CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 ottobre 2021, n. 29644
Rapporto di lavoro – Superiore inquadramento – Concorso interno – Disponibilità di posti nella dotazione organica al momento della emanazione del bando di selezione
Fatti di causa
1. La Corte d’ Appello di Genova ha respinto l’appello di M.D.M. avverso la sentenza del Tribunale di Savona che aveva rigettato la domanda, proposta nei confronti dell’Inps, successore ex lege dell’Inpdap, volta ad ottenere l’accertamento del diritto ad essere inquadrata nell’area B, posizione economica B1, dal 1° febbraio 2014 e la conseguente condanna dell’istituto a corrispondere le differenze retributive maturate a partire da detta data.
2. La Corte territoriale ha premesso che l’appellante, inquadrata nell’area A, aveva partecipato con esito positivo al concorso interno bandito dall’Inpdap per il passaggio in area B e la graduatoria finale era stata approvata dall’Istituto con determina del 31 ottobre 2011. Successivamente, con atto n. 140 del 30 novembre 2011, il Direttore Generale, rilevato che nella pianta organica non erano disponibili i posti per i quali il concorso era stato indetto, aveva disposto, al fine di «non vanificare lo svolgimento della procedura selettiva», che l’assunzione sarebbe stata comunque effettuata ma con decorrenza dell’inquadramento differita al momento della creazione dei posti necessari.
3. L’Inpdap era stato poi soppresso in forza del d.l. n. 201/2011 e l’Inps, che era subentrato nei rapporti giuridici attivi e passivi, aveva annullato la deliberazione rilevando che l’estinzione dell’ente e il venir meno della relativa dotazione organica avevano reso oggettivamente impossibile il verificarsi della condizione.
4. Il giudice d’appello ha ritenuto legittimo l’operato dell’Inps ed infondata la pretesa dell’appellante perché la condizione era riferita all’organizzazione dell’ente soppresso e non alla dotazione organica dell’Inps, che era stata incrementata di un numero di posti corrispondente alle unità di personale in servizio tenendo conto delle qualifiche da queste possedute al momento della soppressione.
5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M.D.M. sulla base di due motivi ai quali l’Inps ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
La Procura Generale ha concluso ex art. 23, comma 8 bis del d.l. n. 137/2020, convertito in legge n. 176/2020, per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la ricorrente denuncia «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21, commi 1 e 2 del d.l. n. 201 del 2011 (convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 2011) in combinato disposto con l’art. 1 del DPCM del 23.1.2013, con l’art. 3 del D.M. 5.7.2013 e con le determine Inpdap n. 123 del 2011 e n. 140 del 2011 nonché violazione dell’art. 2103 cod. civ.». Sostiene che l’assunzione della ricorrente nell’area B era già stata disposta in quanto la delibera n. 140/2011 aveva differito al verificarsi della condizione solo la decorrenza dell’inquadramento sicché l’Inps, successore universale dell’Inps in tutti i rapporti attivi e passivi, non poteva rifiutare di riconoscere la qualifica superiore dal momento che alla data del 1° febbraio 2014 erano disponibili nell’area B circa 300 posti. Aggiunge che le pronunce di questa Corte che hanno attribuito rilevanza ai mutamenti organizzativi dell’ente si riferiscono a fattispecie non sovrapponibili a quella oggetto di causa perché in quei casi la soppressione aveva riguardato la qualifica e l’area di attività richiamate nel bando.
2. Con la seconda censura è denunciato ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione fra le parti perché la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare la sussistenza o meno della vacanza di posti dell’area B con riferimento anorganico cumulato e, quindi, accogliere la domanda atteso che la documentazione depositata dimostrava in modo inconfutabile l’avveramento della condizione sospensiva.
3. I motivi di ricorso, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logicogiuridica, sono infondati.
Nello storico di lite si è evidenziato che la ricorrente, inquadrata nell’area A, aveva partecipato alla selezione, bandita dall’INPDAP con circolare n. 22 del 2010, per il passaggio dall’area A di inquadramento all’area B, passaggio poi non realizzato perché lo stesso istituto, preso atto dell’insussistenza della «necessaria capienza dell’area B», aveva differito l’inquadramento al momento del verificarsi della vacanza nella dotazione organica dell’ente.
