CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 novembre 2021, n. 36053

Tributi – Accertamento societario – Reddito da partecipazione – Causa promossa dal socio – Preguidizialità della causa societaria – Sospensione del giudizio riguardante il socio

Fatti di causa

1. F.A. impugnò l’avviso di accertamento, ai fini Irpef, per il 2008, che recuperava a tassazione il reddito di partecipazione agli utili della E.C. S.r.l., società a ristretta base partecipativa di cui il contribuente deteneva una quota dell’ 80%, conseguente all’avviso di accertamento (n. TR403T100826/2012) che rettificava il reddito d’impresa della società, emanato successivamente all’estinzione e alla cancellazione dell’ente collettivo dal registro delle imprese (avvenuta in data 14/07/2010).

2. La Commissione tributaria provinciale (“C.T.P.”) di Caserta accolse il ricorso, con sentenza (n. 1636/14/14), confermata dalla Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) della Campania che, aderendo al ragionamento del primo giudice, ha premesso che l’accertamento riguardante la società era stato annullato con sentenza della C.T.P. di Isernia (n. 229/01/2013); ha affermato che, conseguentemente, anche l’avviso diretto al socio doveva essere annullato essendo venuto meno l’avviso presupposto e ha concluso che l’ufficio non aveva provato le “operazioni inesistenti”, con ciò implicitamente riferendosi al motivo della rettifica del reddito d’impresa della società.

3. L’Agenzia ricorre con quattro motivi; il contribuente è rimasto intimato.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso [«1) Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.)»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata per omessa pronuncia su un fatto decisivo, dedotto dall’ufficio nel giudizio di appello, ovverosia che la non irrevocabilità della sentenza della C.T.P. di Isernia n. 229/01/13, recante la rettifica del reddito della E.-C. S.r.l., società a ristretta base azionaria di cui A. era socio con una partecipazione dell’80%, perché impugnata dall’Amministrazione con appello ancora pendente, avrebbe imposto alla Commissione regionale di sospendere il giudizio, ai sensi dell’art. 295, cod. proc. civ., avente ad oggetto la ripresa dell’Irpef sugli utili extracontabili distribuiti pro quota dalla società ai soci (la residua quota del 20% apparteneva a A.M.), fino al passaggio in giudicato della decisione della causa pregiudiziale riguardante la società.

1.1. Il motivo è infondato.

Fin da Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053, si è andato consolidando il principio di diritto per cui l’attuale art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Nella fattispecie concreta, con la surrichiamata censura, l’ufficio non rivolge alla sentenza critiche riconducibili al paradigma legale di cui al novellato n. 5, dell’articolo 360, in quanto non le imputa l’omesso esame di un “fatto storico” decisivo, ma le ascrive (e ciò è reso ancora più evidente dal tenore del prossimo motivo di ricorso) di non avere sospeso il processo in attesa della definizione della causa pregiudiziale riguardante l’impugnazione dell’avviso di accertamento “presupposto” riguardante la società (estinta).

2. Con il secondo motivo [«2) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c. in relazione all’art. 1 d.lgs. 546/1992 (art. 360 n. 4 c.p.c.)»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata che ha definito la causa promossa dal socio senza attendere la definizione, con sentenza irrevocabile, della causa pregiudiziale riguardante la società.

2.1. Il motivo è fondato nei termini che seguono.

Per Cass. Sez. U. 29/07/2021, n. 21763, «In tema di sospensione del giudizio per pregiudizialità necessaria, salvi i casi in cui essa sia imposta da una disposizione normativa specifica che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità tecnica e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non può ritenersi obbligatoria ai sensi dell’art. 295 c.p.c. (e, se disposta, può essere proposta subito istanza di prosecuzione ex art. 297 c.p.c.), ma può essere adottata, in via facoltativa, ai sensi dell’art. 337, secondo comma, c.p.c., applicandosi, nel caso del sopravvenuto verificarsi di un conflitto tra giudicati, il disposto dell’art. 336, secondo comma, c.p.c.». Tale principio di diritto trova applicazione anche nel processo tributario, come affermato da Cass. 17/07/2014, n. 16329; 05/09/2016, n. 17613; 06/10/2017, n. 23480). Nella specie, posto che l’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a base ristretta costituisce un indispensabile antecedente logico giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, ha errato il giudice d’appello che non ha sospeso il giudizio, riguardante la ripresa fiscale nei confronti del socio di società a ristretta base, fino al passaggio in giudicato della pronuncia sull’accertamento pregiudicante nei confronti della società.

