CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 aprile 2020, n. 8088

Tributi – TARI – Autorimesse e magazzini – Applicazione della tassa – Legittimità

Fatti di causa

1. Con sentenza depositata il 2 ottobre 2017 n. 2642/12/2017, notificata il 3 gennaio 2018, la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna accoglieva l’appello proposto dalla “C. L. I. S.r.l.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna il 14 giugno 2016 n. 697/01/2016, con compensazione delle spese giudiziali. Il giudice di appello rilevava che: a) il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un “invito al pagamento” con il quale il Comune di Bentivoglio (BO) aveva sollecitato il versamento della T.A.R.I. per l’anno 2014 in relazione ad autorimesse e magazzini di sua proprietà; b) la Commissione Tributaria Provinciale aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto dalla contribuente, sul presupposto che l’impugnazione riguardasse un semplice avviso “di cortesia”, il quale non costituiva atto impositivo. La Commissione Tributaria Regionale riformava la decisione di primo grado, rilevando che l’invito al pagamento del tributo costituiva atto impositivo e che la contribuente si era avvalsa di società private autorizzate per lo smaltimento a proprie cure e spese dei rifiuti terziari generati nei magazzini.

2. Avverso la sentenza di appello, il Comune di Bentivoglio (BO) proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 5 marzo 2018 ed affidato a quattro motivi; la “C. L. I. S.r.l.” si costituiva con controricorso e depositava memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo, il Comune di Bentivoglio (BO) denuncia “illegittimità” della sentenza impugnata per mancato rilievo  della improcedibilità ed inammissibilità del ricorso originario per violazione dell’art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 (verosimilmente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.), per aver erroneamente giudicato nel merito su un atto non impugnabile dinanzi al giudice tributario.

2. Con il secondo motivo, il Comune di Bentivoglio (BO) denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 641 e comma 649, della Legge 27 dicembre 2013 n. 147 (e, in quanto, applicabile, dell’art. 62 del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per aver erroneamente escluso il presupposto impositivo della T.A.R.I. in relazione alla potenziale utilizzabilità dell’immobile posseduto, a prescindere dalla fruibilità del servizio comunale di raccolta dei rifiuti.

3. Con il terzo motivo, il Comune di Bentivoglio (BO) denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 649, della Legge 27 dicembre 2013 n. 147 (e, in quanto, applicabile, dell’art. 62 del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507), per aver erroneamente ritenuto che i rifiuti terziari non sono assimilabili ai rifiuti urbani e che l’onere delle spese per la raccolta ed il recupero degli imballaggi secondari e terziari, nonché per lo smaltimento dei rifiuti da imballaggio non esonerava dal pagamento della T.A.R.I. per i rifiuti urbani.

4. Con il quarto ed ultimo motivo, il Comune di Bentivoglio (BO) denuncia “illegittimità” della sentenza impugnata per l’imposizione (recte: l’esclusione) dell’onere probatorio a carico del contribuente in violazione dell’art. 1, comma 641 e comma 649, della Legge 27 dicembre 2013 n. 147 (verosimilmente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.), per aver erroneamente ritenuto che l’ente impositore dovesse fornire la prova dell’uso promiscuo delle superfici di magazzino fra rifiuti speciali e rifiuti urbani.

5. Il primo motivo è palesemente infondato.

5.1 Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli “atti impugnabili”, contenuta nell’art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (art. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la Legge 28 dicembre 2001 n. 448. Ciò comporta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinato, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 citato.

Sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, ex art. 100 cod. proc. civ., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico. La mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 citato non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (e cioè la cristallizzazione) di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dall’art. 19 (ex plurimis: Cass., Sez. 5″, 8 ottobre 2007, n. 21045; Cass. Sez. 5″, 25 febbraio 2009, n. 4513; Cass., Sez. 5″, 15 giugno 2010, n. 14373; Cass., Sez. 5″, 11 maggio 2012, n. 7344; Cass., Sez. 5″, 11 febbraio 2015, n. 2616; Cass., Sez. 6″, 18 luglio 2016, n. 14675; Cass., Sez. 5″, 30 maggio 2017, n. 13584; Cass., Sez. 6″, 2 novembre 2018, n. 26129).

