC e la non contabilizzazione ex art. 239 CDC, nonché, quanto alle sanzioni, l’inapplicabilità delle stesse per obbiettiva incertezza normativa e, comunque, il riconoscimento del cumulo giuridico. L’impugnazione era accolta dalla CTP di Milano per quest’ultimo profilo. La sentenza era confermata dal giudice d’appello.
L’Agenzia delle dogane propone ricorso per cassazione con due motivi, cui resiste con controricorso la sola Z. Srl, che propone altresì ricorso incidentale con sette motivi, poi illustrato con memoria. I. Spa è rimasta intimata.
Ragioni della decisione
1. Va esaminato prioritariamente il ricorso incidentale, che investe il merito della pretesa, mentre il ricorso dell’Agenzia attiene al regime sanzionatorio.
2. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione del Reg. n. 2658/87/CEE, istitutivo della nomenclatura tariffaria e della tariffa doganale comune per aver la CTR classificato la merce, fluoroelastomero FKM, nella voce NC 3904 6990 99, cui non era riconducibile anteriormente all’adozione del Reg. n. 861/2010/UE, così applicandolo retroattivamente ed omettendo, per contro, una compiuta disamina della storia delle gomme sintetiche e del contenuto tecnologico del manufatto. Deduce inoltre il contrasto tra la classificazione comunitaria e quella internazionale.
2.1. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. per aver la CTR ritenuto provata la suddetta classificazione nonostante la contraria documentazione allegata dai contribuenti.
3. I motivi, da esaminare unitariamente per connessione logica, sono infondati.
3.1. La CTR, infatti, non ha applicato, retroattivamente, il Reg. n. 861/2010/UE, ma, semplicemente, in corretta applicazione delle Regole di interpretazione che presiedono la materia (e, in primo luogo, della Regola n. 1 del Reg. n. 2658/1987/CEE, che, nel testo ratione temporis applicabile, prevede: «I titoli delle sezioni, dei capitoli o dei sottocapitoli sono da considerare come puramente indicativi, poiché la classificazione delle merci è determinata legalmente dal testo delle voci, da quello delle note premesse alle sezioni o ai cavitoli e, occorrendo, dalle norme che seguono, purché queste non contrastino col testo di dette voci e note»), ha rilevato che «il prodotto FKM – come è stato accertato dalle analisi di laboratorio non soddisfa quelle caratteristiche possedendo proprietà elastiche che non corrispondono a quelle richieste» dal «punto 4 delle note esplicative del cap. 40» della TARIC, né la vulcanizzazione del prodotto poteva avvenire secondo le specifiche ivi previste, sicché «non v’era giustificazione per far rientrare l’FMK nel cap. 4002 della TARIC anziché nel cap. 39».
3.2. È parimenti infondato il rilievo che tale conclusione sia stata raggiunta in assenza di prova, individuata dalla CTR nelle stesse analisi di laboratorio, risolvendosi la censura in una inammissibile contestazione sull’apprezzamento delle prove da parte della CTR, carente anche in punto di autosufficienza.
3.3. Quanto alla dedotta “non armonizzazione” della disciplina unionale rispetto a quella internazionale, al di là della carente allegazione in punto di autosufficienza dell’invocata normativa, è dirimente che tali indicazioni, pur potendo fornire un apporto interpretativo, non sono giuridicamente vincolanti e, anzi, «non devono essere presi in considerazione nell’ipotesi in cui la loro interpretazione risulti inconciliabile con i termini della voce della NC di cui trattasi» (Corte di Giustizia, 19 gennaio 2005, in C – 206/03, Commissioners of Customs & Excise, in relazione ai pareri di classificazione dell’OMD), neppure avendo rilievo gli stessi accordi e le norme dell’OMC che «non figurano in linea di principio tra le normative alla luce delle quali può essere controllata la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione» (Corte di Giustizia, 15 novembre 2018, in C-592/17, Skatteministeriet), con il solo duplice limite – che nella specie non ricorre, né, comunque, è stato in alcun modo dedotto – che la stessa «Unione abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nel contesto di tali accordi» o «l’atto di diritto dell’Unione di cui trattasi faccia espresso rinvio a precise disposizioni dei medesimi accordi».
4. Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 220 e 239 CDC per non aver la CTR ritenuto la buona fede e il legittimo affidamento della contribuente.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Secondo l’art. 220, comma 2, lett. b, CDC, le autorità competenti non procedono alla contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione solo qualora ricorrano tre condizioni cumulative, ossia che: i dazi non siano stati riscossi a causa di un errore delle autorità competenti stesse; l’errore commesso da queste ultime sia stato di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore in buona fede; quest’ultimo abbia rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore relative alla sua dichiarazione in dogana.
La Corte di Giustizia, invero, è costante nell’affermare la necessaria ricorrenza di tutte e tre le condizioni, affermazione che integra un orientamento da lungo tempo assolutamente consolidato (v. Corte di Giustizia, sentenza 12 luglio 1989, in C-161/88, Binder, punti 15 e 16; sentenza 14 maggio 1996, C-153/94 e C-204/94, Faroe Seafood e a., punto 83; sentenza 18 ottobre 2007, in C- 173/06, Agro ver Sri, punto 30; sentenza 17 dicembre 2014, in C- 3/13, Baltic Agro AS, punto 35; sentenza 26 ottobre 2017, in C- 407/16, «Aqua Pro» SIA), e stabilmente seguita dalla Corte di cassazione (v. da ultimo Cass. n. 6131 del 01/03/2019; Cass. n. 7775 del 20/03/2019).
4.3. Nella vicenda in esame sono carenti le citate condizioni.
Il mero sdoganamento della merce, infatti, non è idoneo ad integrare un comportamento “attivo”, che richiede che sia stata l’Amministrazione a porre in essere i presupposti sui quali riposa il legittimo affidamento del debitore, la quale, anzi, come rilevato dalla stessa CTR, «lungi dall’avallare la classificazione … ha operato la revisione nei tempi previsti dalla normativa recuperando dazi doganali la cui omissione era dipesa dalla assicurata e sottoscritta conformità alla normativa doganale della merce dichiarata in bolletta semplicemente “gomma sintetica” e non … “gomma sintetica FKM”», indicazione che dimostra altresì la carenza di diligenza e di buona fede del contribuente.
È appena il caso di sottolineare – come pure evidenzia la CTR senza che sul punto sia elevata alcuna contestazione – che la corretta classificazione per la medesima merce era stata indicata, in tempi anteriori alle importazioni in giudizio, da altri operatori, a cui era stata rilasciata conforme ITV.
5. Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997 per aver la CTR ritenuto la colpevolezza della società.
5.1. Il motivo è infondato. Va rilevato, infatti, che l’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997 stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, ma è richiesta, anche, la consapevolezza del contribuente, al quale deve potersi imputare un comportamento quanto meno negligente, ancorché non necessariamente doloso, sicché pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, gravandolo dell’onere di provare il contrario (v. da ultimo Cass. n. 22329 del 13/09/2018; v. anche Cass. n. 12901 del 15/05/2019, con riguardo alla necessità di provare uno stato di ignoranza incolpevole non superabile con l’ordinaria diligenza), onere nella specie non soddisfatto, mentre, per contro, risulta comprovata la negligenza del contribuente.
6. Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 6 d.lgs. n. 472 del 1997 per non aver la CTR ritenuto la sussistenza di condizioni di obbiettiva incertezza normativa.
6.1. Anche tale censura è infondata non sussistendo, per le ragioni sopra evidenziate, la dedotta oggettiva incertezza ma solo una condizione soggettiva, neppure sorretta da adeguata diligenza, posto che avrebbe potuto essere adeguatamente risolta, nel caso, con richiesta di ITV.
7. Il sesto motivo denuncia violazione dell’art. 303, secondo comma, TULD, per non aver riconosciuto la relativa esimente.
7.1. Il motivo è infondato non avendo la contribuente indicato sulla bolletta l’effettivo nome commerciale della merce, essendosi limitata ad apporre la non univoca indicazione di “gomma sintetica” (senza la specificazione FKM) che ha impedito l’esatta applicazione dei diritti.
8. Il settimo motivo denuncia violazione dell’art. 10, comma 1, I. n. 212 del 2000 per non aver riconosciuto l’esimente della buona fede del contribuente.
8.1. Il motivo – pur a prescindere dalla carente indicazione dei presupposti richiesti per l’applicazione della norma – è infondato riproponendo le medesime questioni sopra esaminate e disattese.
