CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 maggio 2020, n. 9479
Licenziamento per giusta causa – Condotta configurabile come atto di insubordinazione – Inosservanza di una espressa indicazione – Contrasto tra l’ordine verbale del superiore gerarchico e precedenti difformi disposizioni scritte – Apprezzamento di merito circa la sussistenza di ordini di servizio datoriali – Riconducibilità della fattispecie alla previsione di cui al punto 7 dell’art. 36 C.C.N.L. Autostrade e Trafori
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 715/2018, pubblicata il 17 luglio 2018, la Corte di appello di Firenze, in riforma della decisione di primo grado, ha ritenuto insussistenti gli estremi della giusta causa nel licenziamento intimato a G.P., con lettera 4 agosto 2016, dalla società Autostrade per l’Italia S.p.A., per avere il lavoratore, in occasione di uno sciopero presso il casello di Firenze – Scandicci in data 19 giugno 2016, nell’inosservanza di una espressa indicazione di segno contrario ricevuta dal centro operativo, bloccato manualmente in posizione alzata la sbarra della pista 90, impedendone in tal modo la manovrabilità da remoto e all’azienda di incassare ì pedaggi degli automezzi che vi erano transitati prima dell’intervento di sblocco.
2. La Corte ha rilevato a sostegno della propria decisione che nella condotta posta in essere era configurabile un atto di insubordinazione e che peraltro esso non era tale da giustificare la sanzione espulsiva, avuto riguardo al contrasto tra l’ordine verbale del superiore gerarchico e precedenti difformi disposizioni scritte e allo stato di confusione che in tali condizioni poteva verosimilmente essersi generato nel lavoratore, senza che, tuttavia, l’episodio potesse inquadrarsi nella fattispecie di cui al comma 7 dell’art. 36 del C.C.N.L. di settore (Autostrade e Trafori), il quale prevede la sanzione della sospensione per il dipendente che, nell’espletamento della propria attività, non applichi le prescrizioni impartite dall’azienda attraverso direttive e disposizioni interne, posto che il P. non era responsabile della pista 90 né era in servizio al momento dell’operazione contestata.
3. Sulla base di tali considerazioni la Corte di appello ha fatto applicazione del regime di tutela di cui all’art. 18, comma 5, l. n. 300/1970, dichiarando conseguentemente risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannando la società al pagamento di una indennità pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
4. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il P. con due motivi.
5. Autostrade per l’Italia S.p.A. ha resistito con controricorso, con il quale ha proposto ricorso incidentale affidato ad unico motivo, cui il lavoratore ha resistito a sua volta con controricorso.
6. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del proprio ricorso il lavoratore, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 C.C.N.L. di settore, nonché la conseguente violazione dell’art. 18 l. n. 300/1970, censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello trascurato di applicare la previsione di cui al punto 7 della norma collettiva e comunque per non averla correttamente applicata, non considerando che essa ha portata generale e comprende ogni condotta del dipendente che non osservi qualunque direttiva datoriale, anche emanata – come nel caso di specie – con ordini e disposizioni di servizio orali.
2. Con il secondo motivo il lavoratore, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1324, 1362 ss. cod. civ., nonché la violazione dell’art. 18 l. n. 300/1970, censura la sentenza impugnata per non avere correttamente interpretato la lettera di contestazione dell’addebito, posto che, adottando il criterio letterale, la Corte avrebbe potuto desumere la sussistenza di precise disposizioni di servizio emanate dalla datrice di lavoro in ordine alla condotta lavorativa da osservare in occasione dei fatti di causa.
3. Con l’unico motivo del proprio ricorso la soc. Autostrade per l’Italia S.p.A., deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2104, 2106, 2119 cod. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 36 del C.C.N.L. di settore, nonché vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per non avere operato una valutazione in concreto che tenesse conto di tutte le circostanze del caso, sia di natura oggettiva che soggettiva: valutazione che avrebbe consentito di far emergere, anche per la intenzionalità con cui era stata realizzata, la gravità della condotta del dipendente, in quanto astrattamente idonea a configurare il reato di cui all’art. 508 cod. pen., e la conseguente irrimediabile lesione del vincolo fiduciario.
