CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 febbraio 2018, n. 4341
Risoluzione ante tempus del contratto di lavoro – Mancato superamento del periodo di prova – Clausola contenuta in una scrittura privata – Patto di prova deve contenere specifica indicazione delle mansioni, anche per relationem alle declaratorie del contratto collettivo
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 7578/2011, depositata il 10 gennaio 2012, la Corte di appello di Roma confermava la pronuncia di primo grado, con la quale il Tribunale di Roma aveva respinto la domanda di T.F.M. nei confronti di M.S. volta all’accertamento della illegittima risoluzione ante tempus del contratto di lavoro, motivata da quest’ultima con il mancato superamento del periodo di prova.
1.1. La Corte rilevava a sostegno della propria decisione che la clausola, con la quale era stata stabilita la durata minima triennale del rapporto, non era contenuta nel contratto di lavoro in data 2/1/2008 ma nella scrittura privata dell’1/1/2008, con cui era stata prevista l’assunzione, da parte della M., della direzione e della gestione della farmacia di cui era titolare la S., unitamente a vari obblighi reciproci delle parti contraenti, e che, tuttavia, era rimasta totalmente inadempiuta;
1.2. La Corte rilevava, inoltre, che il contratto di lavoro aveva previsto un patto di prova e che lo stesso era da ritenersi legittimo anche sotto il profilo della specificità della indicazione delle mansioni, stante il richiamo, che vi era operato, al sistema classificatorio della contrattazione collettiva di settore.
2. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la M. con due motivi, cui ha resistito la S. con controricorso.
3. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione delle norme concernenti l’interpretazione dei contratti (artt. 1362 e segg. cod. civ.) per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto, sulla premessa dell’esistenza di due distinti accordi, e peraltro in contrasto con il contenuto dei documenti contrattuali e della lettera 14/3/2008 della ricorrente, che la clausola di durata minima, di cui all’art. 4 del contratto in data 1/1/2008, si riferisse non a tutte le pattuizioni contenute negli articoli precedenti, e così, attraverso l’art. 1, anche al contratto di lavoro a tempo indeterminato stipulato il 2/1/2008, ma alle sole obbligazioni reciproche relative alla gestione della farmacia; nonché viene dedotta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per avere la Corte omesso di pronunciare sulla nullità del primo dei due contratti, dedotta dalla resistente nel giudizio avanti al Tribunale, sul rilievo della contrarietà dello stesso alle norme imperative che disciplinano il servizio farmaceutico, e riproposta anche in grado di appello.
2. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 2096 cod. civ. per avere la Corte ritenuto presente, nel contratto del 2/1/2008, un patto di prova, in contrasto con le evidenze documentali, e per avere erroneamente ritenuto che le mansioni oggetto dell’esperimento vi fossero state specificate, mediante il riferimento al sistema classificatorio della contrattazione collettiva, malgrado l’assenza nel testo contrattuale di alcun richiamo in tal senso e la mancata indicazione delle mansioni descritte nella declaratoria del CCNL di settore; viene, inoltre, dedotto, con il motivo in esame, il difetto di allegazione e di prova, da parte della resistente, circa lo svolgimento delle attività proprie del farmacista, quali contenute nel decreto legislativo n. 258/1991.
3. Il primo motivo è inammissibile.
3.1. La ricorrente, pur richiamando a sostegno della propria argomentazione il contenuto dei contratti in data 1/1/2008 e in data 2/1/2008 e altre risultanze documentali, non si è, infatti, e in primo luogo, conformata al principio di diritto, secondo il quale “stante la previsione di cui all’art. 366, numero 4, cod. proc. civ., il ricorso per cassazione deve contenere gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed altresì a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, mediante trascrizione integrale del documento che si denunci non o male valutato, dato che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative” (cfr., fra le molte conformi, Cass. n. 10484/2001).
3.2. La ricorrente, inoltre, nel denunciare l’errore in cui sarebbe incorso il giudice di appello, come già il Tribunale, nell’interpretazione degli accordi intercorsi fra le parti, mediante la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 3 in relazione al complesso delle regole di ermeneutica fissate dagli artt. 1362 ss. cod. civ., non si è attenuta al principio di diritto, secondo il quale “la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale (nella specie, del contratto individuale di lavoro), non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., avendo l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa” (Cass. n. 25728/2013; conforme, fra le altre, n. 15798/2005): principio ancora di recente ribadito da Cass. n. 15350/2017 (ord.) anche per il caso in cui “nella sentenza impugnata risulti omesso l’espresso riferimento ad uno specifico criterio interpretativo legale”.
3.3. Il motivo in esame risulta infine inammissibile, nella parte in cui denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per carenza di interesse ad impugnare e comunque per difetto di autosufficienza, non essendo riprodotte le difese in appello della S. in cui l’eccezione di nullità del contratto in data 1/1/2008 sarebbe stata nuovamente proposta.
4. Il secondo motivo è, per una parte, inammissibile e, per altra parte, infondato.
4.1. Esso è inammissibile, per le medesime ragioni già indicate sub 3.1., là dove deduce l’errore della Corte territoriale nel considerare stipulato dalle parti un patto di prova e sussistente la specifica indicazione, all’interno di esso, delle mansioni oggetto del futuro esperimento, non trascrivendo né il contratto individuale di assunzione, né quello avente ad oggetto la gestione della farmacia, e cioè i documenti dal cui esame la Corte ha tratto il proprio convincimento; e per difetto di autosufficienza, là dove ripropone la questione della mancata allegazione e prova dell’effettivo svolgimento delle attività professionali proprie del farmacista, non censurando in alcun modo quella parte della sentenza impugnata in cui la Corte di appello ha ritenuto la tardività della relativa deduzione (cfr. p. 5, terzultimo capoverso).
4.2. Il motivo in esame è comunque infondato, essendosi la Corte di appello uniformata al consolidato orientamento di legittimità, per il quale “il patto di prova apposto al contratto di lavoro, oltre a dover risultare da atto scritto, deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, la quale può essere operata anche per relationem alle declaratorie del contratto collettivo che definiscano le mansioni comprese nella qualifica di assunzione e sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico” (cfr., fra le molte conformi, Cass. n. 11722/2009): ciò che la Corte risulta avere specificamente accertato, sottolineando il rinvio operato nella lettera di assunzione al “1° livello Super del CCNL indicato nell’atto ed applicato al rapporto, ossia CCNL delle Farmacie Private” e il riferimento contenuto nella declaratoria di tale livello al “direttore di farmacia” (cfr. ancora sentenza impugnata, p. 5, quinto capoverso).
5. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.
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