9. Passando al ricorso proposto dall’Agenzia delle dogane, il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e nullità della sentenza per aver la CTR motivato, quanto all’applicazione del cumulo giuridico per le sanzioni, per relationem alla decisione di primo grado senza valutare le osservazioni critiche dell’ufficio.
9.1. Il motivo, pur ammissibile e ritualmente proposto, è infondato.
La sentenza impugnata, infatti, sulla questione ha statuito che «alla luce delle fondate motivazioni della decisione impugnata, non scalfite dall’appello parziale dell’Ufficio, va confermata anche la pronuncia in ordine alla disposta applicazione del cumulo giuridico.
Le censure esposte, infatti, non valgono a superare il chiaro disposto del V comma dell’art. 12 nel cui testo – da interpretare a favore del contribuente – non si intravedono preclusioni al cumulo come disposto, nel caso di specie, dalla pronuncia impugnata».
La CTR, dunque, nel confermare la decisione di primo grado, ha, sia pure con motivazione succinta, tenuto in esplicita considerazione le censure formulate dall’Ufficio (del resto riprodotte in termini articolati nella parte di fatto della sentenza), ritenendole insufficienti a disattendere il riconoscimento dell’istituto della continuazione, la cui applicazione è stata affermata, con autonoma analisi critica, alla luce del disposto normativo interpretato secondo un criterio di favor per il contribuente.
Va dunque escluso che la sentenza sia, in parte qua, nulla o, in ogni caso, che la motivazione si ponga al di sotto del “minimo costituzionale, che ne giustifica la censura in sede di legittimità.
10. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 12 d.lgs. n. 472 del 1997 per aver la CTR ritenuto applicabile l’istituto della continuazione tra le sanzioni.
10.1. Il motivo è fondato.
10.2. Occorre premettere che nella specifica vicenda viene in rilievo non la generica applicazione del regime del cumulo giuridico ma, specificamente, l’istituto della continuazione regolato dall’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472 del 1997.
Il principio del cumulo materiale – i.e. la sommatoria di tante sanzioni quanto sono le violazioni – è infatti derogato dal cd. Cumulo giuridico (applicazione di una sola sanzione maggiorata) nei casi di:
1) concorso formale (art. 12, comma 1), che si ha quando un soggetto con una sola azione viola più norme anche relative a tributi diversi;
2) concorso materiale (art. 12, comma 1), ove la medesima disposizione sia violata, anche con più azioni, diverse volte;
3) progressione (art. 12, comma 2), che si ha quando, anche in tempi diversi, vengono commesse più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano «la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo»;
4) continuazione (art. 12, comma 5), per il caso in cui violazioni «della stessa indole vengono commesse in periodi d’imposta diversi».
L’art. 12, comma 3, poi prevede una ulteriore regola correttiva quando le violazioni rilevano ai fini di più tributi.
Orbene, le prime tre ipotesi sono compatibili, quantomeno in via astratta, anche rispetto alle violazioni in materia doganale: l’art. 12, comma 4, con riferimento alle ipotesi di cui ai primi tre commi, infatti, nel prevedere che, ai fini della maggiorazione, deve distinguersi tra tipologie di tributi, menziona, esplicitamente, le imposte doganali.
Questa indicazione, tuttavia, non è estesa alla continuazione che è regolata dal successivo comma, il quale, nel riferirsi esplicitamente a violazioni “commesse in periodi d’imposta diversi”, delinea un presupposto estraneo alla materia doganale.
Va infatti rilevato che nella disciplina doganale ogni operazione è autonoma, compiutamente liquidata e rileva di per sé, mentre è estraneo il riferimento al “periodo d’imposta”.
In altri termini, nella materia doganale l’imposta è “d’atto”.
Ne deriva che l’istituto della continuazione ex art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472 del 1997, pur a fronte di violazioni della medesima indole, non si applica alle sanzioni doganali.
10.3. Va poi escluso che tale differenza si ponga in frizione con i principi unionali e, in ispecie, con i principi di equivalenza e di proporzionalità delle sanzioni.
