CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 agosto 2019, n. 21627
Licenziamento disciplinare – Intervenuta prescrizione dell’azione di annullamento – Decorrenza del termine quinquennale
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Ancona, con sentenza n. 336/2017, dichiarava inammissibile l’impugnazione di B.M.G. avverso l’ordinanza con cui era stato respinto il ricorso per revocazione, proposto dalla medesima B. ai sensi dell’art. 395 n. 4 cod. proc. civ., avente ad oggetto il provvedimento di rigetto dell’impugnativa del licenziamento reso a norma dell’art. 1, comma 49, della legge n. 92 del 2012.
2. La B., direttrice della filiale di Fermo – Campiglione della Banca Antonveneta, aveva convenuto in giudizio la banca incorporante, Monte dei Paschi di Siena s.p.a., per impugnare il licenziamento disciplinare a lei intimato nel lontano 12 febbraio 2007. Il ricorso proposto il 27 gennaio 2014 veniva trattato, previo mutamento del rito, secondo il regime di cui alla legge n. 92 del 2012 e deciso con ordinanza del 12 maggio 2015, resa nel fase sommaria, con declaratoria di intervenuta prescrizione dell’azione di annullamento del licenziamento per decorso del termine quinquennale, in mancanza di atti interruttivi anteriori alla proposizione della domanda giudiziale.
3. Tale ordinanza era stata impugnata dalla B. con ricorso per revocazione per errore di fatto ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ. mediante atto di citazione notificato il 1° dicembre 2015 e il Tribunale di Fermo, in funzione di giudice del lavoro, decidendo nelle forme del c.d. rito Fornero, aveva ritenuto dirimente che il vizio denunciato, ove in ipotesi sussistente, non poteva essere fatto valere con il rimedio della revocazione, poiché consisteva in un errore di motivazione dell’ordinanza, che avrebbe dovuto essere fatto valere mediante opposizione ai sensi del comma 51 dell’art. 1 della legge n. 92 del 2012.
4. Tale provvedimento di rigetto della domanda di revocazione, comunicato dalla cancelleria via PEC e pervenuto nella casella di destinazione il 16 maggio 2016, era stato impugnato dalla B. dinanzi alla Corte di appello di Ancona con atto di citazione notificato l’11 novembre 2016. La ricorrente chiedeva che, previo accoglimento della revocazione, venissero accolte, in sede rescissoria, le conclusioni del ricorso originario con declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare, emissione di un ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e condanna della convenuta al risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, del danno morale e del danno alla reputazione.
5. La Corte di appello di Ancona dichiarava l’impugnazione inammissibile, sulla base dei seguenti argomenti:
– l’ordinanza decisoria resa il 10 giugno 2015 ai sensi dell’art. 1, comma 49, legge n. 92/2012 era divenuta inoppugnabile, in quanto non opposta, acquisendo una stabilità analoga a quella della sentenza passata in giudicato;
– l’ordinanza resa il 13 maggio 2016, avente ad oggetto la revocazione della predetta ordinanza, ma soggetta pur sempre al c.d. rito Fornero, avrebbe dovuto essere opposta nel termine di 30 giorni previsto dall’art. 1, comma 51, legge n. 92 del 2012;
difatti, in applicazione dell’art. 403, secondo comma, cod. proc. civ., l’ordinanza emessa nel giudizio di revocazione resta soggetta agli stessi mezzi di impugnazione cui sarebbe stata originariamente soggetta l’ordinanza impugnata per revocazione; la qualificazione operata dal giudice determina l’ultrattività del rito ai fini della forma del gravame; nel caso di specie, la mancata opposizione ex art. 1, comma 51, cit. nel termine fissato dalla legge avverso l’ordinanza resa in sede di revocazione, ha reso il provvedimento inoppugnabile, da cui l’inammissibilità dell’appello;
– in ogni caso, poi, anche a volere equiparare l’ordinanza pronunciata I’11 novembre 2016, emessa sempre nelle forme del c.d. rito Fornero dal giudice del lavoro di Fermo, ad una sentenza appellabile (o meglio reclamabile), non era stato rispettato il termine di cui all’art. 1, comma 58, legge n. 92 del 2012, in quanto l’impugnazione dinanzi alla Corte di appello era stata proposta ben oltre il termine di 30 giorni decorrenti dal 16 maggio 2016, data della consegna nella casella di destinazione della comunicazione eseguita dalla cancelleria via PEC dell’ordinanza impugnata.
