CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 novembre 2018, n. 30259
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Effettivo mutamento dell’assetto organizzativo – Soppressione di un’individuata posizione lavorativa – Prova
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 219/14, il Tribunale di Fermo rigettava la domanda proposta da F.U., diretta all’accertamento di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatogli dalla S. s.p.a. il 28.10.09, accogliendo invece le altre domande proposte aventi ad oggetto la condanna della ex datrice di lavoro al pagamento della complessiva somma di €.30.100,50, oltre accessori di legge, a titolo di indennità di cassa e maneggio denaro, differenze retributive ed altri crediti di lavoro, compensando integralmente tra le parti le spese di lite.
Avverso tale sentenza proponeva appello l’U.; resisteva la S. s.p.a.
Con sentenza depositata il 16.2.16, la Corte d’appello di Ancona confermava, valutate le emergenze istruttorie, la legittimità del licenziamento, escludeva comunque la sua dedotta natura ritorsiva, riformando la pronuncia impugnata in punto di spese, che compensava per metà, ponendo a carico della società il residuo, adottando analoga statuizione quanto al giudizio di appello.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’U., affidato a quattordici motivi; la S. s.p.a. in concordato preventivo è rimasta intimata.
Motivi della decisione
1. – Con i primi tre motivi il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 5 L. 604/1966 in ordine alla sussistenza del g.m.o. dedotto a fondamento del licenziamento irrogato al ricorrente anche in relazione agli artt. 2709 c.c.; la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 244, 416 e 420 co. 5 c.p.c. in ordine all’accertamento del g.m.o.; la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in ordine alla valutazione delle prove documentali e costituende di primo grado ai fini dell’ accertamento del g.m.o.
Lamenta che la Corte territoriale fondò la propria motivazione in ordine alla sussistenza del g.m.o. “essendo dimostrata in via documentale la crisi non transitoria”, basando tale assunto sulla perdita di bilancio della S. (dante causa della S. s.p.a.), indicata in €. 3.707.699 nel 2008, €.2.488.361 nel 2009, come evincibile dai bilanci sociali e scritture contabili prodotti in copia che non potevano assurgere a prova in favore dell’imprenditore ai sensi dell’art. 2709 c.c. Lamenta inoltre di aver basato la sua decisione su deposizioni testimoniali fornite su capitoli inammissibili (per genericità e contenendo apprezzamenti valutativi).
I motivi, congiuntamente esaminabili stante la loro connessione, sono inammissibili essendo sostanzialmente diretti ad una diversa valutazione dei fatti di causa rispetto a quanto accertato dal giudice di merito, nel regime di cui al novellato n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c. La sentenza impugnata, peraltro, ha accertato non solo la crisi economica dell’azienda con conseguente riduzione della produzione del calcestruzzo e del cemento (principali attività dell’impresa), ma altresì la chiusura o la cessione a terzi di diverse centrali di betonaggio, nonché la collocazione in C.I.G. di gran parte del personale. In ogni caso la chiusura dell’impianto di Sant’Elpidio cui l’U. era addetto, e comunque la soppressione delle mansioni da lui svolte presso il suddetto impianto. Circa la dedotta violazione dell’art. 2709 c.c., deve considerarsi che secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 9968/16) le disposizioni degli artt. 2709 e 2710 c.c., le quali regolano l’efficacia probatoria delle scritture contabili contro l’imprenditore e nei rapporti tra imprenditori, non precludono al giudice la possibilità di trarre dai libri contabili di una delle parti, regolarmente tenuti, elementi indiziari atti a concretare, in concorso con altre risultanze, una valida prova per presunzione anche a favore dell’imprenditore che i libri stessi ha prodotto in giudizio.
3.- Con il quarto motivo l’U. denuncia la violazione degli artt. 3 e 5 della L. n. 604/66, 1175 e 1375 c.c. sempre con riferimento alla sussistenza del dedotto g.m.o. di licenziamento, evidenziando di essere stato successivamente sostituito con personale neoassunto.
II motivo, coinvolgendo valutazioni ed accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito, è infondato, avendo peraltro la sentenza impugnata accertato che il personale neoassunto svolse mansioni differenti rispetto a quelle del ricorrente.
3. – Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 5 L. 604/1966 in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c. nonché degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. in ordine alla sussistenza del g.m.o. dedotto a fondamento del licenziamento ed all’infrazione del principio di immodificabilità dello stesso g.m.o. Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente sussistente una riorganizzazione aziendale che comportò la sostituzione del ricorrente con altro personale, a differenza del motivo obiettivo posto dalla società a base del licenziamento (“tenuto conto della necessità per la società di adattare l’organizzazione del personale alle reali esigenze di lavoro, si è dovuto pervenire alla determinazione di riorganizzare il personale e nello specifico di sopprimere la posizione lavorativa da Lei ricoperta; di talché le mansioni da Lei svolte verranno assorbite dal personale già esistente”), con conseguente inammissibile modificazione dei motivi posti a base del recesso.
