CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 aprile 2021, n. 10869
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo al rientro dal congedo straordinario – Necessità di fronteggiare la crisi finanziaria – Procedura di licenziamento collettivo – Medesime ragioni – Schema fraudolento – Scissione societaria in frode alla legge – Nullità dei licenziamenti intimati per giustificato motivo oggettivo – Collegamento negoziale tra l’operazione societaria e i plurimi recessi datoriali – Elusione della normativa sui licenziamenti collettivi
Fatti di causa
Con sentenza 20 luglio 2018, la Corte d’appello di Roma rigettava il reclamo proposto da D.C. s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che, in esito a procedimento con rito Fornero, aveva accertato l’illegittimità, in quanto negozio in frode alla legge, del licenziamento intimato il 16 ottobre 2015 (al rientro dal congedo straordinario richiesto il 30 marzo 2015 per assistere la madre disabile) alla dipendente A.G., addetta con qualifica di quadro direttivo alla funzione C.S. nell’ambito della direzione P.P.S., per giustificato motivo oggettivo.
Esso era stato, infatti, individuato nelle stesse ragioni (conseguenti alla decisione 28 dicembre 2012 della Commissione Europea ed alla necessità di fronteggiare la crisi finanziaria) poste alla base della procedura di licenziamento collettivo, avviata con lettera 18 dicembre 2014 per la risoluzione del rapporto di lavoro per 61 dipendenti (poi ridotti a 44 a seguito di accordo sindacale del 18 marzo 2015) e conclusa il 18 settembre 2015, sulla sola base di esodi volontari e risoluzioni concordate incentivati, senza ricorso ai criteri prescritti dall’art. 5 I. 223/1991, da adottare in caso di insufficienza delle soluzioni concordate.
A motivo della decisione, la Corte territoriale condivideva la nullità per negozio in frode alla legge ritenuta dal Tribunale in sede di opposizione, per l’identità di ragioni a base del licenziamento collettivo e individuale della lavoratrice, non appena rientrata dal congedo straordinario, per giustificato motivo oggettivo temporalmente prossimo all’esaurimento del primo, in difetto di prova dell’esclusione dalla procedura collettiva del personale di lunga assenza (neppure la predetta essendo tale al momento di avvio, ma soltanto durante il suo corso e ancora alla sua conclusione).
Con atto notificato il 18 settembre 2018, la società datrice ricorreva per cassazione con tre motivi, cui la lavoratrice resisteva con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1344 c.c., 4 e 24 I. 223/1991, 3 I. 604/1966, 41 Cost., per avere la Corte territoriale ritenuto in frode alla legge il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato alla lavoratrice per le stesse ragioni del licenziamento collettivo, senza verificare le ragioni a fondamento del licenziamento individuale né alcuna norma che lo vietasse, al di fuori del requisito numerico/temporale prescritto dall’art. 24, primo comma I. 223/1991 (con la previsione di almeno cinque licenziamenti nell’arco temporale di centoventi giorni riconducibili allo stesso ambito di impresa), per l’intimazione del secondo (il 16 ottobre 2015) ad avvenuta chiusura della procedura collettiva (il 18 settembre 2015) e pertanto legittimo, in difetto di indici sintomatici di elusione di norme imperative.
2. Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1344 c.c., 4 e 24 I. 223/1991, 3 I. 604/1966, 41 Cost., per avere la Corte territoriale erroneamente qualificato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato come in frode alla legge, sulla sola base della sua prossimità temporale alla conclusione del licenziamento collettivo, senza alcuna prova di una preordinazione né di raggiri o simili condotte, con illegittima compressione della libertà di iniziativa economica, costituzionalmente garantita.
3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1344 c.c., 4 e 24 I. 223/1991, 3 e 41 Cost., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato in frode alla legge, per la sottrazione dei cd. lungo-assenti, tra i quali la lavoratrice, alla procedura collettiva (in realtà semplicemente non computati ai fini della determinazione degli esuberi), salvo poi licenziarne alcuni al rientro; pure assunto come discriminatorio nei confronti della lavoratrice medesima, non avendo altre colleghe parimenti lungo-assenti subito eguale sorte al rientro, dopo la conclusione della procedura collettiva.
4. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.
5. In via preliminare, deve essere esclusa la configurabilità della violazione di legge denunciata, ricorrendo la deduzione di un vizio di sussunzione, ossia di erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, né di falsa applicazione della legge, che consiste nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851).
