CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 gennaio 2019, n. 1783
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Evasione d’imposta – PVC – Contenzioso tributario
Fatti di causa
1. La contribuente (R. s.r.l., già C. s.p.a.) propose ricorso innanzi al Giudice tributario avverso avviso di accertamento, per quanto rileva ai fini del presente processo, a fini IVA, relativamente al periodo d’imposta 2007, emesso all’esito di PVC di vendite in evasione d’imposta, in applicazione delle presunzioni di cui al d.P.R. 10 novembre 1997, n. 441, fondate su differenze inventariali riscontrate documentalmente. Trattavasi, in particolare, di differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le scritture ausiliarie di magazzino e le consistenze delle rimanenze finali registrate.
2. La CTP di Vicenza accolse in parte il ricorso, rettificando il valore delle differenze inventariali accertate dall’Amministrazione finanziaria e rideterminandone il minor valore accertabile.
3. La statuizione di primo grado fu appellata dall’A.E., in via principale, ed invia incidentale dalla contribuente e la CTR del Veneto, con la sentenza oggetto di attuale ricorso, dopo aver ripercorso i due gradi di giudizio, rigettò l’appello dell’Amministrazione finanziaria ed accolse quello incidentale, annullando in toto l’avviso di accertamento.
4. Contro la sentenza d’appello l’A.E. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo c.d. «misto» (o «composito»), mentre la contribuente si è difesa con controricorso. Quest’ultima ha sollecitato il rigetto del ricorso in subordine ad una dichiarazione di inammissibilità del motivo di ricorso, per incompatibilità tra i due profili nei quali esso si dipana oltre che per la surrettizia investitura a questa Corte del compito di rivalutare il merito della decisione impugnata, nonché il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso è fondato, nei termini e per le ragioni di seguito evidenziati, e pertanto deve essere accolto.
2. Con il motivo di ricorso (n. 1) si deduce «violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 del d.P.R. n. 441 del 1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.p.» oltre che «omessa motivazione su un punto di fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.».
Sostanzialmente ci si duole dell’errata interpretazione ed applicazione della disciplina delle presunzioni di cessione e di acquisto, di cui al citato d.P.R. n. 441 del 1997, avendo la CTR, prima, ritenuto di non prendere in considerazione la mancata prova da parte del contribuente, essendo le differenze dallo stesso dichiarate ed ampiamente suffragate da elementi della contabilità di magazzino, e, poi, considerato, di conseguenza, la presunzione prevista dal d.P.R. n. 441 del 1997 sufficientemente condivisa.
Il ricorrente si duole anche della statuizione impugnata laddove riconosce, sempre a detta dell’A.E., che i beni oggetto di differenze inventariali sono impiegati nella produzione e, quindi, di fatto, non attinenti a scambio diretto con terzi; che la complessa movimentazione dei beni e la quantità della stessa non possono essere legittimamente supportate con documentazione cartacea, come invece richiesto dall’Ufficio, e che il contribuente ha evidenziato che le differenze originatesi in un comparto sono compensate da differenze in un altro comparto, ritenendo, pertanto, sufficientemente attendibile la documentazione predisposta dal ricorrente in primo grado.
Il secondo profilo inerisce l’insufficienza motivazionale laddove la CTR, in definitiva, riterrebbe, apoditticamente, dimostrate, da parte della contribuente, le ragioni delle differenze inventariali riscontrate senza un sostanziale confronto con le deduzioni e gli elementi addotti dall’A.E. e riproposti in secondo grado.
2.1. L’esposizione del motivo nei termini di cui innanzi dà già ragione dell’inconferenza di quanto dedotto dal controricorrente in termini di inammissibilità dello stesso.
Trattasi, come detto, di motivo c.d. «misto» (o «composito»), deducente i differenti vizi di cui ai numeri 3 e 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., ma ammissibile in quanto formulato in modo da poterne discernere i differenti profili e le relative critiche, nei termini di cui innanzi e di seguito ulteriormente specificati (sui limiti di ammissibilità del motivo c.d. «misto» o «composito», si vedano, ex plurimis: Cass. Sez. U., 06/05/2015, n. 9100, Rv. 635452-01; Cass. sez. 6-3, 17/03/2017, n. 7009, Rv. 643681-01).
