CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 gennaio 2019, n. 1750
Tributi – Accertamento – PVC – Contenzioso tributario – Credito d’imposta – Disconoscimento – Operazione elusiva – Dividend washing
Svolgimento del processo
La M.M.C. s.p.a. impugnò, denunziandone l’illegittimità sotto vari profili e l’infondatezza, l’avviso di accertamento relativo ad Irpeg, Irap ed Iva per l’anno 1999, emesso dall’ufficio di Salerno dell’Agenzia delle entrate, a seguito di processi verbali di constatazione redatti da propri funzionari e dalla guardia di finanza, recante – in particolare e per quanto ancora interessa – il disconoscimento di un credito d’imposta, pari a L. 5.715.130.000, ceduto alla contribuente da altra società in esecuzione, secondo l’ufficio, di operazione puramente elusiva (c.d. dividend washing).
La sentenza n. 273 del 2004, con cui la commissione adita aveva respinto il ricorso sul punto, fu impugnata dalla contribuente (e, incidentalmente, dall’ufficio, su altri capi che lo vedevano soccombente) e fu riformata dalla Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, la quale accolse l’appello principale ex parte qua, avendo ritenuto che il rilievo dovesse essere annullato, per inosservanza, da parte dell’ufficio, dell’art. 31-bis, comma 4, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, norma che impone, a pena di nullità, di chiedere al cessionario del credito, prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, giustificazioni in ordine al presunto comportamento elusivo.
La decisione fu cassata da questa Corte con la sentenza del 12 gennaio 2009, n. 351; quindi, con sentenza del 29 dicembre 2010, la Commissione tributaria regionale campana, all’esito del giudizio di rinvio, ha respinto l’appello proposto avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Salerno con riguardo al credito d’imposta, confermandola per il resto.
Essa ha ritenuto che le garanzie del contribuente, previste dall’art. 37-bis d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui è necessaria un’apposita richiesta in relazione al comportamento ritenuto antielusivo e la motivazione della contestazione dell’Ufficio, siano state rispettate nella specie, con tutela piena del contraddittorio.
Avverso questa sentenza propone nuovo ricorso per cassazione la società, sulla base di due motivi. Si difende con controricorso l’Agenzia delle entrate, che propone altresì ricorso incidentale condizionato sulla base di un motivo.
Motivi della decisione
1. – I due complessi motivi del ricorso principale possono essere così riassunti:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 4, 33, comma 1, 37-bis, commi 4 e 5, d.P.R. n. 600 del 1973, 52, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, 12, commi 4 e 7, L. n. 212 del 2000, in quanto erroneamente la commissione regionale ha ritenuto esistente la richiesta motivata di chiarimenti, sebbene si tratti della mera richiesta istruttoria effettuata dai verificatori nel corso delle ispezioni e verifiche ex art. 52 cit. e delle osservazioni del contribuente ex art. 12 cit., laddove il citato art. 37-bis prevede una ulteriore garanzia per il contribuente; né la sentenza di rinvio ha affermato il contrario, limitandosi a censurare il vizio di motivazione della prima sentenza d’appello, e l’obiter dictum sulla sufficienza di una richiesta di chiarimenti in forma orale non è condivisibile.
Sempre sotto tale numerazione, la ricorrente ha così specificato il motivo:
1.1) violazione e falsa applicazione dell’art. 37-bis, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973, non avendo la sentenza impugnata verificato, in ogni caso, se le richieste formulate dai verificatori avessero i requisiti previsti dalla norma, in particolare recassero l’indicazione dei motivi per cui si ritenne di applicare i commi primo e secondo della disposizione sulla inopponibilità degli atti elusivi;
1.2.) motivazione insufficiente, quanto alla ritenuta sussistenza di una previa richiesta motivata dell’amministrazione, ai sensi del predetto articolo, non avendo la commissione regionale verificato il contenuto delle richieste effettuate dai verificatori;
2) nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla dedotta violazione dell’art. 37-bis, comma 5, d.P.R. n. 600 del 1973, non avendo la sentenza impugnata tenuto conto che, sin dal ricorso e, poi, con l’atto di appello, la ricorrente operò «contestazione globale dell’applicabilità della norma antielusiva», ove era compresa la dedotta violazione della norma indicata, quanto all’esigenza che l’amministrazione motivasse l’avviso di accertamento in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente; l’omessa pronuncia sussiste altresì con riguardo a tutti i motivi di merito, con i quali si contestava l’esistenza dei presupposti sostanziali di cui al primo ed al secondo coma della norma predetta.
