CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 agosto 2018, n. 20936
Licenziamento – Guardia giurata – Trasporto valori – Busta trafugata
Fatti di causa
1. Con la sentenza n. 899/2016 la Corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia n. 4/2013 emessa dal Tribunale di Lodi con la quale era stata respinta la domanda di impugnazione del licenziamento intimato in data 1.6.2011, proposta da F.O. nei confronti della R.G.G.S.V. srl, di cui era dipendente con inquadramento nel VI livello CCNL di categoria e con incarico di guardia giurata.
2. I fatti addebitati riguardavano l’effettuazione di operazioni anomale compiute mentre l’O. era incaricato nel trasporto di valori i giorni 16 e 18 marzo 2011, nel corso della procedura di prelievo di denaro dalla cassa punto vendita di Casalmaggiore del G.F., con la precisazione che dal sacco prelevato il 18 era stata trafugata una busta contenente euro 4.400,00.
3. A fondamento del decisum la Corte territoriale ha precisato che correttamente in primo grado era stata ritenuta sussistente la condotta contestata sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti; che le questioni sull’accertamento dell’orario pomeridiano e sulla conoscenza del dipendente dei turni presso il punto vendita non erano state mai prospettate in primo grado; che le anomale condotte poste in essere nei giorni 16 e 18, come descritte nella lettera di addebito e risultanti dalla visione della video registrazione non erano state tempestivamente contestate e che non era stato neanche spiegato il diverso comportamento adottato il 16 marzo rispetto a quello tenuto il 18; che non vi era contesa sulla riconducibilità del fatto addebitato alla nozione di giusta causa.
4. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione F.O. affidato a tre motivi.
5. Ha resistito con controricorso la R.G.G.S.V. srl.
6. Le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc; l’utilizzazione da parte del giudice del sapere privato; la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori; la violazione e falsa applicazione degli artt. 2967 cc, artt. 421 e 437 cpc, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc. Sostiene al riguardo che la motivazione della sentenza impugnata era stata frutto della scienza privata in quanto erano stati tratti elementi di convincimento dall’esame di una video-registrazione, acquisita di ufficio dal giudice di primo grado presso i Carabinieri di Casalmaggiore: filmato esaminato, poi, solo dopo la fissazione dell’udienza d discussione. Specifica, quindi, l’O. che si trattava di una prova atipica di matrice informatica, acquisita irritualmente e non corroborata da precisi elementi comprovanti una sua responsabilità; che nella lettera di contestazione non era stata indicata alcuna anomalia dipesa dal comportamento del lavoratore anche rilevabile dal filmato che potesse considerarsi deplorevole o contraria alle corrette modalità di espletamento della prestazione e che tutto il contesto del ricorso di primo e secondo grado, invece, era stato integralmente volto a contestare le anomale condotte e il relativo ammanco di denaro a lui imputato.
3. Con il secondo motivo si lamenta il mancato vaglio della deposizione del tecnico R. e la mancata acquisizione degli atti penali nonché l’omesso esame circa un punto decisivo per la controversia in relazione all’art. 360 n. 5 cpc, per avere erroneamente la Corte di merito disatteso la richiesta di espletare una consulenza tecnica di ufficio alla luce dell’ulteriore documentazione prodotta nel giudizio di appello e relativa agli atti del giudizio penale riguardante soprattutto il malfunzionamento e i difetti riscontrati sulla cassaforte.
4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 434 cpc, per errata qualificazione dei criteri addotti in appello in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale erroneamente considerate come questioni nuove (quelle relative alla mancanza di prova circa l’orario in cui sarebbe stato effettuato il prelievo il 18.3.2011 e alla mancanza di prova sulla conoscenza dei turni programmati di servizio in modo tale da potere sapere chi sarebbe ritornato nello stesso punto anche il 18.3.2011) tematiche che erano, invece, solo argomentazioni di motivi già proposti ovvero specificazioni e ulteriori ragioni di questi.
5. Preliminarmente rileva il Collegio che deve essere dichiarata inammissibile la produzione, in questa sede, della sentenza penale, con l’attestazione del passaggio in giudicato, emessa dal Tribunale di Cremona n. 316/2016, con la quale F.O., imputato del reato di furto aggravato commesso in Casalmaggiore il 18.3.2001 per la medesima vicenda oggetto di contestazione e del successivo licenziamento per cui è causa, è stato assolto dal reato ascritto ex art. 530 cpp perché, pur accertata la sottrazione del denaro, le prove acquisite erano state ritenute insufficienti sulla commissione dei fatti da parte dell’imputato.
