CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 giugno 2018, n. 16546
Tributi – Acquisto di laboratorio artigianale – Detrazione dell’IVA – Deduzione delle quote di ammortamento – Strumentalità del fabbricato all’esercizio dell’attività d’impresa – Necessità – Onere di prova a carico del contribuente
Ritenuto in fatto
1. A.B. ricorre, con cinque motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana (hinc: CTR), indicata in epigrafe, che – in controversia avente a oggetto l’impugnazione di due avvisi di accertamento, per le annualità 2004 e 2005, per l’indebita detrazione dell’IVA, relativa all’acquisto di un fabbricato a uso artigianale, perché ritenuto non strumentale all’esercizio dell’attività di commercio di mobili usati, svolta altrove dal contribuente, nonché per l’indebita deduzione, ai fini IRPEF, delle quote d’ammortamento del medesimo cespite, per difetto d’inerenza – ha confermato la sentenza di primo grado sfavorevole al contribuente.
La CTR, innanzitutto, ha affermato l’infondatezza dell’eccezione del ricorrente di nullità dei due avvisi di accertamento, per mancata redazione di un verbale di constatazione al termine dell’accesso mirato dell’Ufficio nei locali dell’azienda del contribuente; in secondo luogo, ha escluso che quest’ultimo, gravato del relativo onere probatorio, abbia dimostrato l’inerenza del fabbricato (acquistato) alla sua attività d’impresa.
Considerato in diritto
1. Primo motivo di ricorso: «Si denuncia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, c. 1, n. 5 del c.p.c.».
Il ricorrente lamenta l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata che – nel condividere la pronuncia di primo grado, che ha disatteso la sua eccezione relativa al vizio degli atti impositivi per l’omessa redazione di un verbale di constatazione al termine della verifica fiscale – non ha chiarito se tale mancanza costituisse una violazione di legge o se, invece, integrasse una mera irregolarità.
1.1. Il motivo è infondato.
Non si ravvisa la dedotta carenza di sviluppo motivazionale in quanto la CTR ha dato conto delle ragioni del proprio convincimento, laddove ha negato la fondatezza delle eccezioni del contribuente, di carattere formale, riguardanti gli atti «propedeutici all’accertamento» ed ha soggiunto che: «le eventuali irregolarità non hanno inficiato il valore probatorio degli atti medesimi;» (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata).
2. Secondo motivo: «Si denuncia violazione degli articoli 52, c. 6, del D.P.R. 633/72, 33, c. 1, del D.P.R. 600/73, 12, c. 7, della legge n. 212/00 e 24 della legge n. 4/29, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3 del C.p.c.».
Il ricorrente si duole dell’errore di diritto della sentenza d’appello, ove la si debba interpretare nel senso che essa abbia statuito che, al termine della verifica fiscale, non vi sia alcun obbligo di redazione di un processo verbale di constatazione, la cui mancanza – secondo la CTR – non comporterebbe l’annullabilità del successivo avviso d’accertamento e integrerebbe, al più, una mera irregolarità, inidonea a incidere sul valore probatorio degli atti impositivi.
2.1. Il motivo è infondato.
Occorre premettere che alla suaccennata eccezione del ricorrente l’Agenzia delle entrate ha replicato (anche con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ.) che i funzionari dell’Amministrazione finanziaria non hanno compiuto una “verifica fiscale” presso la sua impresa, ma hanno effettuato un “accesso mirato” e, in conformità dell’art. 52, d.P.R. n. 633/1972: «hanno correttamente redatto il processo verbale relativo all’accesso eseguito, dando atto della documentazione acquisita e di quella che successivamente sarebbe stata consegnata dal funzionario, verbale che a sua volta è stato firmato dal contribuente e di cui una copia è stata allo stesso consegnata.» (cfr. pagg. 6 e 7 del controricorso).
All’esistenza di un contraddittorio tra gli organi di controllo e il contribuente, rispettoso delle prerogative, delle garanzie e, più in generale, del diritto di quest’ultimo di essere informato dell’attività lato sensu ispettiva, come prescritto dall’art. 12, legge 27 luglio 2000, n. 212, allude, altresì, in forma succinta, la sentenza impugnata che nega che B., gravato del relativo onere probatorio, abbia dato dimostrazione dell’inerenza del fabbricato, nel passaggio argomentativo in cui testualmente si afferma che egli ha dichiarato di non avere utilizzato l’immobile per tale finalità e, ancora, di avere avuto solo l’intenzione di farlo, senza poi realizzarla per ragioni personali (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata).
Ciò precisato, osserva la Corte che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di constatazione, essendo sufficiente un verbale attestante le operazioni compiute; dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni decorre il termine di sessanta giorni entro il quale il contribuente può comunicare osservazioni e richieste che sono valutate dagli Uffici impositori, ai sensi dell’art. 12, comma 7, legge n. 212/2000.