La procedura selettiva della quale qui si discute è stata, quindi, indetta successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2009 che, oltre a modificare l’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 prevedendo, ai commi 1 e 1 bis, che le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico ex art. 35 lett. a) dello stesso decreto, ha espressamente previsto, all’art. 24, che «le amministrazioni pubbliche, a decorrere dal 1° gennaio 2010, coprono i posti disponibili nella dotazione organica attraverso concorsi pubblici, con riserva non superiore al cinquanta per cento a favore del personale interno, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di assunzioni.».
In tal modo il legislatore, nel recepire principi consolidati nella giurisprudenza costituzionale e di questa Corte (si rimanda alla motivazione di Cass. S.U. n. 15403/2003 che in tema di giurisdizione ha per prima operato la distinzione fra le progressioni all’interno dell’area e quelle comportanti il passaggio all’area superiore), ha con chiarezza subordinato le progressioni verticali al rispetto dei medesimi requisiti richiesti per l’accesso all’impiego e, quindi, al superamento di concorso pubblico, sia pure parzialmente riservato agli interni, concorso che, per la sua valida indizione, richiede innanzitutto il rispetto della programmazione del fabbisogno del personale, deliberata all’esito degli adempimenti imposti dalla disciplina di legge vigente ratione temporis (art. 35 del d.lgs. n. 165/2001 nelle diverse versioni succedutesi nel tempo, da leggere in combinato disposto con l’art. 6 dello stesso decreto).
3.1. Di questi necessari adempimenti avevano tenuto conto anche le parti collettive che con il CCNL 1.10.2007 per il personale del comparto degli enti pubblici non economici, stipulato nella vigenza dell’originario art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, all’art. 14, nel dettare i «principi e criteri generali per la progressione fra le aree», avevano espressamente previsto, al comma 2, che i passaggi potevano essere attuati nei soli limiti dei posti previamente individuati ed al comma 4 avevano aggiunto che gli stessi dovevano essere «attuati e finanziati dagli enti sulla base della programmazione dei fabbisogni, nel rispetto delle disposizioni di legge».
3.2. Alla luce del quadro normativo e contrattuale sopra richiamato non si può non condividere quanto rilevato dalla difesa dell’INPS che, nel controricorso, sottolinea come la determinazione n. 140/2011 assunta dall’INPDAP risultava «emanata in assenza ab origine di un presupposto fondamentale di legge, costituito dalla disponibilità di posti nella dotazione organica al momento della emanazione del bando di selezione interna».
Tanto basterebbe a far ritenere legittima la successiva determinazione n. 10 del 23 giugno 2014, con la quale l’INPS, subentrato all’INPDAP a seguito della soppressione di quest’ultimo disposta dal d.l. n. 201/2011, convertito dalla legge n. 214/2011, ha rivisto la precedente deliberazione, annullandola nella parte in cui aveva fatto salvi gli effetti della procedura espletata «differendo i termini di inquadramento nella posizione B1 ad una data successiva, ossia al momento in cui riassorbito il soprannumero, si creeranno le relative vacanze nell’area di riferimento».
3.3. Da tempo questa Corte ha affermato che il datore di lavoro pubblico non può attribuire inquadramenti e trattamenti economici in contrasto con la disciplina legale e contrattuale, neppure se di miglior favore, ed è tenuto al ripristino della legalità violata (cfr. fra le più recenti Cass. n. 11645/2021 e la giurisprudenza ivi richiamata), sicché l’atto deliberativo della P.A. non è sufficiente a far sorgere un diritto soggettivo in capo al destinatario, occorrendo anche che lo stesso sia conforme alla legge ed alla contrattazione collettiva.