6. Tale produzione non è consentita per diverse ragioni.
7. In primo luogo, va rilevato che il documento non rientra tra quelli di cui all’art. 372 cpc che consente il deposito solo dei documenti che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’inammissibilità del ricorso: e la citata sentenza penale non rientra certamente tra questi. In secondo luogo, deve evidenziarsi che, nel giudizio di cassazione, non è applicabile il disposto di cui all’art. 437 cpc o di altra disposizione che consente una produzione documentale a fini probatori, essendo vietata, in sede di legittimità, qualsiasi attività istruttoria (in termini ex aliis Cass. 17.1.1994 n. 361; Cass. 9.3.2005 n. 9123); in terzo ed ultimo luogo, va ribadita l’autonomia dei procedimenti penali e civili, qualora il licenziamento sia stato comminato in base agli stessi comportamenti che furono oggetto di imputazione, sicché il giudice del lavoro non è affatto obbligato a tenere conto dell’accertamento contenuto nel giudicato di assoluzione del lavoratore, ma ha il potere di ricostruire autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti materiali e di pervenire a valutazioni e qualificazioni degli stessi di tutto svincolate dall’esito del procedimento penale (Cass. 9.6.2005 n. 12134; Cass. 5.8.2000 n. 10135). Ne discende che non si verte in una ipotesi di giudicato esterno.
8. Ciò premesso, il primo motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
9. Sono inammissibili le doglianze relative alla dedotta acquisizione di ufficio, da parte del giudice di prime cure, del filmato video-registrato, consegnato da M.Di (F.) ai Carabinieri di Casalmaggiore, a fronte delle deduzioni contenute nel controricorso in cui, invece, è stato testualmente riportato che nella memoria di costituzione del giudizio di primo grado vi fu, da parte resistente, una apposita istanza di acquisizione in tali termini, di talché la Corte di merito ha correttamente considerato tardiva l’eccezione di inammissibilità della prova avanzata dalla difesa dell’O. solo all’udienza del 25.2.2016. Sono, altresì, inammissibili le censure riguardanti la valutazione della prova perché l’accertamento circa la sussistenza e l’idoneità di una prova a rendere verosimile il fatto allegato costituisce un apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato (Cass. 7.4.2003 n. 5434; Cass. 1.8.2001 n. 10484): nel caso in esame, i giudici di seconde cure hanno ritenuto attendibile il filmato perché si trattava di documentazione trasmessa dall’autorità di Polizia e perché il lavoratore non aveva in alcun modo spiegato il diverso comportamento adottato il 16 marzo rispetto a quello del 18 dello stesso mese, né aveva chiarito perché in tale occasione avesse estratto il sacco senza tirare la maniglia di trasporto lasciando così non sigillato il sacco medesimo ed anzi reggendo con le dita la parte scorrevole del carrello.
10. E’, invece, infondata la asserita violazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970, circa la mancata contestazione in ordine alla anomalia della condotta tenuta dal lavoratore. Al riguardo, deve evidenziarsi che il principio di immutabilità della contestazione deve ritenersi violato quando vi è una divergenza tra i fatti posti a base della contestazione iniziale e quelli che sorreggono il provvedimento disciplinare che comporti in concreto una violazione del diritto di difesa del lavoratore (in termini Cass. 25.8.1993 n. 8956; Cass. 12.3.2010 n. 6091): nella fattispecie, invece, quello che è stato contestato in sede disciplinare è ciò che risulta effettivamente essere stato trattato quale causa del recesso e ed essere stato oggetto di indagine nel corso dei giudizi di merito in relazione ai quali, peraltro, non sono state formulate tempestivamente specifiche lesioni del diritto di difesa come correttamente rilevato dalla Corte di merito.
11. Il secondo motivo non è meritevole di pregio.
12. La valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sulla attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (cfr. Cass. 4.7.2017 n. 16467). Ne consegue che non è sindacabile l’asserito mancato vaglio della deposizione del tecnico R. o la mancata acquisizione degli atti del processo penale. Inoltre, va rimarcato che il giudizio sulla necessità ed utilità di fare ricorso allo strumento della consulenza tecnica di ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile nel giudizio di legittimità; tuttavia, giusta la nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 cpc è consentito denunciare in cassazione, oltre all’anomalia motivazionale, solo il vizio specifico relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che sia stato oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (cfr. Cass. 23.3.2017 n. 7472).
13. Nel caso in esame, però, la tematica circa il meccanismo di funzionamento della cassa continua, in relazione alla quale era stata articolata la richiesta di espletamento di una consulenza tecnica, non può ritenersi decisiva in quanto i giudici di seconde cure hanno sottolineato che non vi era stata contestazione, rite et recte, formulata da parte del lavoratore per cui la scelta della Corte di merito, per quanto sopra detto, appare insindacabile in questa sede.
14. L’ultimo motivo è inammissibile.
15. Invero, a prescindere dalla questione se le circostanze relative alla mancanza di prova «circa l’orario in cui sarebbe stato effettuato il prelievo il 18.3.2011 e sulla conoscenza da parte dell’O. dei turni programmati di servizio in modo tale da potere sapere chi sarebbe ritornato nello stesso punto anche il 18.3.2011» costituiscano solo allegazioni difensive ovvero questioni nuove (perché, come sembra, introducevano nuovi e diversi accertamenti e, quindi, incidevano sul potere dispositivo delle parti e, in quanto tali, erano state tardivamente proposte), rileva il Collegio che, in violazione del principio di autosufficienza, il ricorrente non ha specificato in modo puntuale il “dove” ed il “quando” precisamente dette problematiche siano state prospettate, per cui la censura è inammissibile (cfr. Cass. 7.4.2014 n. 8053).
16. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
17. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie della misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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