Le due censure dedotte con l’unico motivo, difatti, non sono quelle di cui ai numeri 4 e 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., già astrattamente tra loro incompatibili, implicando solo la prima (omessa pronuncia) la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, così traducendosi in una violazione dell’art. 112 c.p.c. (che deve essere fatta valere esclusivamente ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. e non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione di cui al n. 5 del detto art. 360 c.p.c.). La seconda censura, invece, presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, ancorché se ne lamenti la soluzione senza adeguata giustificazione, e va denunciata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (con riferimento alla differente ipotesi dell’astratta incompatibilità delle censure di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 360, comma 1, si veda, invece, Cass. sez. 4, 18/06/2014, n. 13866, Rv. 631333).
Nel caso di specie, invece, trattasi di due censure dedotte con motivo c.d. «misto» (o «composito») ma compatibili tra loro, tanto in astratto quanto nella loro concreta articolazione perché avvinte da mescolanza scindibile, nei termini innanzi evidenziati, in quanto entrambe presupponenti l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in violazione e falsa applicazione di legge (ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) e senza adeguata giustificazione in fatto, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Nel ricorso in esame è difatti palesato il fatto controverso in merito al quale vi sarebbe stato, secondo la prospettazione del ricorrente, un difetto di motivazione con specifica trattazione delle doglianze relative all’interpretazione ed applicazione delle norme di diritto applicabili alla fattispecie (circa la compatibilità delle censure ex nn. 3 e 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c. se proposte con motivo misto ma caratterizzato in concreto da mescolanza scindibile, si vedano, ex plurimis, tra le più recenti: Cass. sez. 5, 11/04/2018, n. 8915, Rv. 647708-01; Cass. sez. 3, 10/02/2017, n. 3554, Rv. 642860-01; Cass. sez. 4, 24/08/2017, n. 20335, Rv. 645601-01, nonché la precedente conforme Cass. Sez. U., 31/03/2009, n. 7770, Rv. 607547-01).
Quanto prospettato dal controricorrente circa l’inammissibilità del profilo inerente l’insufficienza motivazionale, poi, al di là della mera enunciazione nell’atto difensivo della giurisprudenza di questa Corte, si risolve in critiche non inerenti profili di ammissibilità bensì il merito delle doglianze, come si evince anche dalla sostanziale loro parziale riproposizione al punto 3 del controricorso con il quale si deduce l’infondatezza del ricorso.
2.2. La questione di diritto inerisce l’esatta interpretazione ed applicazione della richiamata disciplina delle presunzioni di cessione e di acquisto dei beni in evasione d’imposta, di cui al d.P.R. n. 441 del 1997, che, per costante giurisprudenza di questa Corte, trovano applicazione anche con riferimento alle imposte dirette (ex plurimis, limitando i riferimento solo alle più recenti: Cass. sez. 5, 18/05/2018, n. 12245, Rv. 648100-01; Cass. sez. 6-5, 10/08/2017, n. 645328- 01; Cass. sez. 5, 10/03/2017, n. 6185, Rv. 643460-02; Cass. sez. 5, 23/09/2016, n. 18645, Rv. 641262-01; Cass. sez. 5, 27/05/2015, n. 10915, Rv. 635787-01).
Tali presunzioni sono annoverabili tra quelle legali, relative ma c.d. «miste», in quanto strutturate in modo da consentire, entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova stabiliti a fini antielusivi, la dimostrazione da parte del contribuente (e non mera allegazione) di legittima fuoriuscita dei beni dal circuito aziendale (per la presunzione di cessione) o di legittimo ingresso degli stessi (per la presunzione di acquisto), tale da rendere inoperante lo stesso regime presuntivo (in tal senso si vedano, ex plurimis, per la natura di presunzioni legali c.d. «miste», limitando i riferimenti alla giurisprudenza formatasi in merito al d.P.R. n. 441 del 1997 che, sul punto, ha sostituito l’art. 53 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633: Cass. sez. 5, 10/03/2017, n. 6185, Rv. 643460-02; Cass. sez. 5, 23/09/2016, n. 18645, Rv. 641262-01, che evidenzia l’irrilevanza della mera allegazione; Cass. sez. 5, 27/05/2015, n. 10915, Rv. 635787-01; Cass. sez. 5, 04/02/2015, n. 1976, Rv. 634566-01, che lo qualifica quale meccanismo probatorio a carattere vincolato; Cass. sez. 5, 17/12/2014, n. 26477, Rv. 633653-01, anche essa evidenziale l’irrilevanza della mera allegazione e considerante come «tassativi» i mezzi di prova esperibili dal contribuente per rendere inoperante il regime presuntivo; Cass. sez. 5, 30/07/2014, n. 17298, Rv. 632349- 01; Cass. sez. 5, 25/07/2012, n. 13120, Rv. 623844-01; Cass. sez. 5, 09/03/2011, n. 5572, Rv. 617060-01, che, quanto alle differenze inventariali, evidenzia che il regime presuntivo opera mediante raffronto dei beni e non dei loro valori).
