CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 agosto 2019, n. 21685
Licenziamento per giusta causa – Sussistenza – Pagamento dell’indennità di mancato preavviso e dell’indennità di risoluzione del rapporto di lavoro
Fatti di causa
1. – Con sentenza n. 258/2017 depositata il 9.5.2017 la Corte di Appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado del giudice della medesima sede, ha accolto la domanda di S. De L. e di V. C. proposta nei confronti della banca Sudtirol Bank Ag – Alto Adige Banca s.p.a. per l’accertamento della sussistenza di giusta causa del recesso comunicato dai promotori finanziari alla preponente nel gennaio 2011 e la conseguente condanna al pagamento della indennità di mancato preavviso e dell’indennità di risoluzione del rapporto di lavoro, oltre provvigioni maturate e non versate.
2. La Corte territoriale, respinta l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi in appello dei due promotori, ha rilevato, con riguardo alla sussistenza di una giusta causa di recesso, che l’accordo del 24.3.2010 intercorso tra il coordinatore dei due promotori finanziari, M. G., e la banca (in particolare ove prevedeva una proposta transattiva sui certificati S. G.-Sociètè Generale da avanzarsi a cura della banca e di SocGen) configurava una promessa del fatto del terzo che era rimasta inadempiuta da parte della banca (che non aveva dimostrato di essersi adoperata, nei confronti di S.G., al fine di enucleare una proposta transattiva da presentare ai clienti), con conseguente impatto assolutamente negativo sui rapporti tra promotori e clienti della banca stessa, ripercussioni negative confermate dagli elementi probatori acquisiti; la banca non aveva, inoltre, adempiuto nemmeno agli obblighi economici assunti nel suddetto accordo, risultando – le provvigioni ivi previste – corrisposte al G., nella sua veste di coordinatore dei promotori finanziari, solo in parte e solo nel dicembre 2011 dopo numerosi solleciti.
2. Contro la sentenza, Sudtirol Bank Ag – Alto Adige Banca s.p.a. propone ricorso per Cassazione, fondato su sei motivi. I promotori S. De L. e V. C. resistono con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza o del procedimento di appello per violazione degli artt. 434 e 342 cod.proc.civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod.proc.civ.), avendo, la Corte territoriale, erroneamente respinto l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi in appello proposti dagli agenti, esigendo, le regole processuali, la formulazione di un giudizio di ragionevole probabilità di accoglimento dell’impugnazione, risolvendosi, invece, gli appelli, in semplici critiche alla sentenza senza l’individuazione di una diversa soluzione decisoria.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, reso una motivazione apparente a causa del contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, in ordine alla oggettiva configurazione dell’accordo del 24.3.2010 e con riguardo alla estraneità soggettiva dei promotori ove il coordinatore G. dapprima risulta mandatario con rappresentanza dei promotori stessi (riguardo alla struttura retributiva e all’autonomia assicurativa dei promotori finanziari) e poi risulta agire esclusivamente nel proprio interesse (riguardo all’accordo “ricucitura” ossia alla proposta transattiva che coinvolgesse la S.G.).
3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione dei canoni eremeneutici contrattuali, artt. 1362 e ss. cod.civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, sempre con riferimento all’accordo del 24.3.2010, erroneamente rinvenuto una volontà dei promotori di investire il C. del potere rappresentativo.
4. Con il quarto motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1381 cod.civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, sempre con riferimento all’accordo del 24.3.2010, erroneamente configurato un “fatto del terzo” in una proposta (la “soluzione” di “circa” il 70% del valore nominale) inidonea ad integrare la fattispecie per oggettiva indeterminabilità del comportamento da adottare a cura del terzo (non essendo, dunque, precisato che si sarebbe trattato di una soluzione transattiva).
5. Con il quinto motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 1751 cod.civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, ravvisato il carattere della gravità dell’inadempimento del preponente in un elemento (inadempimenti “perpetuati in un lungo arco temporale”) antitetico rispetto a quello (immediatezza) che giustificherebbero il recesso.
6. Con il sesto motivo il ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, errato nel ritenere che l’obbligazione provvigionale fosse stata assunta nei confronti dei promotori anziché del G., dovendo altresì essere adempiuta da soggetto (Sudtirol Vita e Danni) diverso dalla Banca, fornendo, dunque, una motivazione apparente in ordine al fatto storico della terzietà dell’obbligo di pagare commissioni.
7. Il primo motivo non è fondato.
Questa Corte ha affermato che gli artt. 342 e 434 cod.proc.civ., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla I. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. Sez. U. n. 27199 del 2017, confermata più recentemente da Cass. n. 13535 del 2018).
La sentenza impugnata, respingendo l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi in appello proposti dal De L. e dal C., si è conformata all’indirizzo giurisprudenziale consolidato, rilevando che “l’appello proposto individua in modo esauriente il “quantum appellatum”, sollecitando il giudizio di gravame con riferimento alla sentenza di primo grado nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata. “
8. Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili sia perché cercano di avvalorare come omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione fra le parti la difforme loro valutazione ad opera della sentenza impugnata sia perché non individuano la regola di ermeneutica contrattuale violata dal giudice del merito e conseguentemente non indicano le ragioni per le quali da detta regola quest’ultimo si sarebbe discostato.
La nuova formulazione dell’art. 360 co. 1° n. 5 c.p.c. (applicabile, ai sensi del cit. art. 54, co. 3°, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle sentenze pubblicate dal 12.9.12 e, quindi, anche alla pronuncia in questa sede impugnata) rende denundabile per cassazione solo il vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. In tal modo il legislatore è tornato, pressoché alla lettera, all’originaria formulazione dell’art. 360 co. 1° n. 5 c.p.c. del codice di rito del 1940.