3. Con il terzo motivo [«3) Violazione e/o falsa applicazione di legge: art. 2495 c.c. ed art. 110 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)»], l’Agenzia assume che la sentenza impugnata “sembrerebbe fare discendere” l’illegittimità dell’avviso (per Irpef 2008) diretto al socio dalla circostanza che l’avviso presupposto (n. TR403T100826/2012) diretto alla E.-C. S.r.l. non sarebbe mai stato notificato a quest’ultima perché estinta fin dal 14/07/2010, in seguito alla cancellazione dal registro delle imprese. Indi, addebita alla Commissione regionale di non avere rilevato che la notifica del detto atto impositivo presupposto, pacificamente effettuata nei confronti del socio della società estinta, successivamente all’estinzione, è pienamente valida in quanto il socio, quale successore ex lege dell’ente estinto (ex artt. 110, cod. proc. civ., 2495, cod. civ.), è legittimato a ricevere gli atti impositivi per debiti fiscali della società partecipata rimasti insoddisfatti alla data della sua estinzione.

3.1. Il motivo è fondato nei termini che seguono.

La decisione impugnata si discosta dalla consueta giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex multis Cass. n. 16362/2020), alla quale il Collegio aderisce, sviluppatasi nel solco delle Sezioni Unite che, con sentenze nn. 6070/13, 6071/13, 6072/13, hanno chiarito come, a seguito dell’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, viene a determinarsi un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono (poiché ciò sacrificherebbe ingiustamente i diritto dei creditori sociali), ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate. Muovendo da questa premessa giuridica, quindi, al contrario di quanto assevera il giudice d’appello, si appalesa corretto l’operato dell’Amministrazione finanziaria che, nel 2012, ha accertato maggiori redditi della società di capitali estinta, per un periodo d’imposta (2007) anteriore all’estinzione (14/07/2010), ed ha quindi legittimamente emanato e notificato l’atto impositivo nei confronti del socio, quale successore ex lege dell’ente collettivo (cfr., negli stessi termini, Cass. 27/07/2021, n. 21433). A tal proposito, al fine di meglio delineare l’esatta cornice giuridica della censura, è opportuno chiarire per un verso che la materia di imposte sui redditi, per effetto dell’art. 19, del d.lgs. n. 46 del 1999, è regolata dall’art. 36, del d.P.R. n. 602 del 1973, in tema di responsabilità ed obblighi degli amministratori, dei liquidatore e dei soci, e per altro verso che, con riferimento alla responsabilità di questi ultimi, come ha recentemente precisato Cass. 17/12/2020, n. 28955 (p. 6.) «la questione della limitazione della responsabilità dei soci alle sole somme riscosse in sede di liquidazione non appare dirimente nel caso […] in cui si vert[a] in tema di ricavi occultati e, dunque, non rilevabili documentalmente, che, in ragione della ristrettezza della base societaria, si presumono distribuiti a favore dei soci, essendo palese che l’assenza di evidenza contabile di utili non rend[e] necessarie particolari rilevazioni ai fini della legittimazione passiva dei soci, né ai fini dei requisiti di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973.» (in senso conforme, Cass. 20/06/2019, n. 16546 (p. 3.8.); 04/12/2020, n. 27791 (p. 5.2.).

4. Con il quarto motivo [«4) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 134 n. 4 c.p.c. e degli artt. 1, comma 2, 36, e 61 d.lgs. 546/1992, nonché dell’art. 111, comma 6, Cost. Nullità della sentenza per assoluta mancanza (o mera apparenza) della motivazione (art. 360 n. 4 c.p.c.)»], si deduce la nullità, per difetto della motivazione, di quella parte della sentenza d’appello che, senza esporre la propria ratio decidendi, afferma che l’ufficio non ha provato le operazioni inesistenti alla base dell’accertamento riguardante la società estinta.

4.1. Il motivo è fondato.

Questa Corte, a sezioni unite, ha stabilito che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, allorquando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguìto dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè tali da lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 19/06/2018, n.16159 [p. 7.2.], che menziona Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232; conf.: Cass. Sez. U. nn. 22229, 22230, 22231, del 2016. I medesimi concetti giuridici sono espressi da Cass. Sez. U. 24/03/2017, n. 766; Cass. Sez. U. 09/06/2017, n. 14430 [p. 2.4.]; Cass. Sez. U., 18/04/2018, n. 9557 [p. 3.5.]).

Nella specie, la sentenza, nella parte sopra richiamata, è nulla per motivazione apparente perché non spiega la ragione giustificatrice dell’asserzione secondo cui l’ente impositore non avrebbe dato prova delle operazioni inesistenti correlate all’accertamento nei confronti della società estinta.

5. In conclusione, accolti il secondo, il terzo e il quarto motivo, e rigettato il primo motivo, la sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio al giudice a quo, anche per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo, rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.