CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 febbraio 2022, n. 5861
Tributi – ICI – Accertamento – Attribuzione maggiore rendita – Notifica atto impositivo Ici – Validità come notifica della rendita attribuita – Impugnabilità
Fatti di causa
F.A.G. e D.S.C. propongono ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Toscana aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 97/3/2012 della Commissione Tributaria Provinciale di Prato in rigetto del ricorso proposto avverso avvisi di accertamento notificati dalla S.R. S.p.A per conto del Comune di Prato per infedele dichiarazione ed omesso versamento ICI per gli anni 2006-2007.
La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, aveva respinto l’appello ritenendo adeguatamente motivati gli avvisi di accertamento, che non sussistesse duplicazione del contenzioso relativo ai medesimi atti, posto che i primi avvisi di accertamento emessi per le suddette annualità erano stati annullati in autotutela dalla società di riscossione, e che non assumesse rilevanza la mancata notifica del provvedimento di attribuzione di maggiore rendita catastale da parte dell’Agenzia del Territorio atteso che gli atti impositivi impugnati contenevano la formale notifica della rendita, impugnabile dai contribuenti assieme all’atto impositivo.
Il Comune di Prato è rimasto intimato, la S.R. S.p.A. si è costituita al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti impugnano, ai sensi dell’art. 360 nm. 3 e 5 c.p.c., la sentenza della Commissione Tributaria Regionale nella parte in cui, in merito a <<la duplicazione del procedimento>>, afferma che i primi avvisi di accertamento erano stati annullati in autotutela dal Comune, senza rilevare che i ricorrenti non avevano ricevuto alcuna notifica di tale provvedimento con conseguente mancata cessazione della materia del contendere relativamente al ricorso proposto con riguardo a tali atti impositivi.
1.2. La censura è inammissibile per mancata indicazione delle norme che si assumono violate atteso che, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sent. n. 23745/2020), in tema di ricorso per cassazione l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa.
1.3. Parimenti la censura è inammissibile anche sotto il profilo che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., allorché, come nel caso in esame, il ricorrente non abbia evidenziato specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto, non essendo infatti consentito rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. Cass. nn. 26790/2018, 24493/2018).
1.4. La censura, infine, non coglie neppure la ragione decisoria sottesa alla decisione impugnata, secondo cui la duplicazione era esclusa sia quanto ai procedimenti (per cessata materia del contendere sulle opposizioni precedenti) sia quanto all’imposizione (per avvenuto annullamento in autotutela dei precedenti avvisi con loro rinnovazione in tempo utile).
2.1. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione di norme di diritto (artt. 3 e 21 septies L. n. 241/1990, art. 7 L. n. 212/2000, art. 1 commi 334 e 335 L. n. 311/2004) per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto adeguatamente motivati gli atti impugnati, relativi a revisione di classamento catastale, sebbene emessi senza preventivo sopralluogo da parte dell’Amministrazione e senza l’indicazione, al loro interno, dei dati essenziali relativi alla variazione in aumento dei valori della rendita.
2.2. Con il terzo motivo si denuncia violazione di norme di diritto (art. 74 l. n. 342/2000) per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto la legittimità degli atti impugnati, emessi per la riscossione ICI, pur in mancanza di previa notifica del nuovo classamento ai ricorrenti.
2.3. Le censure, da scrutinare congiuntamente, sono infondate e vanno disattese.
2.4. Va anzitutto richiamato il principio, espresso da questa Corte con la sentenza n. 10574/2010, secondo cui « l’art. 74, comma 3, della legge 21 novembre 2000, n. 342, nell’attribuire alla notificazione dell’atto impositivo fondato su atti, adottati entro il 31 dicembre 1999, comportanti l’attribuzione o la modificazione della rendita, valore di notificazione della rendita stessa, non richiede che l’atto impositivo contenga in ogni caso la motivazione sui presupposti e sui criteri di stima seguiti dall’Agenzia del Territorio, configurandosi tale obbligo solo quando deve procedersi alla stima diretta dell’immobile (come nel caso di attribuzione di rendita a fabbricati con destinazione speciale o particolare) e non quando si tratta di semplice variazione di classamento, comportante la sola applicazione all’immobile di valori determinati per legge o per regolamento in relazione al tipo ed alla consistenza del fabbricato. Ne consegue che l’atto di liquidazione il quale riporti i dati di classificazione dell’immobile con la classe, la consistenza e la rendita attribuita in relazione a tali elementi, è sufficiente a consentire al contribuente che individui un errore di classificazione concernente il proprio immobile, o che ritenga non sussistere i requisiti per la variazione catastale, di effettuare l’impugnazione della rendita, aprendo un contenzioso specifico con la Agenzia del Territorio anche sulla base del semplice raffronto di tali dati con quelli su cui in precedenza era stata applicata l’imposta ».
2.5. Va, inoltre, richiamato il disposto dell’art. 74, L. n. 342 del 2000, comma 1, a mente del quale, <<a decorrere dal 1 gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell’ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita>>, sicché la necessità (sostenuta dalla contribuente) della notificazione degli <<atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati>> costituisce condizione di efficacia degli stessi soltanto dalla data indicata nella norma, giacché per gli atti comportanti attribuzione di rendita adottati entro il 31 dicembre 1999 il Comune può legittimamente richiedere l’ICI dovuta in base al classamento, che ha effetto dalla data di adozione e non da quella di notificazione; che il legislatore, stabilendo con il citato art. 74 che da tale giorno gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, non ha affatto voluto restringere il potere di accertamento tributario al periodo successivo alla notificazione del classamento ma, piuttosto, ha inteso segnare il momento a partire dal quale l’amministrazione comunale può richiedere l’applicazione della nuova rendita ed il contribuente può tutelare le sue ragioni contro di essa, non potendosi confondere l’efficacia della modifica della rendita catastale, coincidente con la notificazione dell’atto, con la sua applicabilità, che va riferita invece all’epoca della variazione materiale che ha portato alla modifica, stante la natura dichiarativa e non costitutiva dell’atto attributivo della rendita (cfr. Cass. S.U. n. 3160/2011; Cass. n. 18056/2016; n. 12320/2016; n. 12753/2014; n. 16031/2009; n. 9203/2007).