5.2 In coerenza con tale indirizzo, questa Corte ha più volte affermato che alla fattura contenente la richiesta della tariffa di igiene ambientale (T.I.A.), così come al relativo procedimento di quantificazione e riscossione del prelievo in questione, si devono applicare i principi generali del procedimento tributario di accertamento e di riscossione. In particolare, si è ribadito quanto già espresso (Cass., Sez. 5″, 9 agosto 2007, n. 17526) e quanto affermato dalla Costituzionale (Corte Cost., 24 luglio 2009 n. 238), ossia che gli atti con cui il gestore del servizio smaltimento rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto da lui dovuto a titolo di tariffa di igiene ambientale, anche quando gli stessi dovessero avere la forma di fattura commerciale, non attengono al corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta, ma a un’entrata pubblicistica. Ne consegue che, avendo natura di atti impositivi, anche le fatture T.I.A. debbono rispondere ai requisiti sostanziali propri di questi provvedimenti e possono essere impugnate davanti alle commissioni tributarie, nonostante non siano espressamente ricomprese tra l’elenco degli atti opponibili (Cass., Sez. 5″, 10 maggio 2013, n. 11157; Cass., Sez. 6^, 18 luglio 2016, n. 14675; Cass., Sez. 5A, 31 ottobre 2018, n. 27805).

5.3 Per cui, anche alla luce di tali precedenti in materia di tasse sulla raccolta e sullo smaltimento dei rifiuti, non vi è dubbio che anche l’invito al pagamento della T.A.R.I. sia autonomamente impugnabile dinanzi al giudice tributario, contenendo una chiara ed inequivoca formulazione della  pretesa tributaria per l’anno di riferimento e generando l’interesse del contribuente a contestarne l’an e/o il quantum.

6. Il secondo motivo, il terzo motivo ed i0 quarto motivo, per connessione logica ed economia processuale, sono suscettibili di trattazione congiunta.

6.1 Come è noto, la T.A.R.I. ha sostituito, con decorrenza dall’1 gennaio 2014, i preesistenti tributi dovuti ai Comuni dai cittadini, enti ed imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti (noti in precedenza con gli acronimi di T.A.R.S.U. e, successivamente, di T.I.A. e T.A.R.E.S.), conservandone, peraltro, la medesima natura tributaria.

L’imposta è dovuta, ai sensi della Legge 27 dicembre 2013 n. 147, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, mentre le deroghe indicate e le riduzioni delle tariffe non operano in via automatica in base alla mera sussistenza della previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti.

Ai sensi dell’art. 1, comma 649, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147, nella determinazione della superficie assoggettabile alla T.A.R.I. non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della T.A.R.I., il Comune con proprio regolamento può prevedere riduzioni della parte variabile proporzionali alle quantità che i produttori stessi dimostrino di avere avviato al recupero.

Ciò premesso, estendendo alla T.A.R.I. l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di  T.A.R.S.U., con riguardo all’art. 62, comma 3, del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507, la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, salva l’applicazione sulla stessa di un «coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi» e chiaramente presuppone l’assoggettamento all’imposta dei soli rifiuti urbani e salvo il diritto ad una riduzione della tassa in caso di produzione di rifiuti assimilati «smaltiti in proprio» (Cass., Sez. 5″, 1 aprile 2016 n. 6359). In tale materia grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell’esenzione, atteso che, pur operando il principio secondo il quale è l’amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, esso non può operare con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, o addirittura l’esenzione, costituendo questa, un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (Cass., Sez. 5^, 13 maggio 2015, n. 9731; Cass., Sez. 6^, 5 settembre 2016, n. 17622; Cass., Sez. 5^, 22 dicembre 2016, n. 267’25; Cass., Sez. 5^, 22 settembre 2017, n. 22130; Cass., Sez. 5^, 15 maggio 2019, n. 12979).

Per i produttori di rifiuti speciali non assimilabili agli urbani non si tiene altresì conto della parte di area dei magazzini, funzionalmente ed esclusivamente collegata all’esercizio dell’attività produttiva, occupata da materie prime e/o merci, merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali non assimilabili, la cui lavorazione genera comunque rifiuti speciali non assimilabili. Resta fermo l’assoggettamento dei magazzini destinati allo stoccaggio di semilavorati e/o prodotti finiti connessi a lavorazioni produttive di rifiuti assimilati, dei magazzini di attività commerciali, dei magazzini relativi alla logistica, dei magazzini di deposito di merci e/o mezzi di terzi. Ebbene, l’esenzione prevista dalla legge di stabilità riguarda in primo luogo solo le aree accessorie ai locali tassabili (balconi, terrazzi) e non anche quelle accessorie alle aree esenti perché produttive di rifiuti speciali; queste aree possono ritenersi esenti solo in quanto aree funzionalmente ed esclusivamente collegate all’esercizio dell’attività produttiva e comunque produttive di rifiuti speciali (Cass., Sez. 5^, 15 maggio 2019, n. 12979).

6.2 Nello specifico, la questione all’esame della Corte verte essenzialmente sulla tassabilità ai fini di autorimesse e magazzini ritenuti esenti da imposta, perché produttivi di soli imballaggi terziari, che la contribuente deduce di avviare al recupero a proprie cure e spese (mediante l’ausilio di società private autorizzate).