Con orientamento (cui va data continuità) espresso dalla sentenza 7.4.14 n. 8053 (e dalle successive pronunce conformi), le S.U. di questa S.C., nell’interpretare la portata della novella, hanno in primo luogo notato che con essa si è assicurato al ricorso per cassazione solo una sorta di “minimo costituzionale”, ossia lo si è ammesso ove strettamente necessitato dai precetti costituzionali, supportando il giudice di legittimità quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris. Proprio per tale ragione le S.U. hanno affermato che non è più consentito denunciare un vizio di motivazione se non quando esso dia luogo, in realtà, ad una vera e propria violazione dell’art. 132 co. 2° n. 4 c.p.c. Ciò si verifica soltanto in caso di mancanza grafica della motivazione, o di motivazione del tutto apparente, oppure di motivazione perplessa od oggettivamente incomprensibile, oppure di manifesta e irriducibile sua contraddittorietà e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sé, esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima mediante confronto con le risultanze probatorie.
Secondo le S.U., l’omesso esame deve riguardare un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico o la maggiore o minore significativa del fatto medesimo) principale o primario ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria).
Inoltre, con particolare riguardo al terzo motivo, la parte, qualora intenda dolersi della interpretazione data all’atto dal giudice del merito, è tenuta non solo a fare puntuale riferimento alle regole legali di ermeneutica, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati, ma anche ad indicare le ragioni per le quali la decisione impugnata da dette regole si sarebbe discostata. Ciò perché il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo, che appartiene all’ambito del giudizio di fatto, ma afferisce solo alla verifica del rispetto degli artt. 1362 e seguenti cod. civ.. (in tal senso fra le più recenti Cass. n. 2465 del 2015, Cass. n. 7129 del 2017).
Ebbene, la sentenza impugnata ha espressamente esaminato tutte le circostanze concrete della vicenda per cui è causa (i motivi del recesso per giusta causa dei promotori, l’accordo c.d. “di ricucitura” del 24.3.2010, le disfunzioni operative della banca e le conseguenti ripercussioni negative sul lavoro dei promotori e sui rapporti dei medesimi con i clienti), sia pur pervenendo ad un esito non condiviso dall’odierna ricorrente quanto a significatività dei fatti dedotti; la Corte territoriale, nell’esegesi del contratto individuale stipulato tra la banca e il Cirilli ha, da una parte, valorizzato il ruolo di coordinatore (quindi mandatario) del Cirilli in ordine ai profili organizzativi e retributivi della struttura dei promotori finanziari e, dall’altra, rilevato l’assunzione, in proprio, dell’impegno di far accettare (ai promotori e ai clienti) la soluzione transattiva relativa a circa il 70% del valore nominale dei certificati SocGen.
9. Il quarto motivo è inammissibile.
La doglianza appare nuova e, perciò, inammissibile, non essendo stata la questione (della eventuale indeterminatezza dell’obbligazione di facere assunta dalla banca promittente con la promessa del fatto del terzo), specificamente trattate nella decisione impugnata (che si occupa, anzi, di rilevare come la banca non ha dimostrato di essersi adoperata al fine di presentare ai clienti una proposta “transattiva” che coinvolgesse anche la SocGen, pag. 7 della sentenza), ne’ avendo indicato parte ricorrente i tempi e i modi della sua tempestiva introduzione nel giudizio di primo grado e, quindi, della sua devoluzione al giudice del gravame. Va, inoltre, sottolineato che la censura investe nuovamente (sotto altra prospettiva) l’interpretazione dell’accordo del marzo 2010 fornita dalla Corte distrettuale, profilo che appartiene all’ambito del giudizio di fatto e, dunque, precluso in questa sede di legittimità.
10. Il quinto motivo non è fondato.
Pur tralasciando profili di inammissibilità della censura per novità della doglianza, va osservato che il principio di immediatezza è, ormai da giurisprudenza consolidata, inteso in senso relativo essendo compatibile con il tempo necessario per l’esatto accertamento dei fatto e per la loro adeguata valutazione (cfr. in materia di agenzia, Cass. n. 10088 del 1993; Cass. n. 171 del 2012; in materia di lavoro subordinato, da ultimo, Cass. n. 25535 del 2018, Cass. n. 1248 del 2016).
La Corte territoriale ha sottolineato – con particolare riguardo alla sussistenza della giusta causa di recesso dei promotori – che l’inadempimento della banca all’accordo del 24.3.2010 ha determinato sfiducia nei clienti nonché ha provocato serie difficoltà, acuite dalle numerose disfunzioni operativi, nei rapporti dei promotori con i clienti, circostanze tutte che richiedevano, pertanto, un congruo tempo idoneo a valutare la condotta del preponente e le sue negative ripercussioni, il cui apprezzamento coinvolge una valutazione di merito preclusa in questa sede.
11. Il sesto motivo è inammissibile.
L’assunto secondo il quale l’obbligazione del pagamento delle provvigioni di cui alla clausola n. 5 dell’accordo 24.3.2010 non è riconducibile alla banca attiene a valutazioni di merito che non possono trovare ingresso nella presente sede di legittimità, dal momento che, nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le allegazioni e le prove offerte dalle parti.
Va, nuovamente, rilevato che il controllo di logicità del giudizio di fatto è, nella presente fattispecie, consentito alla luce dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5 novellato, ed è, dunque, denunciarle in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
La Corte distrettuale ha rilevato che la banca, sottoscrivendo l’accordo del 24.3.2010, aveva assunto degli obblighi che sono rimasti inadempiuti alla luce dell’ampia documentazione prodotta dai promotori.
Non è, quindi, ravvisabile alcuna lacuna o contraddizione motivazionale secondo il parametro del c.d. minimo costituzionale attualmente imposto dal novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.
12. – In conclusione, per le ragioni innanzi esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
13. – Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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