CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 giugno 2018, n. 16544
Tributi – Agevolazioni fiscali – Enti non commerciali – Gestione sala bingo – Esercizio di attività commerciale – Disconoscimento qualifica di ente non commerciale – Revoca agevolazioni
Ritenuto in fatto
L’Associazione Ricreativa S., con sede legale in Fano, ricorre, articolando quattro motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche (hinc: CTR), indicata in epigrafe, che – in controversia avente a oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento recante maggiori IRPEG, IRAP e IVA, per l’anno d’imposta 2003, per la contestata attività d’impresa in luogo di quella no profit dichiarata dall’Ente – in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha riformato la sentenza di primo grado, favorevole alla contribuente.
La CTR ha premesso che l’atto impositivo scaturiva da un’indagine della Guardia di finanza all’esito della quale veniva contestato all’Associazione di svolgere attività d’impresa e, segnatamente, la gestione di una sala Bingo.
Ha quindi ritenuto legittimo l’accertamento fiscale alla stregua di vari indici fattuali che consentivano di escludere che la contribuente presentasse le caratteristiche oggettive tipiche di un ente non profit e di affermare che, in sostanza, l’Associazione ricreativa S. agisse in una linea di continuità rispetto alla cessata P. C. Srl, esercente la gestione di una sala Bingo, che aveva dovuto interrompere la propria attività a causa di un ritardo nel rilascio delle prescritte autorizzazioni.
La ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Considerato in diritto
- Primo motivo di ricorso: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto. 1) Qualificazione Ente Non Commerciale. Agevolazioni art. 148 Tuir e art. 4 dpr 633.».
La ricorrente lamenta che la sentenza impugnata: «dato per scontata la qualificazione dell’associazione S. quale ente non commerciale» (cfr. pag. 8 del ricorso per cassazione), abbia, tuttavia, negato contra legem che, nella specie, fosse applicabile l’art. 148, comma 3, TUIR, che prevede la “decommercializzazione” di tutte le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali dell’Ente, purché rivolte ai soli associati, anche se effettuate verso il pagamento di corrispettivi specifici.
Soggiunge che la ratio di tale (erronea) esclusione risiederebbe, ad avviso della CTR, nella presunta mancanza di valide ragioni economiche per la costituzione di un’associazione no profit, cui fa riferimento l’art. 37- bis, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (temporalmente vigente), il cui richiamo, però, – secondo la prospettazione difensiva – non sarebbe pertinente sia a causa dell’assenza, nella specie, delle operazioni aziendali e societarie descritte dal medesimo articolo, sia perché non è possibile riferire a Enti non commerciali un metro di valutazione – quello dell’economicità – antitetico rispetto al settore no profit.
Da ultimo, la contribuente estende tali rilievi critici, riguardanti le imposte dirette, all’indebita imposizione ai fini IVA, per effetto delle disposizioni di cui all’art. 4, quarto e sesto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
1.1. Il motivo è infondato.
Esso non coglie compiutamente la ratio decidendi della sentenza impugnata che, in realtà, non ha negato che la contribuente potesse beneficiare del regime fiscale di favore riservato alle associazioni ricreative, supponendo – in termini puramente astratti – che essa fosse, per così dire, il veicolo del quale i soci della P. C. Srl si sono avvalsi per proseguire l’attività commerciale della società di capitali – consistente nell’esercizio del gioco d’azzardo -, al fine di eludere le disposizioni tributarie.
Al contrario, la CTR ha ben individuato, sul piano normativo, gli aspetti essenziali della controversia, ed è giunta alla conclusione (ingiustamente censurata dalla contribuente) di escludere la natura no profit dell’Ente, al termine di un ragionamento corroborato dall’illustrazione di un’univoca sequenza di elementi di fatto, il cui apprezzamento si appalesa eccentrico rispetto al controllo di legittimità demandato alla Corte (nello stesso senso, vedi § 4.1.).
Si può affermare che l’accertamento, in base al contenuto della sentenza impugnata, non sia avvenuto in applicazione della norma antielusiva dell’art. 37-bis cit., ma sulla base della constatata natura commerciale dell’attività svolta dall’Ente associativo che – alla stregua dell’apprezzamento delle circostanze di fatto compiuto dal giudice di merito (che, per esempio, ha negato che l’Associazione rispettasse i canoni di democrazia interna, propri degli enti no profit, in conformità delle prescrizioni dell’art. 148, comma 8, lett. e, TUIR) – non ha esercitato attività «culturale, ricreativa e di promozione sociale», ma si è occupata della gestione di una sala Bingo, in continuità coll’oggetto sociale della disciolta P. C. Srl.
- Secondo motivo: «2) Violazione di legge. Errata determinazione basi imponibili.».
La ricorrente si duole (in subordine, rispetto al precedente rilievo critico) che la sentenza della CTR, nell’ipotesi di recupero a reddito delle entrate dell’Associazione, abbia violato le norme in materia di determinazione della base imponibile, ai fini delle imposte dirette e ai fini IVA, per non avere ammesso in deduzione i costi sostenuti (e mai contestati), certamente “inerenti”, rappresentati dai canoni di locazione regolarmente pagati alla locatrice P. C. Srl.