4. I motivi del ricorso principale possono essere trattati congiuntamente per la relazione di connessione che li unisce.
5. In particolare il secondo motivo, lungi dall’esporre una censura di ordine interpretativo sul contenuto da attribuirsi alla lettera di contestazione, si risolve in un apprezzamento di merito circa la sussistenza di ordini di servizio datoriali e, pertanto, del presupposto che determinerebbe la riconducibilità della fattispecie concreta alla previsione di cui al punto 7 dell’art. 36 C.C.N.L. di settore, rifluendo in tal modo tra le questioni implicate nel primo motivo.
6. Ciò premesso, si osserva che il ricorso principale non può trovare accoglimento.
7. Al riguardo, e in primo luogo, è da rilevare come la sentenza impugnata, diversamente da quanto dedotto, prenda esplicitamente in considerazione l’ipotesi che la condotta del dipendente, oggetto di contestazione, possa essere ricompresa nell’ambito di applicabilità dell’art. 36, punto 7, giustificando di conseguenza, secondo la tesi del ricorrente, una misura disciplinare meramente conservativa (sospensione); e ciò la sentenza impugnata mostra chiaramente di fare là dove, con un riferimento esplicito agli argomenti difensivi del reclamante, osserva che “diversamente da quanto preteso dalla difesa del lavoratore, non può quindi ritenersi la semplice mancata applicazione di disposizioni di servizio”, così da porsi in un aperto confronto con la richiamata disposizione di fonte collettiva, la quale prevede l’irrogazione della sospensione al dipendente che non applichi, nell’espletamento della propria attività, le prescrizioni impartite dall’Azienda attraverso direttive e disposizioni interne (Ordini di Servizio, Istruzioni di Servizio, regolamenti e procedure interne, Codice Etico ecc.)’.
8. La ritenuta esclusione della fattispecie, di cui al punto 7 dell’art. 36, è poi giustificata in sentenza con il rilievo che il P. non era “direttamente responsabile della pista 90”, ove è stata posta in essere la condotta, “tantomeno responsabile della corretta chiusura temporanea dell’intero casello, né, ancora, in servizio al momento dell’operazione” (cfr. p. 4, 40 capoverso).
9. L’accertamento in fatto così compiuto esclude, in radice, la possibilità di sussumere la condotta contestata nell’ambito della norma collettiva, che rivela con chiarezza il proprio baricentro nell’espletamento dell’attività propria del dipendente in modo difforme dalle direttive e disposizioni aziendali.
10. Né può aderirsi alla tesi proposta dal ricorrente, secondo cui ogni direttiva aziendale, consistente in ordini di fare e di non fare, anche espressa in forma orale, porterebbe, se inosservata, alla mera sospensione del dipendente, dovendosi rilevare a questo specifico proposito come il richiamo, contenuto nella norma collettiva, agli “Ordini di Servizio”, alle “Istruzioni di Servizio”, ai “regolamenti e procedure interne”, al “Codice Etico” evochi, quale unico e definito presupposto, nonché comune denominatore di fonti prescrittive eterogenee, la già data esistenza di una disciplina aziendale strutturata in proposizione normative aventi portata regolatrice generale.
11. Non può parimenti trovare accoglimento il ricorso incidentale della società.
12. Con esso, infatti, il datore di lavoro, sub specie di violazione e falsa applicazione di norme di legge, tenta di indurre una ricostruzione fattuale diversa da quella operata dal giudice di appello, in tal modo sollecitando questa Corte ad una rivisitazione del merito della causa, incompatibile con la sede del giudizio di legittimità.
13. D’altra parte, il ricorso risulta inammissibile anche là dove denuncia il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., non conformandosi – sul rilievo di una motivazione “omessa, insufficiente e/o contraddittoria” – al nuovo paradigma del vizio motivazionale secondo la formulazione introdotta con le modifiche del 2012; né il ricorso indica, con la censura in esame, quale fatto “decisivo” sarebbe stato omesso nella ricostruzione della vicenda e il “dove” e il “quando” lo stesso avrebbe formato oggetto di discussione fra le parti (Sez. U n. 8053 e n. 8054/2014 e successive conformi).
14. Stante la reciproca soccombenza, le spese di giudizio devono essere interamente compensate fra le parti.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa per intero le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuti.
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