CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 giugno 2018, n. 16547
Tributi – Agevolazioni fiscali – ONLUS – Requisiti formali – Accertamento – Mancanza anche di uno solo dei requisiti fin dal momento dell’iscrizione – Decadenza delle agevolazioni fruite
Fatti di causa
1. A.B. ricorre con sette motivi avverso l’Agenzia delle Entrate, per la cassazione della sentenza n. 61/01/11 emessa il 29 ottobre 2010 dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, depositata il 28 marzo 2011 e non notificata, che, in controversia concernente l’impugnativa degli avvisi di accertamento n. R7L04T300372-2006 per IVA, IRPEG ed IRAP 2001, n. R7L04T300373- 2006 per IVA, IRPEG ed IRAP 2002, n. R7L04T300374 – 2006 per IVA, IRPEG ed IRAP 2003 e n. R7L04T300375 – 2006 per IVA, IRPEG ed IRAP 2004, ha parzialmente accolto, limitatamente alla non ricorrenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 14, comma 4 bis, L. n. 537/93, l’appello della contribuente avverso la sentenza della C.T.P. di Forlì che, a sua volta, ha rigettato il ricorso introduttivo.
2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R. dell’Emilia Romagna esponeva quanto segue : in data 9/2/2001 veniva costituita l’Associazione denominata “Il seme dell’Amore”, con finalità non lucrativa e di utilità sociale, Presidente A.B. e Vice Presidente L.F.; in data 16/2/2001 l’Associazione trasmetteva all’Agenzia delle Entrate la comunicazione ex art. 11 D.Lgs. n. 460/97 per l’iscrizione all’anagrafe Onlus, settore 3 (beneficenza), rifiutata dalla Direzione Regionale, per la contrarietà dello Statuto alla normativa ed alla prassi di settore, con nota comunicata in data 20/7/2004, con cui si invitava l’Associazione a regolarizzare la propria posizione fiscale; in data 20/9/2004 l’Agenzia delle Entrate sottoponeva a verifica fiscale l’Associazione per gli anni di imposta 2001 – 2002 – 2003 – 2004, redigendo P.V.C. in data 10/12/2004; sulla base degli elementi acquisiti in sede di verifica, l’Ufficio notificava alla sig. A.B., in qualità di Presidente dell’associazione, ed al sig. L.F., in qualità di Vice Presidente, quattro avvisi di accertamento ai fini IVA, IRPEG ed IRAP per ogni anno di imposta; l’Agenzia motivava gli accertamenti, sostenendo la mancanza di attività associativa, la mancata partecipazione dei soci all’approvazione dei rendiconti, l’assenza di trasparenza nella contabilità, la distrazione di fondi a fini privati, volta all’arricchimento del Presidente e del Vice Presidente, che dimostravano una capacità reddituale superiore a quella dichiarata; l’Agenzia delle Entrate, quindi, riqualificava le entrate rendicontate dall’Associazione quali ricavi riferibili ad attività commerciale illecita, assoggettabili a tassazione ai sensi dell’art. 14, comma 4 e 4 bis L. 537/93, senza tener conto dei costi, con specifico riferimento all’art. 6, comma 1, Tuir, ritenendo, in sostanza, che l’associazione avesse svolto unicamente attività commerciale, e fosse, quindi, obbligata alla tenuta delle scritture contabili ed alla presentazione delle dichiarazioni fiscali, inquadrandosi fiscalmente nelle figure previste dall’art. 73, comma 1, lett. b) D.P.R. n. 917/86.
La contribuente aveva impugnato gli avvisi di accertamento, deducendo l’intervenuta decadenza ex art. 1957 c.c., il difetto di motivazione, la violazione del D.M. n. 266/2003, art. 5, comma 2, l’inesistenza di redditi imponibili, attesa la natura non commerciale dell’ente, l’illegittimità della mancata deduzione dei costi documentati, l’inesistenza di operazioni imponibili ai fini dell’IVA, l’erronea ricostruzione dei redditi imponibili ai fini delle imposte dirette.
L’Amministrazione Finanziaria resisteva al ricorso, sostenendo la legittimità dell’accertamento ed, in particolare, l’inapplicabilità del termine decadenziale di cui all’art. 1957 c.c. e, nel merito, che l’atto della Direzione Regionale andasse considerato come diniego di iscrizione nel registro delle Onlus e non come cancellazione.