S’intende, in tal modo, aderire all’orientamento della Corte, secondo cui: «Il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 decorre da tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo. (In applicazione di tale principio la S.C. ha escluso la nullità dell’avviso di accertamento notificato nel rispetto del termine “de quo” con riferimento ad un verbale di accesso, nonostante l’assenza di un successivo processo verbale di constatazione).» (Cass. 2/07/2014, n. 15010).
3. Terzo motivo: «Si denuncia violazione degli articoli 43 e 75, c. 5, del TUIR nonché degli articoli 6, 19 e 19-bis2 del DPR 633/72 in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3 del c.p.c.».
Il ricorrente censura la sentenza impugnata che ha escluso contra legem il suo diritto alla detrazione dell’IVA e alla deduzione delle quote d’ammortamento concernenti l’immobile acquistato, sul presupposto della mancata dimostrazione – da parte del contribuente, gravato del relativo onere probatorio – della strumentalità del fabbricato a uso artigianale all’esercizio dell’attività d’impresa, con ciò trascurando che si trattava di un laboratorio artigianale la cui «inerenza sussisteva ex lege senza che fosse necessaria alcuna indagine in fatto.» (cfr. pag. 14 del ricorso per cassazione).
Anche perché, per costante giurisprudenza comunitaria, il diritto alla detrazione dell’IVA sorge quando l’imposta diviene esigibile, seppure il bene, astrattamente funzionale all’esercizio dell’impresa, non sia ad esso effettivamente destinato.
3.1. Il motivo, nella sua complessa articolazione (comprensiva del generico richiamo alla giurisprudenza euro-unitaria in tema di detrazione dell’IVA), è infondato.
La disposizione dell’art. 43, comma 2, TUIR secondo cui gli immobili relativi ad imprese commerciali, che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni si considerano strumentali anche se non utilizzati o anche se dati in locazione o comodato, non va intesa come una sorta di riconoscimento della strumentalità del bene a prescindere dalle caratteristiche del medesimo in rapporto con l’attività dell’azienda.
Pertanto, non è condivisibile, sul piano giuridico, la tesi del ricorrente che postula l’esistenza di una categoria d’immobili strumentali ex lege, in quanto, a giudizio della Corte – per potersi avvalere della detrazione dell’IVA e della deduzione delle quote d’ammortamento del bene – il contribuente è gravato dell’onere di dimostrare, alternativamente, di avere utilizzati l’immobile per l’attività d’impresa o che esso è insuscettibile di una destinazione diversa, da quella strumentale all’attività d’impresa, senza radicali trasformazioni.
4. Quarto motivo: «Si denuncia, sotto altro profilo, violazione degli articoli 6, 19 e 19-bis2 del DPR 633/72 in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3 del c.p.c.».
Si fa valere l’error iuris della sentenza impugnata che, nell’affermare la rilevanza, ai fini della detrazione dell’IVA, dell’utilizzo del bene, non ha considerato che detto utilizzo non deve essere coevo all’acquisto dell’immobile, come si evince dall’art. 19-bis2, d.P.R. n. 633/1972, che prevede una rettifica della detrazione qualora il bene non sia successivamente utilizzato; rettifica, nella specie, non necessaria poiché, sia pure in epoca posteriore all’acquisto, il fabbricato venne effettivamente utilizzato per l’esercizio dell’impresa.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Esso non rispetta il principio d’autosufficienza poiché, in difetto di riproduzione del passo dell’atto di gravame da cui risulti che la doglianza era già stata prospettata alla CTR, come motivo d’appello, non è consentito alla Corte di valutare se la stessa censura sia proposta (inammissibilmente), per la prima volta, nel giudizio di legittimità.
5. Quinto motivo: «Si denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, c. 1, n. 5 del c.p.c.».
Si addebita, infine, alla CTR di avere omesso qualunque motivazione in ordine all’irrilevanza della successiva utilizzazione del fabbricato per l’esercizio dell’impresa: «sia in punto di prova dell’inerenza sia in punto di diverso apprezzamento delle conseguenze giuridiche che da essa si potevano far discendere.» (cfr. pag. 16 del ricorso per cassazione).
5.1. Il motivo è inammissibile. Ancora una volta il profilo critico in esso contenuto è privo d’autosufficienza, in mancanza della trascrizione (nel ricorso per cassazione) del passo dell’atto di gravame da cui risulti che la doglianza era già stata prospettata alla CTR, come motivo d’appello, e non è stata fatta valere (inammissibilmente), per la prima volta, in sede di legittimità.
D’altra parte, lo stesso ricorrente riconosce che l’asserita utilizzazione dell’immobile per l’attività d’impresa è successiva all’accertamento fiscale, il che la rende irrilevante.
6. In definitiva, il ricorso va rigettato.
7. Le spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
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