Il motivo è infondato; ed invero dalla piana lettura della riportata motivazione del licenziamento si evince che a base dello stesso fu posta la crisi aziendale in corso e la soppressione del posto di lavoro occupato dall’U., anche attraverso la legittima redistribuzione delle sue mansioni, così come accertato dalla Corte territoriale.
Al riguardo deve evidenziarsi che questa Corte ha già chiarito (Cass. 7.12.16 n. 25201, Cass. 3.5.17 n. 10699, Cass. 20.10.17 n. 24882) che in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo di licenziamento è sufficiente che le addotte ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino causalmente un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa. Tale motivo oggettivo è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore, con la conseguenza che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il lavoratore licenziato, sempre che risulti l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato, non essendo, peraltro, necessario, ai fini della configurabilità del giustificato motivo, che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere solo diversamente ripartite ed attribuite”.
Ne consegue che, una volta accertata, come nella specie, la effettiva e non pretestuosa soppressione del posto di lavoro, anche attraverso la redistribuzione delle mansioni tra gli altri dipendenti, ciò è sufficiente, nel rispetto del menzionato principio di cui all’art. 41 Cost., a giustificare il licenziamento (Cass. n. 8846/12).
3. – Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 5 L. n. 604/1966 in relazione agli artt. 1175 e 1375, 2727 e 2729 c.c. e 116 c.p.c., in ordine alla sussistenza del g.m.o. dedotto a fondamento del licenziamento ed alla violazione del principio di buona fede contrattuale, con riferimento: a) all’extrema ratio del licenziamento b) al nesso di causalità tra g.m.o. e licenziamento; c) al nesso di contestualità tra g.m.o. e licenziamento. ,
Come lamentato esplicitamente, il ricorrente si duole ancora una volta dell’erronea valutazione delle prove acquisite, al fine di ritenere sussistente il g.m.o. posto alla base del licenziamento, nonostante l’evidenza, a suo dire, di circostanze di segno diametralmente opposto.
Anche tale motivo è dunque diretto ad una diversa valutazione del materiale istruttorio emerso e risulta dunque inammissibile per le ragioni sopra ripetutamente esposte.
4. – Con il settimo ed ottavo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 5 L.n. 604/1966 in relazione agli artt. 1175, 1375 e 2697 c.c. in ordine alla sussistenza del cd. repechage, oltre a violazione dell’art. 132 c.p.c. relativamente alla motivazione del provvedimento impugnato, ed inoltre per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n.5 c.p.c.) con riferimento alle risultanze documentali di cui al doc.22 del fascicolo di parte inerente le numerose (40) centrali di betonaggio della S. in molte regioni italiane, alla scheda degli impianti S. ed alle deduzioni difensive di quest’ultima in primo grado.
I motivi, che per un verso difettano di autosufficienza non avendo il ricorrente chiarito, e neppure esposto, la situazione occupazionale presso le diverse centrali di betonaggio di cui sopra, sono per altro verso infondati, avendo la sentenza impugnata accertato la grave crisi aziendale della società S.-S., con drastica riduzione degli impianti di betonaggio (diverse delle quali cedute a terzi), licenziamenti collettivi ed il ricorso alla cassa integrazione guadagni, esaminando, inoltre, anche l’incollocabilità dell’U. presso altre posizioni lavorative dal lavoratore stesso, pur non tenutovi, indicate come disponibili, sicché deve ritenersi che la sentenza impugnata, sia pur implicitamente e con corretto uso della prova presuntiva (Cass. n. 24882/17), abbia escluso la possibilità di ricollocazione del ricorrente in azienda.
Al riguardo occorre evidenziare che pur non essendo il lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo tenuto ad indicare le altre posizioni lavorative esistenti in azienda al momento del recesso, laddove, in un contesto di accertata e grave crisi economica ed organizzativa dell’impresa, (questi non di meno indichi le posizioni lavorative a suo avviso disponibili e queste risultino insussistenti, tale verifica ben può essere utilizzata, nel riferito contesto, dal giudice al fine di escludere la possibilità di repechage.
5. -I motivi da 9 ad 11, inerenti l’erronea necessità dell’esistenza di un patto di demansionamento, anche per essere stato l’U. spesso impiegato in mansioni inferiori (su cui cfr. Cass. n. 13379/17), restano assorbiti, così come i motivi 12 e 13 circa l’osservanza dei criteri di scelta di cui alla L. n. 223/91, ed il motivo 14 sulla mancata ammissione della prova in ordine al cd. repechage, avendo, come visto, la sentenza impugnata adeguatamente accertato l’esistenza di un g.m.o. di licenziamento e l’impossibilità di reimpiego; ricorrendo anche qui un difetto di autosufficienza in ordine al contenuto dei capitoli di prova richiesti (ex aliis, cfr. Cass. sez.un. n. 28336/11), mentre la doglianza inerente il mancato ordine di esibizione del l.u.l. (o del libro matricola) presenta carattere meramente esplorativo.
6.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Nulla per le spese, essendo la controricorrente rimasta intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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