La C.T.P. di Forlì aveva rigettato i ricorsi e la contribuente aveva proposto appello, cui resisteva l’Agenzia delle Entrate.
Per quanto qui di interesse, l’appellante deduceva la nullità delle sentenze, prive di sigla su ogni foglio, l’inesistenza di redditi imponibili ai fini delle II.DD., la falsa applicazione dell’art. dell’art. 14, comma 4 e 4 bis L. 537/93, in base al quale l’amministrazione non aveva tenuto conto dei costi documentati, l’inesistenza di operazioni assoggettabili ad IVA, la falsa applicazione dell’art. 38 c.c. per non aver mai agito rappresentando l’associazione, il decorso del termine di decadenza per l’applicazione della responsabilità personale e solidale, la falsa applicazione dell’art. 28 D.Lgs. n. 460/1997, non sussistendo redditi da attività commerciale.
In data 14 ottobre 2010 l’Ufficio comunicava alla C.T.R. dell’Emilia Romagna di aver provveduto, in autotutela, all’annullamento parziale degli avvisi di accertamento, con il riconoscimento della deducibilità dei costi documentati e della sanzione unica più favorevole al contribuente; entro tali limiti, quindi, la C.T.R. accoglieva l’appello della contribuente, rigettato per il resto.
3. A seguito del ricorso di A.B., l’Agenzia delle Entrate si costituisce e resiste con controricorso.
4. Con istanza del 5 aprile 2018 il difensore della ricorrente chiedeva la trattazione congiunta del presente ricorso con quello recante il n. 19604/11 R.G. all’udienza del 27/4/2018; successivamente le parti rinunciavano ai termini per la comunicazione dell’udienza di cui all’art. 380 bis c.p.c.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 460 del 1997, artt. 10, 11 e 28, D.M. n. 266 del 2003 art. 5, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.
Secondo la ricorrente, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di appello, dal 16 febbraio 2001 (data della prima comunicazione ex art. 10 L. n. 460/97) l’Associazione era iscritta all’anagrafe e aveva acquisito il diritto di usufruire del regime agevolativo previsto per le Onlus.; deduceva, inoltre, che l’utilizzo senza averne titolo della denominazione Onlus non comportava automaticamente l’illiceità dell’attività posta in essere.
1.2. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse di parte ricorrente.
1.3. Ed invero, ai sensi dell’art. 6 (disposizioni transitorie) del D.M. n. 266 del 2003 “1. I soggetti che godono del regime agevolato per effetto della comunicazione, effettuata secondo il modello approvato con il decreto del Ministro delle finanze 19 gennaio 1998, integrano tale comunicazione attraverso la presentazione della dichiarazione sostitutiva di cui all’articolo 2, ovvero della copia dello statuto o dell’atto costitutivo, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento. (…) 2. La Direzione regionale delle entrate, entro quaranta giorni dal ricevimento della documentazione, previo controllo della stessa, provvede alla conferma, od alla cancellazione dell’iscrizione dall’anagrafe delle ONLUS, ovvero alla richiesta di chiarimenti, secondo le modalità di cui all’articolo 3”.
Il precedente articolo 5, ai numeri 3 e 4, chiarisce “3. Dal giorno della avvenuta cancellazione dall’anagrafe, la ONLUS perde il diritto ai benefici fiscali stabiliti dal decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460. 4. La cancellazione conseguente all’accertamento della mancanza, fin dal momento dell’iscrizione, anche solo di uno dei requisiti formali di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, determina la decadenza dalle agevolazioni fiscali fruite. Qualora, invece, la cancellazione sia conseguente al venir meno di uno o più requisiti, la ONLUS decade dalle agevolazioni fiscali fruite successivamente alla data in cui gli stessi requisiti sono venuti meno”.
Alla luce della normativa sopra riportata, appare evidente che l’iscrizione all’anagrafe presuppone la previa verifica dei presupposti di legge, che danno diritto all’agevolazione tributaria; nel caso in cui la verifica avvenga successivamente, con esito negativo, ed abbia comportato l’accertamento dell’insussistenza dei presupposti richiesti fin dall’inizio, il provvedimento di cancellazione non può che retroagire al momento della domanda di iscrizione.
