CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 giugno 2018, n. 16573
Indebita fruizione degli sgravi contributivi ex art. 3, co. 6, L. n. 448/1999 – Preteso incremento occupazionale – Società costituita ad hoc – Assorbimento attività precedentemente svolte e relativi lavoratori licenziati – Riassunzione lavoratori dopo breve tempo al medesimo scopo
Fatti di causa
La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza 1143/2012, confermava il rigetto dell’opposizione proposta da CSC (…) SRL alla cartella esattoriale con cui l’INPS richiedeva il pagamento della somma di € 881.581,25 a titolo di somme dovute per indebita fruizione degli sgravi contributivi ex art. 3 comma 6 lett. a) e d) I. n. 448/1999, goduti a titolo di preteso incremento occupazionale.
A fondamento della decisione la Corte territoriale affermava che i motivi di appello relativi alle sanzioni civili applicate (evasione-non omissione), alla quantificazione degli interessi, alla mancanza di diffida ex articolo 13 d.lgs. 124/2004 e dell’invito alla regolarizzazione fossero inammissibili per la novità delle questioni. Sosteneva inoltre che il motivo relativo alla prescrizione del credito contributivo fosse infondato perché interrotta con verbale di accesso dell’11 gennaio 2005 sottoscritto anche dall’appellante e riportante la dichiarazione “si rilascia il presente verbale anche ai fini dell’interruzione dei termini prescrizionali di legge relativamente al recupero delle somme dovute per il periodo di paga come da distinta riportata sul retro nel foglio risultavano elencate le somme dovute, mese per mese per il periodo dicembre 99 marzo 2000 e la causale del recupero (sgravio contributivo legge 448/98); ed il verbale era perciò senz’altro idoneo ad interrompere la prescrizione avendo coperto l’intero periodo in questione; mentre la prescrizione dei contributi successivi (4/2000 – 7/2003) era stata interrotta dal verbale di accertamento 11/5/2005 ed infine da quella della cartella esattoriale (6.3.2006).
Sosteneva altresì che le contestazioni sui conteggi dell’Inps fossero estremamente generiche, mentre l’Istituto aveva quantificato il dovuto per ciascun lavoratore in base alle retribuzioni mensili registrate. Quanto al merito, la Corte territoriale affermava che la CSC non avesse diritto allo sgravio contributivo invocato essendo onere del richiedente provare non solo l’esistenza delle assunzioni, ma anche l’effettivo incremento occupazionale rispetto all’organico in essere al 30/11/1998 al netto delle diminuzioni occupazionali in società controllate ex articolo 2359 c.c. o facenti capo, anche per interposta persona allo stesso soggetto; mentre nel caso di specie non vi era stato alcun incremento occupazionale, bensì un mero travaso di lavoratori da altre aziende tra loro collegate ad altra, all’uopo costituita, sicché la CSC non poteva considerarsi neppure azienda nuova per essere stata creata al precipuo scopo di lucrare gli sgravi con violazione della lett. B) e della lett. D) del comma 6 dell’articolo 3 della legge 448 del 1998; la lettera B) era stata violata perché, come emerso dall’istruttoria documentale e testimoniale, la società appellante aveva assorbito almeno in parte le attività di preesistenti società, tutte peraltro collegate tra di loro e facenti capo tutte alla famiglia C.. La lettera D) era violata in quanto risultava dalle visure camerali che la famiglia C. avesse il possesso totale della CSC srl, della P. S.r.l. della C.E. e della T.M.C., la quasi totalità del possesso della C. srl e la maggioranza delle quote della E. srl; mentre i suoi membri esercitavano pieni poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione nelle varie società ed assumevano tutte le decisioni per la gestione delle stesse. Inoltre, esisteva anche il presupposto prevista dalla legge come norma di chiusura delle società “facenti capo anche per interposta persona allo stesso soggetto”. Vi era stato quindi un mero travaso di lavoratori tra aziende preesistenti alla società appellante che trovava, ulteriore conferma nella circostanza che gli stessi fossero rimasti in stato di disoccupazione per un periodo brevissimo, a volte di qualche giorno addirittura per poche ore come da documentazione in atti, senza alcun aumento del numero complessivo dei lavoratori occupati dal gruppo delle aziende, in aperta contraddizione con lo spirito della legge n. 448/1998 che è quello di favorire nuovo occupazione.