Se ne è tratta la conseguenza, quanto al rapporto fra procedura concorsuale e contratto di lavoro, che l’approvazione della graduatoria ed anche la successiva sottoscrizione del contratto individuale, non impediscono al datore di lavoro, che agisce con le capacità proprie del soggetto privato, di far valere, a rapporto già instaurato di fatto, l’assenza del vincolo contrattuale conseguente alla nullità delle operazioni concorsuali (Cass. nn. 8328/2010, 19626/2015, 13884/2016, 13800/2017, 7054/2018, 194/2019, 17002/2019).
I richiamati principi risultano ostativi nella fattispecie all’accoglimento della domanda proposta dalla D.M., posto che l’orientamento secondo cui l’Amministrazione ha il potere-dovere di bloccare i provvedimenti dai quali possano derivare nuove assunzioni che non corrispondano più alle oggettive necessità di incremento del personale in base all’art. 97 Cost. (cfr. Cass. n. 30238/2017, Cass. n. 12679/2016; Cass. S.U. n. 16728/2012), a maggior ragione impedisce la progressione verticale, implicante novazione del rapporto (cfr. fra le tante Cass. S.U. n. 26270/2016) qualora, come nella fattispecie, la procedura risulti indetta in violazione delle disposizioni legali e contrattuali vigenti al momento del suo espletamento.
4. Alle considerazioni che precedono, già assorbenti, si deve aggiungere che del tutto priva di fondamento è la pretesa della ricorrente di ritenere realizzata la condizione posta dalla determinazione n. 140/2011 facendo leva sull’asserita vacanza, nella dotazione organica dell’INPS, di posizioni di lavoro riconducibili all’area B.
Con l’art. 21 del d.l. n. 201/2011, convertito dalla legge n. 214/2011, il legislatore, nel disporre la soppressione dell’INPDAP ed il trasferimento all’INPS delle funzioni attribuite all’ente soppresso, ha dettato una dettagliata disciplina delle modalità del trasferimento stesso e se, da un lato, ha previsto, in via generale, la successione dell’INPS nei rapporti attivi e passivi facenti capo all’INPDAP, dall’altro, quanto al personale, ha stabilito che:
a) la dotazione organica dell’INPS è incrementata di un numero di posti corrispondente alle unità di personale di ruolo in servizio presso gli enti soppressi alla data di entrata in vigore del decreto;
b) non possono essere trasferite le posizioni soprannumerarie rispetto alla dotazione organica dell’ente soppresso, che costituiscono eccedenze di personale;
c) l’INPS provvede al riassetto organizzativo e funzionale conseguente alla soppressione, operando una razionalizzazione dell’organizzazione e delle procedure;
d) le operazioni devono comportare una riduzione dei costi complessivi di funzionamento dell’INPS e degli enti soppressi.
Si tratta, quindi, di un complesso articolato normativo dal quale si evince la volontà del legislatore di realizzare, attraverso l’estinzione degli enti ed il conseguente passaggio di competenze e di personale, una riorganizzazione generale dell’ente incorporante, da condurre perseguendo l’obiettivo prioritario del contenimento della spesa, il che esclude alla radice la possibilità che, all’esito dell’estinzione dell’INPDAP, potesse considerarsi avverata la condizione sospensiva, legata ad un diverso assetto organizzativo e ad una diversa programmazione del fabbisogno del personale.
E’ significativo al riguardo che il legislatore abbia escluso dal passaggio le posizioni soprannumerarie dell’ente soppresso, ritenendole eccedenti a prescindere dalla capienza o meno della pianta organica risultante all’esito dell’incorporazione, previsione, questa, che rende evidente l’intento di considerare quest’ultima autonoma e distinta rispetto a quella dell’ente di provenienza. Ne discende, quale conseguenza, che non si può fare leva sul nuovo assetto e sulla vacanza esistente presso l’ente incorporante per ritenere verificata la condizione posta dalla richiamata determinazione n. 140/2011, divenuta giuridicamente irrealizzabile una volta soppresso l’ente.
5. La sentenza impugnata, che ha respinto la domanda della D.M., non si è discostata dai principi di diritto sopra richiamati sicché il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.
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