Il D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, emanato in attuazione delle Direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, nel Titolo II (specificamente dedicato alla «gestione degli imballaggi») – premesso che la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio è disciplinata «sia per prevenire e ridurne l’impatto sull’ambiente ed assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente, sia per garantire il funzionamento del mercato e prevenire l’insorgere di ostacoli agli scambi, nonché distorsioni e restrizioni alla concorrenza», ai sensi della citata Direttiva 94/62/CEE (art. 34, comma 1), dispone che: a) Gli imballaggi si distinguono in primari (quelli costituiti da «un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore»), secondari o multipli (quelli costituiti dal «raggruppamento di un certo numero di unità di vendita») e terziari (quelli concepíti «in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli») (art. 35, comma 1); b) «i produttori e gli utilizzatori sono responsabili della corretta gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti»: oltre ai vari obblighi in tema di raccolta, riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti di imballaggio, sono a carico dei produttori e degli utilizzatori i costi – fra l’altro- la raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari, la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio pubblico, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio, lo smaltimento dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari (art. 38); c) «dall’i gennaio 1998 è vietato immettere nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani imballaggi terziari di qualsiasi natura. Dalla stessa data eventuali imballaggi secondari non restituiti all’utilizzatore dal commerciante al dettaglio possono essere conferiti al servizio pubblico solo in raccolta differenziata, ove la stessa sia stata attivata» (art. 43, comma 2).

Dall’esame del Titolo 2″ del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, si ricava che i rifiuti di imballaggio costituiscono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere, regime caratterizzato essenzialmente dalla attribuzione ai produttori ed agli utilizzatori della loro “gestione” (termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento) (art. 38 cit.); ciò vale in assoluto per gli imballaggi terziari, per i quali è stabilito il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, cioè, in sostanza, il divieto di assoggettamento al regime di privativa comunale. Ne deriva che i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli degli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai Comuni ai rifiuti urbani, nell’esercizio del potere ad essi restituito dall’art. 21 del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 e dalla successiva abrogazione dell’art. 39 della Legge 22 febbraio 1994 n. 146 da parte dell’art. 17 della Legge 24 aprile 1998 n. 128, ed i regolamenti che una tale assimilazione abbiano previsto vanno perciò disapplicati in parte qua dal giudice tributario (Cass., Sez. 5^, 19 ottobre 2012, n. 627; Cass., Sez. 5^, 11 marzo 2016, n. 4793; Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2016, nn. 6358 e 6359; Cass., Sez. 5^, 9 giugno 2017, n. 14414).

In ogni caso, trattandosi nella specie di imballaggi terziari, si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali (art. 62, comma 3, del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507), e la tassa è esclusa per la sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali (Cass., Sez. 5^, 11 marzo 2016, n. 4793).

6.3 Ciò non comporta, quindi, che tali categorie di rifiuti (imballaggi terziari) siano, di per sé, esenti dalla T.A.R.I., ma che ad esse si applichi la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dall’art. 62, comma 3, del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 507, il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali (Cass., Sez. 5^, 15 dicembre 2015, n. 4793; Cass., Sez. 5^, 11 marzo 2016, nn. 4792 e 4793).

Dunque, il giudice di appello è incorso in violazione di legge nell’affermare che la contribuente andava esente dalla applicazione della T.A.R.I. a norma dell’art. 1, comma 649, della Legge 27 dicembre 2013 n. 14, in quanto la contribuente provvedeva in proprio allo smaltimento dei rifiuti terziari, dovendo affermarsi, invece, che non è ammissibile l’esclusione della superficie delle autorimesse e dei magazzini con riferimento al computo della parte fissa della tassa in questione, trattandosi di superficie potenzialmente idonea alla produzione di rifiuti urbani, e ciò a prescindere dalla mancata produzione in concreto degli stessi e dalla mancata fruizione del servizio pubblico ad essi dedicato e che, viceversa, è ammissibile l’esclusione del versamento della parte variabile ogniqualvolta in cui il contribuente sia in grado di dimostrare la mancata produzione su quella determinata superficie di rifiuti conferibili a smaltimento o la produzione esclusiva di rifiuti speciali, non assimilati o assimilabili.

7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato per il primo motivo ed accolto per i restanti motivi. Per conseguenza, l’impugnata decisione deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, che, uniformandosi ai principi di diritto sopra esposti, procederà,  sulla base dei documenti prodotti o producibili, alle necessarie verifiche e valuterà se la contribuente abbia o meno assolto gli oneri d’informazione e di prova su di essa incombenti per l’ottenimento dell’esenzione parziale sulle aree destinate ad autorimesse e magazzini e deciderà anche sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta il primo motivo, accoglie i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, per la decisione anche in merito alle spese del giudizio di legittimità.