2.1. Il motivo è inammissibile.
La doglianza non rispetta il principio d’autosufficienza in quanto, non essendo stato riprodotto, nel testo del ricorso per cassazione, il contenuto dell’atto d’impulso del processo tributario, la Corte non è posta nella condizione di verificare se l’asserita violazione dei criteri di determinazione della base imponibile fosse ricompresa tra i profili di censura dell’atto impositivo o se, al contrario, la critica venga prospettata, in modo inammissibile, per la prima volta nel giudizio di legittimità, senza essere stata dedotta nei precedenti gradi di merito.
- Terzo motivo: «Omessa insufficiente contraddittoria motivazione. 3) Omessa valutazione sentenza penale relativa a fatti rilevanti di causa.».
Un altro rilievo critico si appunta sull’omessa valutazione, da parte della CTR, di fatti e circostanze, rilevanti nel giudizio tributario, accertati con sentenza nel processo penale scaturito dall’indagine della Guardia di
Finanza che aveva condotto all’emissione di atti impositivi (concernenti anche le annualità 2002, 2004, 2005) a carico della contribuente.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Esso non soddisfa il principio d’autosufficienza in quanto, in difetto di trascrizione, nel tessuto narrativo del ricorso per cassazione, delle controdeduzioni della contribuente nel giudizio d’appello, non è dato conoscere se la ricorrente abbia chiesto alla CTR di valutare le risultanze del processo penale, ovvero se tale richiesta sia stata formulata, per la prima volta (in modo inammissibile), in sede di legittimità.
D’altra parte, si deve anche escludere che il giudice tributario fosse vincolato dall’esito del processo penale, in virtù dei seguenti argomenti: a) mancanza di prova del passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Pesaro, sezione distaccata di Fano, n. 367/2009 (allegata al ricorso per cassazione), che riguarda la contestazione, in concorso, anche ai soci dell’Associazione Ricreativa S., dell’esercizio del gioco d’azzardo; b) l’oggetto del processo penale – esercizio di giochi d’azzardo (art. 718 cod. pen.) – è diverso da quello del giudizio tributario – verifica dell’accertamento di attività commerciale anziché no profit -; c) la sentenza penale (purché) definitiva non può essere opposta, con efficacia di giudicato, a un soggetto, nella specie l’Agenzia delle entrate, che non ha partecipato al giudizio penale; d) al giudice tributario è rimesso l’apprezzamento discrezionale delle risultanze del processo penale, che è disciplinato da regole diverse rispetto a quelle che caratterizzano il processo tributario, per esempio in tema di formazione della prova.
Sotto quest’ultimo profilo, occorre richiamare il condivisibile indirizzo della Corte, secondo cui: «In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna; ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie, ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere a un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio.» (Cass. 24/11/2017, n. 28174).
- Quarto motivo: «4) Insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente alla organizzazione associativa.».
Si fa valere il vizio della trama argomentativa della sentenza impugnata che, pur riconoscendo la legittimità del metodo d’ammissione dei soci secondo la regola della “porta aperta” (ossia senza l’adozione di rigide forme per l’ingresso dei nuovi aderenti), poi, contraddittoriamente, ha stimato indispensabile una verifica d’ammissibilità dei neo-iscritti all’Ente no profit.
Si denuncia, infine, che: «I rilievi contenuti nella motivazione della sentenza appaiono esorbitanti, lacunosi ed erronei» (cfr. pag. 17 del ricorso per cassazione), con specifico riferimento ai passi dello sviluppo motivazionale della sentenza impugnata relativi alle modalità di convocazione delle assemblee, all’inidoneità dei locali dell’Ente ad accogliere i numerosissimi soci (alcune migliaia) e al sistema di voto da parte del socio.
4.1. Il motivo è infondato.
Costituisce ius receptum che il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., vigente ratione temporis, di: «omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione» attiene necessariamente a un: «fatto controverso e decisivo per il giudizio», ossia a un fatto storiconaturalistico, principale o secondario, risultante dalla sentenza o dagli atti processuali, dedotto con un’esposizione chiara e sintetica, in relazione al quale si assume un vuoto argomentativo (omessa motivazione), oppure la carenza della trama argomentativa che la renda inidonea a dare conto delle ragioni della decisione (insufficiente motivazione) o, infine, un percorso argomentativo incomprensibile per l’insuperabile contrasto tra asserzioni inconciliabili (motivazione contraddittoria) (cfr., ex multis, Cass. 29/07/2015, n. 15997; Cass. 29/07/2011, n. 16655).
Ciò premesso, è dato rilevare che l’iter logico-giuridico della sentenza impugnata, anche se vagliato al lume delle (surrichiamate) circostanze di fatto, dedotte dalla contribuente, non si presta ad alcuna effettiva e consistente ragione di censura.
Difatti, la CTR, individuata la quaestio iuris della controversia – ossia (alternativamente) la natura no grofit o commerciale dell’Associazione ricreativa S. – al termine di un complesso, scrupoloso e articolato esame degli elementi salienti della vicenda, ha formulato un giudizio di merito, estraneo al controllo di legittimità, secondo cui, da un lato, la contribuente (gravata del relativo onere probatorio), non ha dimostrato di possedere i requisiti per fruire del trattamento fiscale riservato alle associazioni non commerciali (come accennato al § 1.1., per esempio, la CTR ha persino negato che l’Associazione rispettasse i canoni di democrazia interna, propri degli enti no profit, in conformità delle prescrizioni dell’art. 148, comma 8, lett. e, TUIR) e, dall’altro, è risultato che essa abbia operato all’interno del binario dell’attività d’impresa (consistente nella gestione di una sala Bingo) della cessata P. C.
- In definitiva, il ricorso va rigettato.
- Le spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.200,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
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