5.1. Nel caso di specie, si tratta piuttosto dell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340), ovviamente nei limiti del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., qui non ricorrente.
5.2. Posto che non è consentito al datore di lavoro tornare sulle scelte compiute quanto al numero, alla collocazione aziendale ed ai profili professionali dei lavoratori in esubero, ovvero ai criteri di scelta dei singoli lavoratori da estromettere, attraverso ulteriori e successivi licenziamenti individuali la cui legittimità è subordinata alla individuazione di situazioni di fatto diverse da quelle poste a base del licenziamento collettivo (Cass. 16 gennaio 2020, n. 808), il licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto (nella specie, per soppressione della posizione lavorativa) per gli stessi motivi già addotti a fondamento di un precedente licenziamento collettivo, a meno che non sia risultato nullo né inefficace (potendo il datore di lavoro procedere ad esso, purché ne sussistano i requisiti, risolvendosi tale rinnovazione nel compimento di un negozio diverso dal precedente, che esula dallo schema dell’art. 1423 c.c., che è norma diretta ad impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetti ex tunc e non a comprimere la libertà delle parti di reiterare la manifestazione della propria autonomia negoziale: Cass. 2 novembre 2015, n. 22357), realizza uno schema fraudolento ai sensi dell’art. 1344 c.c. (Cass. 26 settembre 2018, n. 23042).
5.3. Come noto, la peculiarità del contratto in frode alla legge, regolato dall’art. 1344 c.c., consiste nel fatto che gli stipulanti raggiungono, attraverso gli accordi contrattuali, il medesimo risultato vietato dalla legge: con la conseguenza che, nonostante il mezzo impiegato sia lecito, è illecito il risultato che attraverso l’abuso del mezzo e la distorsione della sua funzione ordinaria si vuole in concreto realizzare (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1523).
In particolare, è stato ritenuto che la scissione societaria in frode alla legge determini la nullità dei licenziamenti intimati per giustificato motivo oggettivo qualora vi sia un collegamento negoziale tra l’operazione societaria e i plurimi recessi datoriali, perché in tal modo viene elusa la normativa sui licenziamenti collettivi (Cass. 26 luglio 2018, n. 19863).
5.4. Inoltre, la verifica di ricorrenza della frode alla legge, che si realizza ove si manifesti una divergenza fra la causa tipica dell’atto negoziale e la determinazione causale del suo autore indirizzato alla elusione di una norma imperativa, è rimessa al giudice di merito, la cui valutazione è incensurabile in cassazione ove correttamente ed adeguatamente motivata (Cass. 7 febbraio 2008, n. 2874; Cass. 26 settembre 2018, n. 23042): come appunto nel caso di specie, per la valutazione della Corte territoriale, a motivo dell’identità delle ragioni dei due licenziamenti e della loro prossimità temporale (argomentata dal primo capoverso della parte motiva, a pg. 5 al penultimo capoverso di pg. 6 della sentenza).
5.5. E’ poi priva di decisività la questione relativa alle posizioni dei lavoratori c.d. lungo assenti, in quanto non esclusi dal computo ai fini della determinazione degli esuberi, in assenza di una specifica indicazione nella comunicazione di avvio della procedura, ai sensi dell’art. 4, terzo comma I. 223/1991 (in specifico riferimento al “numero … collocazione aziendale e … profili professionali del personale eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato”), né nell’accordo sindacale del 18 marzo 2015 computati e non già sottratti, anzi in essa specificamente inclusi (per le argomentate ragioni esposte dal primo periodo di pg. 8 al primo di pg. 9 della sentenza); pure essendo stata esplicitamente ravvisata dalla Corte territoriale l’irrilevanza in proposito del contenuto del piano di impresa 2014/2015 in quanto atto interno alla procedura (al terzultimo capoverso di pg. 8 della sentenza).
5.6. Infine, la Corte capitolina non ha operato alcun accertamento in ordine alla natura discriminatoria del licenziamento della lavoratrice, in ogni caso assorbito dall’accertata natura di negozio in frode alla legge, non ricavabile dal passaggio meramente illustrativo della doglianza della lavoratrice, “tra l’altro”, della diversa sorte subita rispetto a quella di altre colleghe (all’ultimo capoverso di pg. 6 della sentenza).
6. Dalle superiori argomentazioni discende il rigetto del ricorso, con regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza e distrazione ai difensori antistatari, secondo la loro richiesta e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge, con distrazione ai difensori antistatari.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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