Sempre sotto tale numerazione, la ricorrente ha così specificato il motivo:
2.1) violazione e falsa applicazione dell’art. 37-bis, comma 5, d.P.R. n. 600 del 1973, non avendo la sentenza impugnata verificato se la motivazione dell’avviso di accertamento contenesse la c.d. supermotivazione di cui alla norma indicata.
Il ricorso incidentale condizionato, dal suo canto, propone un motivo, il quale deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 345 e 394 c.p.c., 56, 62 comma 1, e 63, comma 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per non avere la sentenza impugnata rilevato la novità del motivo d’appello, concernente il quinto comma dell’art. 37-bis citato.
2. – Il primo motivo del ricorso principale è fondato.
2.1. – Il giudizio di rinvio costituisce un giudizio chiuso, in cui l’ambito della cognizione è limitato a quanto disposto dalla sentenza di cassazione: esso è invero la cd. Fase rescissoria del giudizio di cassazione, non una rinnovazione del giudizio di appello, secondo il principio della graduale “consumazione processuale” della controversia, il quale mira al progressivo ridursi delle questioni poste e risponde a finalità di natura pubblica: la sentenza di cassazione con rinvio si pone come “norma del caso controverso” (Cass. 19 marzo 2014, n. 6298).
Stanti la natura e la funzione del giudizio di rinvio delineato dal codice di procedura civile (spec. artt. 384, comma 2, 393, 394), il giudice di merito trae la misura dei propri poteri dalla sentenza della Cassazione: la Corte statuisce sulle questioni ad essa sottoposte e delega il compimento delle attività consequenziali.
Quando la Corte accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione di legge, il collegamento tra la fase di cassazione e quella del rinvio è dato dal principio di diritto, che la Corte è infatti chiamata ad enunciare (art. 384, comma 1, c.p.c.), costituente un vincolo per il giudice del rinvio, anche nel senso che gli impedisce di rivedere l’accertamento dei fatti che rappresentano gli antecedenti logici necessari del principio medesimo.
Quando, invece, la Corte accoglie il ricorso per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nel testo previgente, la corte del merito è tenuta a giustificare il proprio convincimento nuovamente, così come richiesto dalla sentenza di annullamento allorché abbia esaminato la coerenza logica del discorso giustificativo, evitando, quindi, di fondare la sua decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato ritenuti illogici e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni o sopperire ai difetti argomentativi riscontrati.
In particolare, nei casi di cassazione per vizio di motivazione il giudice di rinvio deve evitare l’errore logico della sentenza cassata riesaminando i fatti ai fini di una valutazione complessiva, ma non è vincolato da ipotesi interpretative eventualmente prospettate dalla Corte di cassazione: diversamente opinando si finirebbe con l’ammettere un apprezzamento dei fatti, precluso al giudice di legittimità, e il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (fra le tante, Cass. 5 marzo 2009, n. 5316; nella stessa linea, Cass. 11 maggio 2010, n. 11404).
2.2. – Nella specie, la sentenza rescindente, che costituisce regola del caso controverso, di cui a Cass. 12 gennaio 2009, n. 351, ha cassato la sentenza impugnata, reputando incongruo il percorso logico a fini probatori esposto dalla medesima, che si era limitata ad affermare come il mancato rispetto della norma potesse desumersi «dagli atti di causa», da quanto «eccepito dal ricorrente» e dal fatto che, a fronte di tale eccezione, «l’Ufficio non ha opposto alcunché nemmeno in sede giudiziaria, rendendo certo il mancato adempimento preventivo censurato dalla legge».