2.6. L’art. 74, comma 3, L. n. 342 del 2000 va, dunque, interpretato nel senso che qualora – come nella fattispecie in esame – la rendita catastale sia stata attribuita entro il 31 dicembre 1999 e l’atto impositivo che la recepisce sia stato notificato successivamente alla data di entrata in vigore della citata L. n. 342 del 2000 (10 dicembre 2000), soltanto con tale notificazione il contribuente acquisisce piena conoscenza di detta attribuzione (laddove, fino al 31 dicembre 1999, era sufficiente l’affissione all’Albo pretorio), con la conseguenza che dalla data della notificazione medesima il contribuente è legittimato a proporre impugnazione non solo avverso la determinazione del tributo ma anche nei confronti della determinazione della rendita (cfr. Cass. n. 2952/2010; n. 10801/2010; n. 5373/2009).
2.7. Avuto riguardo al regime degli atti comportanti attribuzione di rendita adottati entro il 31 dicembre 1999, il Comune di Prato poteva calcolare legittimamente l’imposta in base alla nuova rendita, anche in mancanza di previa notificazione di questa, e l’ICI dovuta per anni precedenti la notificazione dell’atto impositivo (2/1/2012) è stata correttamente commisurata alla rendita catastale attribuita dal competente Ufficio, ancorché non preventivamente notificata.
2.8. Poste tali premesse, va altresì evidenziato che in tema di ICI, l’art. 74, comma 3, della l. n. 342 del 2000, nell’attribuire alla notificazione dell’atto impositivo fondato su atti, adottati entro il 31 dicembre 1999, comportanti l’attribuzione o la modificazione della rendita, valore di notificazione della rendita stessa, non richiede che l’atto impositivo contenga, in ogni caso, la motivazione sui presupposti e sui criteri di stima seguiti dall’Agenzia del Territorio, configurandosi tale obbligo solo quando deve procedersi alla stima diretta dell’immobile (come nel caso di attribuzione di rendita a fabbricati con destinazione speciale o particolare) e non quando si tratta di semplice variazione di classamento, comportante la sola applicazione all’immobile di valori determinati per legge o per regolamento in relazione al tipo ed alla consistenza del fabbricato, al che consegue che l’atto di liquidazione che riporti i dati di classificazione dell’immobile con la classe, la consistenza e la rendita attribuita in relazione a tali elementi, come nell’odierna fattispecie (non sussistendo contestazione al riguardo) è sufficiente a consentire al contribuente che individui un errore di classificazione concernente il proprio immobile, o che ritenga non sussistere i requisiti per la variazione catastale, di effettuare l’impugnazione della rendita, aprendo un contenzioso specifico con la Agenzia del Territorio anche sulla base del semplice raffronto di tali dati con quelli su cui in precedenza era stata applicata l’imposta (cfr. Cass. n. 14400/2017).
2.9. Nel caso in esame, come evidenziato nella sentenza impugnata, i contribuenti, gli avvisi di accertamento oggi in discussione, notificati in data 2.1.2012 costituiscono in ogni caso notifica del diverso classamento dell’immobile e i contribuenti non hanno proposto avverso di essi autonoma impugnazione nei confronti dell’Agenzia dell’entrate, come era loro onere (cfr. Cass. n. 25550/2014), al che consegue l’infondatezza delle censure rivolte avverso gli atti impugnati nel presente giudizio.
3.1. Con il quarto motivo si denuncia la nullità del procedimento per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Agenzia delle entrate relativamente all’impugnazione della rendita catastale e del classamento.
3.2. La censura va parimenti disattesa poiché proprio in ragione del richiamato disposto della L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 3, per il quale la notifica dell’atto impositivo ai fini ICI, avvenuta il 2.1.2012, vale anche come atto di notificazione della rendita attribuita, il contribuente avrebbe dovuto autonomamente impugnare nei confronti dell’Agenzia del Territorio l’atto modificativo della rendita nei 60 giorni dalla predetta data per non incorrere nella decadenza dovuta al vano decorso del termine per la proposizione dell’impugnazione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, in tal senso deponendo l’autonomia tra i giudizi d’impugnazione dell’atto di attribuzione della rendita catastale, che dell’avviso di accertamento ai fini ICI costituisce il presupposto, e quello d’impugnazione dell’atto impositivo emanato dall’ente locale, come affermato correttamente dalla decisione impugnata, richiamando in proposito la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. civ. sez. 5^ 18 aprile 2007, n. 9203; si vedano anche, più di recente Cass. civ. sez. 5^ 30 aprile 2010, n. 10571 e Cass. civ. sez. 6^ – 5^ ord. 10 gennaio 2014, n. 421).
3.3. Ne consegue che l’Agenzia delle entrate non assume la posizione di litisconsorte necessario nel giudizio relativo all’avviso di accertamento dell’ente locale, del tutto distinto rispetto all’impugnazione dell’atto attributivo della rendita catastale.
4. Sulla scorta di quanto sin qui illustrato il ricorso va integralmente respinto.
5. Nulla sulle spese stante la mancanza di attività difensiva di S.R. S.p.A.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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