CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 febbraio 2019, n. 5377
Professionista – Avvocato – Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense – Iscrizione retroattiva per gli anni di pratica forense – Richiesta
Fatti di causa
1. M. T. adiva il Tribunale di Venezia chiedendo che venisse dichiarata illegittima e/o revocata con efficacia retroattiva la decisione della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense (d’ora in avanti, Cassa) di cessazione della iscrizione di esso ricorrente dalla medesima a decorrere dal 2.11,2008 con declaratoria del suo diritto ad esservi reiscritto senza soluzione di continuità con l’iscrizione pregressa.
2. Evidenziava in punto di fatto: di essere stato iscritto alla Cassa sin dal 1°.1.99 e di aver fatto anche richiesta di iscrizione retroattiva per gli anni di pratica forense e di aver riscattato gli anni del corso di laurea; di aver domandato – avendo vinto un concorso di ricercatore universitario presso l’Università Cà Foscari di Venezia e dovendo per i primi tre anni prendere ruolo a tempo pieno – al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia presso il quale era iscritto di essere trasferito nell’elenco speciale dei professori universitari ordinari, associati e ricercatori di cui al previgente art. 3 della legge professionale forense; che il Consiglio dell’Ordine menzionato, aveva disposto il trasferimento richiesto; che, a distanza di vari mesi, la Cassa gli aveva comunicato, in data 11.5.2009, la cessazione della sua iscrizione “…a decorrere dal 2.11.2008 data di assunzione della delibera costitutiva con la quale è avvenuta l’ultima cancellazione dall’Albo Professionale …ove ella era iscritto”.
3. L’adito giudice accoglieva il ricorso e tale decisione veniva riformata, con sentenza del 3 giugno 2013, dalla Corte d’Appello di Venezia che respingeva integralmente le domande del T.. In particolare, ad avviso della Corte territoriale e per quello ancora di rilievo in questa sede: la cancellazione dall’Albo ordinario del ricercatore a tempo pieno era del tutto legittima così come lo era la conseguente “cessazione dell’iscrizione” e, inoltre, se i! regime di incompatibilità con lo svolgimento dell’attività libero-professionale era assoluto non era comprensibile come potessero essere soddisfatti i requisiti della continuità e dell’effettività dell’esercizio dell’attività espressamente richiesti dall’art. 22 della L. 20 settembre 1980 n 576, evidenziandosi che il parametro reddituale per il versamento dei contributi non sarebbe stato più quello riveniente dall’attività libero-professionale come previsto espressamente dalla normativa previdenziale della Cassa.
4. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il T. affidato a quattro motivi cui resiste con controricorso la Cassa.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
6. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 22 L. n. 576/1980 e 12 Preleggi (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) perché, contrariamente a quanto affermato nell’impugnata sentenza, l’art. 22 cit. non prevede affatto la cancellazione dalla Cassa come conseguenza necessaria della mancanza di continuità nell’esercizio dell’attività professionale laddove solo lo Statuto ed il Regolamento contemplavano la cessazione d’ufficio dalla iscrizione per coloro che erano stati cancellati da tutti gli albi professionali.
7. Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 3 R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578, 11 del d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, 53, n. 7, del d.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165 e 2 della L. 22 luglio 1975 n. 319 ( in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.) avendo la Corte territoriale erroneamente affermato che I professori ed i ricercatori universitari a tempo pieno avrebbero un’incompatibilità assoluta ai sensi dell’art. 2 L. 319/1975 cit. laddove, diversamente, l’art. 3 del R.D.L. n. 1578/1933 ( legge professionale applicabile ratione temporìs) prevedeva per i docenti universitari un’eccezione alla regola generale dell’incompatibilità con la professione forense fissata per i dipendenti dello Stato, ragion per cui non ricorreva alcuna delle ipotesi previste dall’art. 2 della L. n. 319/1975 di cancellazione d’ufficio dalla Cassa. Inoltre, l’art. 11 del D.P.R. n. 382/1980 disciplinava i rapporti tra docenti ed università prevedendo incompatibilità cui la legge ricollegava sanzioni attivabili dal rettore ma non soggette al controllo disciplinare del Consiglio dell’Ordine al quale il docente fosse stato iscritto nell’elenco speciale e, peraltro, le previsioni dell’ordinamento universitario fissavano dei limiti alle attività del docente iscritto all’elenco speciale ma non introducevano un’incompatibilità assoluta come erroneamente affermato nell’impugnata sentenza che non aveva neppure considerato l’art. 53 n. 7 del d.Lgs. n. 165/2001 che autorizza i docenti a tempo pieno a svolgere incarichi retribuiti esterni previa autorizzazione del proprio ateneo.
8. Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 1 e 12 Preleggl, 3 R.D.L. n. 1578/1933, 1 e 3 del d.Lgs. 30 giugno 1994 n. 509, 6, n.3, dello Statuto della Cassa approvato con decreto interministeriale 23.12.2003 e 3 del Regolamento della Cassa aoprovato con decreto interministeriale 28.9.1995 ( in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.) in quanto l’applicazione delle norme citate dello Statuto e del Regolamento avrebbero dovuto portare ad una decisione del tutto diversa da quella impugnata perché: la mancanza di continuità nell’esercizio della professione non era causa di cancellazione d’ufficio ma accordava all’interessato la facoltà di domandare la cancellazione; l’iscrizione all’elenco speciale (come nel caso de quo) non giustificava quale effetto consequenziale la “cessazione dell’iscrizione” ipotesi quest’ultima ricorrente solo nel caso di cancellazione da tutti gli albi professionali.
9. Con il quarto motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss cod. civ. in relazione agli artt. 3 R.D.L. n. 1578/1933 e 6 , n.3, dello Statuto della Cassa e 3 del Regolamento della Cassa ( in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) ovvero si ripropongono le ragioni di doglianza di cui al terzo motivo anche sotto il profilo della violazione delle norme di ermeneutica contrattuale.
10. I quattro motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
11. Osserva il Collegio che per l’iscrizione alla Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense, al tempo in cui si colloca la fattispecie, occorrevano due requisiti: l’iscrizione all’albo professionale e l’esercizio della professione con carattere di continuità ai sensi de l’art. 2 della legge 22 luglio 1975 n. 319 ( Cass. n. 5660 del 19/05/1993; vedi anche Cass. n. 6031 del 04/07/1997; secondo la regola esistente prima dell’introduzione dell’automaticità dell’iscrizione alla Cassa a seguito dell’iscrizione all’albo degli avvocati ex art. 5 del Regolamento di attuazione ed art. 21, L. 31 dicembre 2012 n. 247) e come comprovato dal disposto del secondo comma del citato art. 22, come sostituito dall’art. 11 della L. 11 febbraio 1992 n. 141. Nell’ipotesi in cui la professione non venisse svolta con continuità l’art. 6, n.3, dello Statuto consentiva ai professionista di chiedere la cancellazione dalla Cassa secondo i criteri determinati dal Comitato dei delegati, ma comunque, anche in questo caso l’esercizio della professione, sia pure in modo non continuativo, era il presupposto per l’iscrizione alla Cassa. L’iscrizione, quindi, non era consentita nei caso in cui non vi fosse stato, neppure in modo sporadico, lo svolgimento della professione di avvocato ed il sistema non escludeva che potesse esercitarsi la professione forense anche senza essere iscritti alla Cassa.
12. In altri termini, non esisteva un diritto alla iscrizione alla Cassa a prescindere dall’esercizio della professione forense.
13. Ciò detto, nel caso in esame, il ricorrente invoca la illegittimità della delibera della Cassa con la quale era stata cancellato d’ufficio ( e con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2011, essendo stato nuovamente iscritto nel 2012) sul rilievo che la cancellazione d’ufficio era prevista dallo Statuto e dal Regolamento solo per ccloro che erano stati cancellati da tutti gli albi professionali mentre la cancellazione nel caso di attività professionale svolta in modo non continuativo era prevista solo a domanda dell’avvocato. In buona sostanza finisce con il porre a fondamento della propria pretesa un diritto al permanere della sua iscrizione alla Cassa pur nel dichiarato mancato esercizio della professione di avvocato ed al solo fine di poter pagare i contributi anche per i predetti tre anni in modo da non perdere la continuità tra i periodi.
14. Ebbene, proprio alla luce del disposto dell’art. 22 L. n. 576/1980 cit. e per quanto sopra esposto, il T., in mancanza del requisito dell’esercizio continuativo della professione forense, non avrebbe potuto rimanere iscritto alla Cassa.
15. Peraltro, del tutto irrilevante nel presente giudizio in cui si controverte della sussistenza dei presupposti per l’iscrizione alla Cassa è il rilievo che il T. in quanto iscritto nell’Elenco speciale dei professori universitari e non all’Albo ordinario era da considerarsi facente parte dell’ordine forense. E, comunque, nel senso della incompatibilità con lo svolgimento della professione di avvocato da parte del ricercatore universitario a tempo pieno si è già espressa questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 389 del 11/01/2011, in motivazione).
16. Alla luce di quanto esposto il ricorso va rigettato.
17. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.
18. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.