La detta decisione di legittimità, al riguardo, ha in particolare affermato come nessuno di tali passaggi fosse idoneo a sorreggere la decisione, posto, rispettivamente, che: a) la mancata richiesta di giustificazioni non era desumibile dalla mera affermazione in tal senso della controparte, dato che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove, non le mere affermazioni delle parti, ai sensi dell’art. 115 c.p.c.; b) non può ravvisarsi neppure la pretesa non contestazione da parte dell’ufficio, che, al contrario, sostenne in giudizio la fondatezza dell’atto emanato; c) l’espressione ellittica «come rilevasi dagli atti di causa» non rappresentava dunque un insindacabile convincimento del giudice di merito, ma piuttosto una censurabile mancanza di motivazione.
Ha, poi, aggiunto come, posto che l’art. 37-bis ammette anche la «richiesta orale» di chiarimenti «ad esempio da parte dei verbalizzanti», la decisione cassata non aveva adeguatamente motivato, attesa «la risposta fornita dal rappresentante della società alla richiesta di chiarimenti, rivoltagli dai verbalizzanti»: onde, ha concluso, «la motivazione della sentenza impugnata è insufficiente, in quanto l’affermazione “come rilevasi dagli atti di causa” non spiega le ragioni per cui la prescrizione contenuta nell’art. 37-bis, comma 4, non sarebbe stata osservata dall’ufficio, pur rilevandosi dagli atti di causa la risposta dell’interessato alla richiesta di chiarimenti».
2.3. – In tal modo, la decisione impugnata non ha enunciato un decisum integrante principio di diritto interpretativo dell’art. 37-bis d.P.R. n. 600 del 1973, né – com’è ovvio – ha compiuto un accertamento di fatto circa l’instaurazione di un contraddittorio con il contribuente o, tanto meno, quanto alle dichiarazioni del legale rappresentante della società.
L’art. 37-bis d.p.r. n. 600 del 1973 fu inserito dall’art. 7 d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, e successivamente abrogato dall’art. 1, comma 2, d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128 (in base al quale «le disposizioni che richiamano tale articolo si intendono riferite all’art. 10-bis della l. 27 luglio 2000, n. 212, in quanto compatibili»).
I commi 4 e 5 della disposizione prevedevano rispettivamente che l’avviso di accertamento fosse emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, dI chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta, nella quale dovessero essere indicati i motivi; inoltre, l’avviso d’accertamento doveva essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente.
Questa Corte ha enunciato il principio, secondo cui «In tema d’imposte sul redditi, l’art. 37-bis, 4 ° e 5 ° comma, d.p.r. n. 600 del 1973, prevede un rigoroso procedimento d’instaurazione del contraddittorio, caratterizzato da scansioni predeterminate, in cui, a pena di nullità, l’avviso di accertamento deve essere emanato previa richiesta di chiarimenti al contribuente e deve essere specificamente motivato in relazione alle giustificazioni fornite, sicché, concorrendo detta richiesta alla valutazione del fine elusivo dell’operazione, non possono considerarsi alla stessa equipollenti l’attività svolta dai verbalizzanti e le eventuali dichiarazioni del contribuente in sede di verifica» (Cass. 30 gennaio 2018, n. 2239; Cass. 31 gennaio 2017, n. 2439; Cass. 16 gennaio 2015, n. 693; Cass. 14 gennaio 2015, n. 406; ed altre).
Ne deriva l’accoglimento del primo motivo, posto che la decisione impugnata è andata di contrario avviso, avendo essa ritenuto sufficiente la richiesta rivolta alla contribuente in sede di verbale di verifica ispettiva.
3. – Il secondo motivo resta assorbito.
4. – Il ricorso incidentale è inammissibile.
Esso, invero, si incentra sull’inammissibilità della deduzione avversa di violazione dell’art. 37-bis, comma 5: la quale diveniva tuttavia ultronea, rispetto alla rilevata violazione già del comma 4 della medesima disposizione, con conseguente irrilevanza della questione proposta.
5. – In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, in accoglimento del primo motivo, con rinvio al giudice del merito, anche per le spese.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo ed inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, innanzi alla Commissione tributaria regionale di Napoli, sezione distaccata di Salerno, in diversa composizione.
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