10.4. La Corte di Giustizia, invero, ha ripetutamente precisato – con riguardo all’Iva ma con affermazioni che appaiono involgere in termini più generali le violazioni del diritto dell’Unione – che «conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, pur conservando la scelta delle sanzioni, gli Stati membri devono provvedere affinché le violazioni del diritto dell’Unione, ivi comprese le norme armonizzate derivanti dalla direttiva IVA, siano punite, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in forme analoghe a quelle applicabili alle violazioni del diritto nazionale simili per natura e importanza e che, in ogni caso, conferiscano alla sanzione un carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo» (Corte di Giustizia, 2 maggio 2018, in C-574/15, Mauro Scialdone, par. 28; v. anche 21 settembre 1989, in C-66/88, Commissione/Grecia; 8 luglio 1999, in C-186/98, Nunes e de Matos; 3 maggio 2005, in C-387/02, C- 391/02 e C-403/02, Berlusconi e a.).
Con riguardo, specificamente, al principio di equivalenza, si è precisato che esso «implica che tali sanzioni siano analoghe a quelle applicabili alle violazioni del diritto nazionale simili per natura e importanza e lesive degli interessi finanziari nazionali» (Scialdone, par. 29) ma anche che «quando due categorie di reati si distinguono per diverse circostanze che riguardano tanto gli elementi costitutivi del reato quanto la minore o maggiore facilità a scoprirli, tali differenze comportano segnatamente che lo Stato membro interessato non è tenuto a prevedere un regime identico per entrambe queste categorie» (Scialdone, par. 59).
10.5. Orbene, nella fattispecie in esame non viene in questione l’applicazione della sanzione in relazione ad una specifica violazione ma l’applicazione del regime del cumulo giuridico delle sanzioni per violazioni commesse in diversi periodi d’imposta.
La locuzione prevista dalla norma (“periodi d’imposta diversi”) per rendere operativo il suddetto regime si riconduce, invero, al sistema di tassazione privilegiato dal legislatore – non solo per l’Iva e le imposte sui redditi, ma anche per le accise e per molti tributi degli enti locali – che è caratterizzato dalla riconduzione dell’accertamento in base a fatti fiscalmente rilevanti all’interno di un periodo di tempo definito.
Tale scelta assolve, in evidenza, alla funzione di assicurare unitarietà all’imposizione e all’obbligo del contribuente, sicché, per tale ragione, può assumere rilievo unitario anche ai fini del regime sanzionatorio.
Si tratta, dunque, di un elemento costitutivo per l’applicazione del regime di favore, assente e non mutuabile per le operazioni di importazione, le quali, invece, come sopra rilevato, sono autonome e in sé compiutamente liquidate e, comunque, postulano, in punto di accertamento, condizioni e procedure distinte e separate rispetto alle altre tipologie di tributi.
Nella specifica materia, del resto, non appare ipotizzabile un equipollente alla “diversità di periodo d’imposta”, che, sicuramente, non è identificabile nel compimento delle singole operazioni, per le quali, d’altra parte, il cumulo giuridico può, in ipotesi, discendere, direttamente dall’applicazione dei primi due commi dell’art. 12 cit. (ambito, infatti, su cui si incentra la stessa circolare del 9 febbraio 2015 dell’Agenzia delle dogane invocata in controricorso).
10.6. Va dunque affermato il seguente principio di diritto: «in tema di sanzioni doganali è inapplicabile il regime della continuazione di cui all’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472 del 1997, che postula che le violazioni siano state “commesse in periodi d’imposta diversi”, nozione questa estranea alla materia doganale, senza che ad essa possa ritenersi equivalente il compimento delle singole operazioni d’importazione o esportazione»
11. In conclusione va rigettato il ricorso incidentale, mentre va accolto il secondo motivo del ricorso principale, infondato il primo. In relazione al motivo accolto la sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti fatto, la causa va decisa nel merito con il rigetto, in parte qua, dell’originario ricorso della contribuente.
La spese di legittimità sono liquidate, come in dispositivo, per soccombenza, mentre quelle delle fasi di merito, per la particolarità della questione, che presenta profili di novità, vanno integralmente compensate.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo del ricorso principale, infondato il primo, e rigetta il ricorso incidentale. In relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta, negli stessi limiti, l’originario ricorso della contribuente.
Condanna Z. Srl e I. Spa al pagamento delle spese di legittimità a favore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, che liquida in € 2.800,00, oltre spese prenotate a debito.
Compensa le spese per le fasi di merito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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