6. Per la cassazione di tale sentenza la B. ha proposto ricorso affidato ad un motivo, cui ha resistito con controricorso il Monte dei Paschi di Siena s.p.a., che ha altresì depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Ragioni della decisione
1. Il ricorso denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 395 n. 4, 327, 400 e 402 cod. proc. civ., in relazione all’art. 1, comma 49, della legge n. 92 del 2012 per sostenere l’ammissibilità dell’appello proposto avverso il provvedimento di rigetto della domanda di revocazione.
Si deduce che, una volta scaduto il termine per l’opposizione, l’originaria ordinanza resa in fase sommaria. nel c.d. rito Fornero era divenuta definitiva e poteva essere oggetto di revocazione ordinaria ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ.. Il giudice della revocazione in primo grado, entrando nel merito, aveva implicitamente ritenuto l’ammissibilità della domanda, anche sotto il profilo della sua tempestività, in quanto proposta nel rispetto del termine di impugnazione di cui all’art. 327 cod. proc. civ.. Di conseguenza, anche la domanda in appello avrebbe dovuto avere la stessa forma e restare soggetta allo stesso termine di quello ritenuto legittimo dal giudice di primo grado.
Inoltre, poiché a norma dell’art. 400 cod. proc. civ. le norme speciali codicistiche sancite per la revocazione hanno efficacia derogatoria di quelle previste per il procedimento davanti al giudice adito, una volta stabilito che il provvedimento conclusivo del primo grado doveva essere assimilato ad una sentenza, lo stesso restava soggetto al termine di impugnazione di cui all’art. 327 cod. proc. civ..
Contraddittoriamente la Corte di appello ha ritenuto applicabile il regime di cui alla legge n. 92 del 2012, pur non avendo osservato nello svolgimento del processo alcuno dei termini previsti dall’art. 60 della stessa legge per la relativa trattazione del giudizio di reclamo.
In conclusione, dovrebbe ritenersi ammissibile e tempestiva l’impugnazione proposta nel rispetto del termine di sei mesi dal deposito del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 327 cod. proc. civ., dovendosi ulteriormente osservare che nel giudizio di revocazione di primo grado Monte dei Paschi di Siena s.p.a. si era costituita tardivamente, oltre il termine di cui all’art. 399 secondo comma, cod. proc. civ. e in appello non aveva spiegato appello incidentale, con preclusione in appello di eccezioni di merito non accolte in primo grado.
2. Preliminarmente, va respinta l’eccezione svolta dal Monte dei Paschi di Siena con cui si è dedotto che, secondo il regime delle impugnazioni del c.d. rito Fornero, il ricorso per cassazione sarebbe inammissibile perché tardivo.
In realtà, non risultando la notifica né la comunicazione del provvedimento emesso dalla Corte di appello, trova applicazione l’art. 1, comma 64 della legge n. 92 del 2012, secondo cui “in mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza si applica l’art. 327 c.p.c.“. Nel caso di specie, il termine di cui all’art. 327 primo comma cod. proc. civ. è stato rispettato, in quanto il ricorso per cassazione è stato proposto nel termine semestrale (scadente il 18 febbraio 2017, giorno coincidente con la domenica, e così prorogato ex lege al lunedì successivo, 19 febbraio, quando risulta avviata la notifica).
3. Il ricorso per cassazione, sebbene ammissibile, è tuttavia infondato.
4. Occorre premettere che, in ordine alla ammissibilità del ricorso per revocazione ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ., vi è preclusione da giudicato interno per avere il giudice della revocazione in primo grado pronunciato nel merito, così ritenendo proponibile (anche in relazione alla tipologia di vizio dedotto ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ.) e altresì ammissibile (pure in ordine alla sua tempestività) la domanda di revocazione così come proposta dalla B..
Poiché non risulta che Monte dei Paschi di Siena s.p.a. abbia proposto un reclamo incidentale avverso tale statuizione, rispetto alla quale la stessa Banca era rimasta soccombente in primo grado, doveva ritenersi preclusa in secondo grado ogni questione relativa alla ammissibilità della revocazione, tanto con riferimento alla proponibilità di tale domanda, quanto con riferimento alla sua tempestività. Tuttavia, il giudicato intervenuto sulla ammissibilità della revocazione non comporta che, nella valutazione autonoma che il giudice di appello è tenuto a compiere quanto alla ritualità e tempestività della impugnazione dinanzi allo stesso proposta (verifica cui il giudice deve provvedere d’ufficio), lo stesso fosse vincolato alla medesima interpretazione delle norme processuali compiuta dal giudice di primo grado, ancorché erronea, in quanto la statuizione relativa alla ammissibilità dell’appello è del tutto autonoma.