Avverso detta sentenza la C. srl (incorporante (…) SRL) ha proposto ricorso per cassazione con 3 motivi, illustrati da memoria. L’INPS ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1. – Col primo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 3 commi 5 e 6 legge 448/98 (e 45 comma 16 legge 144 del 1999); dell’articolo 27 comma 14 della legge 488/99; degli articoli 2112, 1406, 1414, 2359, 2697, 2727, 2728 e 2729 c.c.; degli articoli 101, 102, 115, 116 e 420 c.p.c. in quanto la società ricorrente aveva provato di aver assunto i lavoratori dalle liste di collocamento o di mobilità rispettando così il proprio onere della prova; la sentenza non spiegava a quale titolo e in forza di quali atti sarebbe avvenuto il travaso dei dipendenti tra le aziende preesistenti e la società appellante, posto che l’Inps non aveva fornito alcuna prova di cessione di azienda; doveva quindi essere esclusa l’applicazione dell’articolo 2112 c.c.; mentre la partecipazione degli stessi soci a diverse società, nonché i rapporti di parentela tra alcuni soci non costituivano elementi sufficienti per dichiarare di fronte a società di capitali la sussistenza di un’impresa unitaria. Lamenta inoltre la ricorrente che tutte le imprese di cui si discute fossero rimaste distinte e separate, avendo esercitato attività non complementari tra di loro; non avessero mai effettuato integrazioni reciproche, non si fossero mai costituite in gruppo di società; e che l’esternalizzazione di attività amministrative contabili non comportasse alcuna cessione di attività per una società come la CSC a r.l. la cui attività principale era la gestione la elaborazione elettronica di dati per conto terzi. Rilevava ancora che l’onere probatorio gravante sulla società ricorrente fosse quello di dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per l’assunzione di lavoratori tratti dalle liste di collocamento; non poteva essa dare anche la prova negativa della insussistenza dell’assento collegamento tra società di un medesimo gruppo o del fatto negativo che le società e le attività svolte dalle diverse società non facessero capo allo stesso soggetto. Il richiedente doveva dimostrare solo il possesso dei requisiti positivi per beneficiare degli sgravi contributivi; l’assenza di cause ostative alla fruizione del beneficio doveva essere invece provata dall’Inps. La sentenza impugnata non aveva indicato tra quali società sarebbe esistito il collegamento, ne aveva indicato tra quali società sarebbero avvenuti i trasferimenti dei lavoratori. Inoltre se fosse stata vera la circostanza che la CSC Srl fosse società apparente andava disposta l’integrazione del contraddittorio col reale datore di lavoro e con lo stesso gruppo di impresa.
1.1.- Il motivo è privo di fondamento. Anzitutto perché si risolve in realtà in un riesame del merito, avendo la Corte accertato positivamente la mancanza dei requisiti per la concessione degli sgravi, richiamando le prove che dimostrano come la società ricorrente fosse stata costituita ad hoc, assorbendo attività precedentemente svolte ed i relativi lavoratori, licenziati e riassunti dopo brevissimo tempo allo stesso scopo. La controversia non è stata decisa in base alla regola di giudizio sull’onere della prova bensì per effetto dell’accertamento dell’insussistenza dei requisiti previsti dalla norma per beneficiare degli sgravi in questione, sotto plurimi profili.
Ed infatti la legge (art. 3 l. 448/98) esclude che si possa beneficiare degli sgravi in questione nei casi di assorbimento, anche parziale, di attività d’imprese giuridicamente preesistenti, di travaso di dipendenti rispetto a società controllate ai sensi dell’art. 2359 c.c., e di imprese facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto.
E nel caso di specie tali condizioni negative, ciascuna di per sé sufficiente, sono state accertate tutte come esistenti; atteso che la CSC srl faceva parte dello stesso gruppo di impresa e comunque di imprese riconducibili tutte alla famiglia C. (la quale aveva appunto il possesso totale della CSC srl, della P. S.r.l. della C.E. e della T.M.C., la quasi totalità del possesso della C. srl e la maggioranza delle quote della E. srl); i cui membri esercitavano pieni poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione nelle varie società ed assumevano tutte le decisioni per la gestione delle stesse.
Inoltre la Corte ha pure accertato in fatto che non si fosse verificato alcun effettivo incremento di attività né occupazionale, ulteriori autonome condizioni per godere degli sgravi (senza che sia invece necessaria accertare una cessione d’azienda), atteso che l’attività svolta, per breve tempo, dalla CSC srl (di gestione del personale e contabile) era comunque già svolta in precedenza dalle imprese del gruppo ed i lavoratori in questione erano stati licenziati in vista dell’assunzione beneficiata, operata dalla CSC pochi giorni ed in alcuni casi a poche ore dagli stessi licenziamenti, nello stesso posto e con le stesse mansioni (“di fatto lavorando in postazioni presso le imprese preesistenti ed attestando la loro presenza sul posto”).