Nel caso In esame, nello stesso provvedimento di diniego, divenuto definitivo per mancata impugnazione, l’Amministrazione precisava che “nel caso esaminato sussiste un imprescindibile ostacolo all’accoglimento dell’ipotizzata richiesta di iscrizione, che allo stato è preclusa. Ne consegue che non sia ammissibile, già a decorrere dalla data di invio della prima comunicazione (16/2/2001), la fruizione del particolare regime tributario previsto dal decreto n. 460/97”.
L’atto aveva efficacia retroattiva, perché basato sull’accertamento dell’insussistenza ab origine dei requisiti richiesti dall’art. 10 D.Lgs. n. 460/1997 per l’iscrizione all’anagrafe delle Onlus.
Diventa, quindi, del tutto irrilevante per la ricorrente stabilire se il provvedimento emesso dall’amministrazione sia di diniego o di cancellazione, poiché la cancellazione per l’originaria mancanza dei requisiti ha effetti uguali a quelli del diniego di iscrizione.
2.1. Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 28, e art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, c.p.c.
2.2. Il motivo è inammissibile.
2.3. La ricorrente lamenta l’erronea applicazione dell’art. 28 D.Lgs. n. 460/97, non ricorrendone i presupposti di fatto e di diritto, nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c., configurante un’ipotesi di error in procedendo, per avere la commissione Tributaria (prima la Provinciale e poi la Regionale) sostanzialmente emesso un provvedimento irrogativo di sanzioni, ai sensi dell’art. 28, comma 2, D.Lgs. n. 460/97, spettante unicamente all’Amministrazione finanziaria.
Il motivo è privo del requisito dell’autosufficienza, non avendo la ricorrente riprodotto nel ricorso il contenuto integrale degli avvisi di accertamento (richiamati per stralci nella parte introduttiva), rendendo impossibile la verifica della circostanza che essi non contenevano la contestazione della violazione dell’art. 28 (contestazione invece presente, secondo l’Agenzia controricorrente).
Inoltre, dalla lettura della sentenza impugnata, appare evidente che la C.T.R. dell’Emilia Romagna non ha applicato sanzioni amministrative in luogo dell’Amministrazione, ma ha semplicemente ritenuto l’infondatezza del motivo di appello della ricorrente in ordine al riferimento, operato dal giudice di prime cure, all’art. 28 del citato decreto, a mente del quale “I rappresentanti legali ed i membri degli organi amministrativi delle organizzazioni che hanno indebitamente fruito dei benefici previsti dal presente decreto legislativo, conseguendo o consentendo a terzi indebiti risparmi d’imposta, sono obbligati in solido con il soggetto passivo o con il soggetto inadempiente delle imposte dovute, delle relative sanzioni e degli interessi maturati”.
La C.T.R. ha, quindi, ritenuto che la C.T.P. avesse fatto riferimento al n. 3 dell’art. 28 D.Lgs. n. 460/97 al limitato fine di affermare la responsabilità dei rappresentanti dell’associazione per il debito tributario derivante dall’attività commerciale svolta da quest’ultima.
3.1. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 4, L. 537/92, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c..
3.2. Il motivo è inammissibile.
3.3. La ricorrente lamenta che il giudice di appello avrebbe ritenuto sussistenti circostanze sintomatiche dello svolgimento di attività lucrative, volte all’arricchimento personale dei coniugi Bruno – Ferrante, Presidente e Vice Presidente dell’associazione, con poteri di amministrazione e controllo dell’attività gestionale dell’ente. Secondo i giudici di appello, infatti, la mancanza di attività associativa, la mancata approvazione dei rendiconti da parte dei soci, l’assenza di trasparenza della contabilità, l’accentramento delle funzioni deliberative, di gestione e di controllo nelle persone del Presidente e del Vice Presidente, la distrazione di fondi ad esclusivo vantaggio personale di questi ultimi, avrebbero dato luogo ad un’attività commerciale illecita, sottoponibile a tassazione ai sensi del citato art. 14, comma 4.