5. Era invece vincolante per il giudice di appello – come esattamente ritenuto dalla Corte territoriale – seguire il rito speciale, alla cui stregua era stata decisa la domanda di revocazione, come pure la precedente domanda di impugnativa del licenziamento disciplinare.
E’ giurisprudenza costante che, ove la controversia sia stata trattata con il rito del lavoro, la proposizione dell’appello segue le forme della cognizione speciale. Ciò, in ossequio al principio della ultrattività del rito, quale specificazione del più generale principio per cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell’apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell’azione e del provvedimento compiuta dal giudice (tra le tante, Cfr. Cass. 20705 del 2018).
6. Va ulteriormente osservato che la sentenza emessa dalla Corte di appello reca due distinte statuizioni.
Con la prima, si è interpretato l’art. 403, secondo comma, cod. proc. civ. nel senso che, laddove questo prevede che contro il provvedimento che pronuncia sulla revocazione sono ammessi i mezzi di impugnazione ai quali era originariamente soggetto il provvedimento impugnato per revocazione, l’ordinanza emessa in sede di revocazione fosse soggetta ad opposizione e, in mancanza della proposizione dell’opposizione, la stessa dovesse considerarsi ormai inoppugnabile, con conseguente inammissibilità dell’appello.
Con la seconda, si è ritenuto che, ove si ritenesse proponibile l’appello – meglio qualificato come reclamo ex art. 1, comma 58, legge n. 92 del 2012 -, lo stesso sarebbe inammissibile per tardività.
Si è dunque in presenza di due diversi profili di inammissibilità.
Il ricorso, per come articolato, investe entrambe le proposizioni. Tuttavia, è sufficiente che sia giuridicamente corretta anche una sola delle due rationes decidendi su cui la sentenza di appello si fonda, per ritenere infondato il ricorso, con assorbimento dell’esame dell’altra.
7. Ritiene il Collegio che correttamente la Corte di appello abbia ritenuto l’impugnazione tardiva, non potendo trovare applicazione il c.d. termine lungo ex art. 327, primo comma, cod. proc. civ. ed essendo invece applicabile il termine (breve) contemplato dall’art. 1, comma 58, legge n. 92 del 2012, secondo cui l’impugnazione è proposta, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla comunicazione o dalla notificazione, se anteriore.
Una volta ritenuto che il giudizio si era svolto sin dall’origine secondo il c.d. rito Fornero, il giudice di appello ha correttamente riqualificato in termini di reclamo l’impugnazione dinanzi a sé proposta, rilevandone poi la tardività. Ciò in quanto, come è incontestato in giudizio, l’ordinanza emessa in sede di revocazione era stata comunicata dalla cancelleria il 16 maggio 2016 (e non notificata), di talché si imponeva la sua impugnazione entro il termine di trenta giorni decorrenti da tale data, mentre l’appellante (rectius, la reclamante) aveva osservato il c.d. termine lungo di cui all’art. 327, primo comma, cod. proc. civ., di sei mesi decorrenti dal provvedimento impugnato, il quale trova applicazione – nel regime speciale di cui alla legge n. 92 del 2012 – “in mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza” (comma 64 dell’art. 1).
7.1. Al riguardo, le ragioni poste a fondamento del ricorso per cassazione sono destituite di fondamento giuridico. Questa Corte ha già osservato che, in tema di revocazione di sentenze pronunciate nelle controversie in materia di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatoria, (v., da ultimo, Cass. n. 13063 del 2016, n. 13834 del 2010), il rito speciale del lavoro deve trovare applicazione anche al procedimento di revocazione relativo alle suindicate sentenze, osservandosi davanti a giudice adito – ai sensi della disciplina generale di tale mezzo di impugnatone – le norme stabilite per il procedimento davanti a lui (art. 400 cod. proc. civ.), senza che siano operanti le deroghe dettate dai codice di procedura civile ma incompatibili con il rito speciale.
7.2. Tale principio è estensibile, per eadem ratio, alla revocazione in esame, assoggettata al c.d. rito Fornero, che possiede una sua propria specialità (cfr. Cass. n. 20749 del 2018), poiché la legge n. 92 del 2012 ha introdotto un nuovo rito speciale, la cui disciplina deve essere osservata senza possibilità di deroga dai principi generali dell’ordinamento, salvo necessità di integrazione del rito nel caso di lacuna del dettato normativo (Cass. n. 14098 del 2016).
8. E’ dunque conforme a diritto la statuizione con cui è stata ritenuta non tempestiva l’impugnazione, poiché, in presenza di comunicazione di cancelleria, non era stato rispettato il termine di cui all’art. 1, comma 58, legge n. 92 del 2012.
9. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
10. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.