CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 marzo 2019, n. 8215

Contratto di lavoro – Nullità dell’apposizione del termine – lnerzia del lavoratore protratta per un considerevole lasso di tempo dalla scadenza – Condotta socialmente tipica idonea a perfezionare la risoluzione per mutuo consenso – “Concorrenza con altri elementi convergenti” che inequivocabilmente palesino la volontà risolutiva – Complessivo apprezzamento del giudice di merito

Fatti di causa

1. La Corte di Appello di Lecce, con sentenza pubblicata il 13.11.2013, ha respinto il gravame proposto da G.M.G., confermando la decisione di primo grado, che aveva rigettato il ricorso proposto nei confronti di Poste Italiane S.p.A. volto ad ottenere la dichiarazione di nullità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro quale portalettere presso l’ufficio di C.M. intercorso tra il 1 gennaio ed il 30 settembre del 1999.

2. La Corte ha ritenuto che “l’inerzia del lavoratore che si sia protratta per un considerevole lasso di tempo dalla scadenza di un contratto a tempo determinato che si assume nullo costituisce condotta socialmente tipica idonea a perfezionare la risoluzione per mutuo consenso”; ha argomentato che “anche in mancanza di ulteriori elementi”, il fatto che la lavoratrice non avesse promosso alcuna azione in un notevole periodo di tempo trascorso dalla cessazione del rapporto di lavoro poteva essere valutata come “valido motivo di insussistenza di una volontà della medesima di ricostituire il rapporto stesso”.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso G.M.G. con 3 motivi cui ha resistito Poste Italiane S.p.A. con controricorso.

La ricorrente ha comunicato memoria.

Ragioni della decisione

1. I motivi di ricorso possono, come di seguito, essere sintetizzati.

1.1 Il primo motivo contesta “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1372 c.c. (art. 360 n.3 c.p.c.)”. Precisamente, parte ricorrente ritiene che la sentenza gravata è erronea nella parte in cui afferma che “anche in mancanza di ulteriori elementi l’avvenuto decorso di un tale periodo di tempo dalla cessazione del rapporto di lavoro senza che la lavoratrice stessa abbia promosso alcuna azione può essere valutato come valido motivo di insussistenza dì una volontà della medesima di ricostruire il rapporto stesso …”, poiché in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità, la quale richiede una necessaria verifica di “una volontà chiara e certa delle parti di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine al rapporto di lavoro”.

1.2 Il secondo motivo deduce “violazione o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729, 1 comma c.c. (art. 360 n.3 cpc)”. A dire della ricorrente, “i fatti noti” presi in considerazione dalla Corte territoriale, ossia durata del contratto e protratta inerzia della lavoratrice – “per risalire a quello ignorato […] dell’accordo di risoluzione del rapporto a tempo indeterminato che sarebbe stato concluso tra le parti” – difettano dei “crismi necessari della gravità, precisione e concordanza”. Contrariamente, le emergenze in atti, ossia “le richieste di riassunzione in servizio con raccomandata a.r.”, avevano evidenziato l’interesse della lavoratrice alla prosecuzione del rapporto con Poste.

1.3 Il terzo motivo denuncia “violazione dell’art. 2729 comma 2 codice civile (art.360 n.3 c.p.c.)”, lamentando che “la presunzione semplice sulla quale ha poggiato il rigetto del gravame non avrebbe potuto essere operata dai Giudici d’appello”, per il divieto di cui all’art. 2721 c.c..

2. I motivi, congiuntamente esaminabili per connessione reciproca, sono fondati nei limiti segnati dalla motivazione che segue. Secondo le Sezioni unite civili di questa Corte (sent. n. 21691 del 27 ottobre 2016), premesso il dato normativo dell’art. 1372, co. 1, c.c., salvo che non sia richiesta la forma scritta ad substantiam, il mutuo consenso sullo scioglimento del rapporto può essere desumibile da comportamenti concludenti.

Con specifico riferimento al caso dei contratti a tempo determinato detta sentenza ha avallato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale la durata rilevante del comportamento omissivo del lavoratore nell’impugnare la clausola che fissa il termine può considerarsi “indicativa della volontà di estinguere il rapporto di lavoro tra le parti”, ma sempre che “concorra con altri elementi convergenti” che inequivocabilmente palesino la volontà risolutiva, con giudizio che attiene al merito della controversia (per tutte v. Cass. n. 29781 del 2017).

Occorre quindi che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze fattuali, le quali siano complessivamente apprezzate dal giudice di merito inducendo il convincimento del medesimo, anche per la loro combinazione, nel senso che esse denotino una volontà chiara del lavoratore di porre fine definitivamente al rapporto di lavoro con la controparte.

Erra in diritto, pertanto, la Corte sarda laddove afferma che il mero decorso del tempo tra la cessazione del rapporto di lavoro e l’impugnazione del contratto costituisca “condotta socialmente tipica idonea a perfezionare la risoluzione per mutuo consenso” anche “in mancanza di ulteriori elementi”. La selezione del solo elemento temporale, senza che siano valorizzati ulteriori comportamenti tenuti dalle parti, impone la cassazione della sentenza impugnata (da ultimo: Cass. n. 7692 del 2018), affinché il giudice del rinvio possa rivalutare l’intera vicenda storica, argomentando in modo appropriato su eventuali circostanze ulteriori che, unitamente al decorso di un tempo rilevante, possano adeguatamente sorreggere il ragionamento inferenziale circa la prova del mutuo consenso sullo scioglimento del rapporto.

3. Conclusivamente il ricorso va accolto nei sensi espressi dalla presente motivazione, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di Appello indicata in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, regolando anche le spese.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Bari, anche per le spese.