La censura della ricorrente, nel contestare la ricostruzione dei fatti operata dalla C.T.R., si risolve in una sostanziale richiesta di riesame del merito della controversia, non consentito in sede di legittimità.
In ogni caso, il motivo risulta inammissibile anche per estraneità rispetto alla ratio deciderteli della sentenza, basata sull’assunto che, in difetto di iscrizione all’anagrafe ONLUS (o di cancellazione dall’anagrafe ONLUS con effetto ex tunc) ed in assenza della prova di finalità di solidarietà sociale, l’attività svolta dall’associazione diviene un’attività commerciale, tassabile nei modi ordinari.
Non vi è stata alcuna automatica attribuzione di redditi di impresa, assoggettabili come tali a tassazione, in capo al soggetto che ha commesso il preteso illecito, poiché, come rileva la stessa ricorrente, la C.T.R. ha escluso l’applicabilità dell’art. 14 comma 4 bis L. 537/92, riconoscendo che nella fattispecie in esame non era ravvisabile un illecito penale (ma solo un illecito amministrativo) ed era consentita la deducibilità dei costi, tanto che l’Ufficio aveva emesso un provvedimento di annullamento parziale in autotutela.
4.1. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 143, 55, 73 Tuir, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nonché omessa e carente motivazione su di un punto decisivo per il giudizio.
Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 D.P.R. n. 600/73 (ai fini delle Imposte Dirette), 25 D.Lgs. n. 446/97 (ai fini IRAP), 56 D.P.R. n. 633/72 (ai fini IVA), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nonché omessa e carente motivazione su di un punto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
Con il sesto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 4 D.P.R. n. 633/72 (ai fini IVA), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
4.2. I motivi sono connessi, vanno esaminati insieme e sono infondati.
4.3. Come questa Corte ha avuto modo di affermare, “in tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), gli enti di tipo associativo non godono di una generale esenzione da ogni prelievo fiscale, potendo anche le associazioni senza fini di lucro – come si evince dall’art. 111, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo applicabile ratione temporis) – svolgere attività a carattere commerciale; il citato art. 111, comma 1 – in forza del quale le attività a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo – costituisce, d’altro canto, deroga alla disciplina generale, fissata dagli artt. 86 e 87 del medesimo d.P.R., secondo cui l’IRPEG si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche, con la conseguenza che l’onere di provare i presupposti di fatto che giustificano l’esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’art. 2697 c.c.” (Cass. n. 23167/2017).
Il giudice di appello, conformemente al principio sopra riportato, ha ritenuto, con ragionamento esente da vizi, che dall’accertamento dell’Ufficio fossero emersi elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (l’associazione risultava gestita dai due soci, Presidente e Vice Presidente, che si erano anche autonominati membri del Consiglio direttivo e del collegio dei revisori; non risultavano verbali dell’assemblea dei soci; non vi erano elenchi completi dei soci, né documentazione attestante il versamento di quote associative; risultavano dalla contabilità alcune operazioni ad esclusivo vantaggio personale del Presidente), in base ai quali dovesse escludersi l’appartenenza dell’associazione alla categoria degli enti associativi non commerciali, in particolare delle associazioni di solidarietà sociale, senza scopo di lucro, circostanza che, d’altro canto, doveva essere dimostrata dalla società.
La censura della ricorrente, quindi, non è fondata e risulta inammissibile ove intesa a sollecitare un ulteriore esame del merito della controversia, come già detto non consentito in sede di legittimità.
5.1. Con il settimo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 1957 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
5.2. Il motivo è inammissibile.
5.3. Ed invero, la C.T.R. ha ritenuto l’applicabilità del termine di decadenza previsto dall’art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, rispetto al quale è pacifico tra le parti che l’Amministrazione non sia incorsa in nessuna decadenza.
Inoltre la responsabilità solidale del ricorrente è stata affermata con riferimento alla specifica previsione di cui all’art. 28 comma 3 D.Lgs. n. 460/97 ed il contribuente non ha mosso alcuna obiezione sul richiamo alla normativa contenuto in sentenza.
6.1. Atteso il rigetto dei motivi di ricorso, la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle Entrate controricorrente, secondo la liquidazione effettuata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle Entrate, spese che liquida in euro 4.000,00 oltre eventuali spese prenotate a debito.
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