2. – Col secondo motivo viene dedotta violazione falsa applicazione degli articoli 116 I. 388/2000; 1 comma 217 legge 662/1996; dell’articolo 2 legge 241/1990; dell’articolo 13 decreto legislativo 124/2004; degli articoli 1219 e 1224 c.c.; dell’articolo 112 c.p.c.; degli articoli 434 e 437 c.p.c. (articolo 360 numeri 3 e 5 c.p.c.) per aver ritenuto che i motivi d’appello relativi alle sanzioni civili applicate, alla quantificazione degli interessi, alla mancanza di diffida e dell’invito alla regolarizzazione, fossero da ritenere inammissibili in quanto questioni non proposte in primo grado; non essendo ciò vero in quanto in primo grado erano stati contestati i conteggi perché errati e basati su erronei presupposti; ciò comprendeva anche il computo delle sanzioni e il loro presupposto; le stesse conclusioni del ricorso iniziale contestavano l’intero importo preteso dall’Inps sanzioni comprese. Non era vero inoltre quanto sostenuto dalla sentenza ovvero che l’Inps avesse “quantificato puntualmente il dovuto per ciascun lavoratore in base alle retribuzioni mensili registrate e di quanto ha dato atto nell’allegato A/l del verbale”. Anche la qualificazione giuridica del comportamento della società ai fini delle sanzioni applicate, come evasione, era da ritenere errata in quanto si ha evasione quando il datore di lavoro omette le denunce o presenta una denuncia non conforme al vero; mentre nel caso di specie non vi era stata evasione o occultamento di rapporti di lavoro o delle retribuzioni erogate o di falsità delle denunce; inoltre fino alla conclusione dell’ispezione, per circa cinque anni, la correttezza dell’applicazione degli sgravi era stata pacifica; tutt’al più poteva essere ipotizzata l’errata applicazione per oggettiva incertezza di sgravi contributivi previsti dalla legge e quindi il comma 15 lettera a) dell’articolo 116 comma 8 legge numero 388/2000 e non la lett. b) del comma 8; e per gli interessi il comma 9.
Il motivo è in via preliminare inammissibile in quanto non autosufficiente, posto che nel mentre contesta le tesi esposte nella sentenza sulla novità delle relative questioni non trascrive il contenuto integrale degli atti che richiama a fondamento delle censure, che neppure indica e produce in allegato (ossia del ricorso di primo grado, del verbale ispettivo notificato, dell’allegato A/1 del verbale e della successiva cartella esattoriale) onde dimostrare le censure esposte e dare a questa Corte la possibilità di valutare ex actis il fondamento delle censure.
D’altra parte la sentenza afferma che le somme erano state specificamente ed analiticamente indicate dall’INPS. Ed in ogni caso va considerato che l’ammontare dei contributi e delle sanzioni è il risultato di un’operazione matematica rispetto alla quale non è sufficiente una contestazione generica del dovuto senza allegare alcun specifico errore di calcolo.
Il motivo è infondato anche per quanto riguarda il regime sanzionatorio (di evasione) che nel caso in esame la Corte territoriale ha pure giudicato congruo in relazione alla vicenda complessiva che ha visto creare una nuova società, apparentemente tale, all’esclusivo scopo di lucrare i benefici contributivi, tanto che, poi, al termine del periodo stesso, la società appellante è stata incorporata per fusione da altra società. Questa Corte ha più volte precisato che il regime dell’omissione è circoscritto alle sole ipotesi in cui il debito risulti dalle dichiarazioni obbligatorie e l’Inps non debba compiere alcuna altra attività che quella di recupero del proprio credito. Mentre nel caso in esame invece le dichiarazioni presentate all’Inps riportavano e mettevano in compensazione un credito della società ricorrente per sgravi contributivi che invece non spettava, potendosi perciò ritenere che l’omessa o infedele denuncia di dati relativi ai rapporti di lavoro configuri occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e faccia presumere l’esistenza della volontà datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti (Cass. n. 28966 del 27/12/2011).
3 – Con il terzo motivo viene dedotta violazione falsa applicazione dell’art. 3 comma 9 lett. B) I. 335/1995 e degli artt. 2943 e ss. del codice civile; art. 13 decreto legislativo 124/2004; I. 241/1990 in specie art. 3 (articolo 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) per aver affermato che l’interruzione della prescrizione derivasse anche dal verbale di accesso dell’11 gennaio 2005.
Il motivo è infondato dal momento che, come afferma la sentenza impugnata, la prescrizione era stata interrotta con verbale di accesso dell’11 gennaio 2005 il quale era idoneo allo scopo, in quanto, oltre ad essere stato sottoscritto dall’appellante ed a riportare la dichiarazione che il verbale valesse anche ai fini dell’interruzione dei termini prescrizionali di legge, indicava la volontà di recupero delle somme dovute per il periodo di paga indicato (come da distinta riportata sul retro nel foglio dove risultavano elencate le somme dovute mese per mese per il periodo dicembre 99 marzo 2000 e la causale del recupero sgravio contributivo legge 448/98). Era quindi indicato l’an ed il quantum del debito contributivo oggetto di recupero ed esso aveva quindi efficacia di atto interruttivo. Mentre non rileva quanto sostenuto in contrario da questa Corte con la sentenza n. 10764/2012 essendosi li accertato che il verbale di accesso non contenesse l’ammontare dei contributi riscontrati come dovuti.
4.- Va affermato in conclusione che la sentenza di merito si sottrae alle censure esposte col ricorso, il quale deve essere quindi rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente soccombente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessive € 9200 di cui € 9000 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed oneri accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002 si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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