Nella fattispecie in esame rileva in particolare la questione inerente la tipologia di vincolo previsto dal meccanismo probatorio in parola nel caso in cui il contribuente, al fine di rendere inoperanti le presunzioni, deduca l’utilizzo di beni per la produzione ed in ordine al se, in tale caso, l’onere gravante in capo al ricorrente possa essere assolto anche tramite presunzioni o mere allegazioni.
La disciplina in oggetto, per quanto rileva ai fini di cui innanzi, prevede che, quanto alle presunzioni di cessione, in forza dell’art. 1 si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi rappresentanti (comma 1). La presunzione in esame non opera se è dimostrato che i beni stessi: a) sono stati impiegati per la produzione, perduti o distrutti; b) sono stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito, comodato o in dipendenza di contratti estimatori, ai contratti di opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o di altro titolo non traslativo della proprietà (comma 2).
Al descritto meccanismo probatorio, vincolato nell’oggetto, si aggiungono, in talune ipotesi, anche vincoli inerenti i mezzi di prova esperibili, come per il caso di consegna dei beni a terzi a titolo non traslativo che, ex comma 5, devono risultare, anche in via alternativa, dalla documentazione annoverata nello stesso comma 5. Parimenti, l’art. 2 (sia nella formulazione attuale che in quella applicabile ratione temporis), nel prevedere gli adempimenti la cui osservanza rende inoperante la presunzione in esame, individua l’oggetto ed i mezzi di prova esperibili dal contribuente in diversi casi. In particolare il regime vincolato opera: per le ipotesi in cui sia allegata la perdita dei beni dovuta ad eventi fortuiti, accidentali o comunque indipendenti dalla volontà del soggetto (comma 3); per i casi in cui sia dedotta la distruzione dei beni o la trasformazione di essi in beni di altro tipo e di più modesto valore economico (comma 4) ovvero per il caso in cui sia allegata l’inesistenza presso l’azienda per effetto di vendita in blocco o di operazioni similari secondo la prassi commerciale (coma 5).
Medesima struttura ha l’art. 3 del d.P.R. n. 441 del 1997, circa la presunzione di acquisto, mentre l’art. 4 disciplina l’operatività delle presunzioni in esame, anche con riferimento all’ipotesi in considerazione, come detto, caratterizzata da differenze inventariali.
Dal sintetico quadro di cui innanzi emerge, come gravante in capo al contribuente al fine di rendere inoperante il regime presuntivo de quo, non un mero onere di allegazione bensì di prova, vincolata quanto all’oggetto ed ai mezzi di prova esperibili.
Limitatamente a quanto rileva nella specie, il vincolo probatorio che caratterizza la c.d. presunzione mista in esame è però riferito meramente all’oggetto nel caso in cui il ricorrente alleghi l’impiego dei beni per la produzione (art. 1, comma 2, lett. a, del d.P.R. n. 441 del 1997), non essendo previsto per tale ipotesi anche un vincolo inerente i mezzi di prova esperibili. Sicché, in tale caso, l’onere in esame (sempre probatorio e non di mera allegazione) può essere assolto anche mediante l’esperimento di mezzi di prova differenti da quelli contemplati dal citato decreto e, quindi, anche mediante presunzioni semplici, purché all’esito del procedimento logico – inferenziale di cui all’art. 2729 c.c. ed in base ad obiettivi riscontri suscettibili di valutazione da parte del giudice di merito con apprezzamento, in fatto, non censurabile in sede di legittimità.
Trattasi, dunque, per l’ipotesi di deduzione, da parte del contribuente, dell’impiego dei beni per la produzione, di presunzione legale, relativa, c.d. «mista» ma la cui prova contraria è tassativamente limitata solo nell’oggetto e non anche nei mezzi di prova esperibili (in tal senso si veda, ancorché con riferimento al previgente art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972, sostituito dal d.P.R. n. 441 del 1997, Cass. sez. 5, 04/03/2011, n. 5196, Rv. 617038-01).
Premesso quanto innanzi in termini di ricostruzione in diritto, dalla motivazione della sentenza impugnata, come emergente tanto da quest’ultima quanto dalla sintesi e riproduzione di essa negli atti di parte (ricorso per cassazione e controricorso), risulta il non corretto governo dei detti principi.
In primo luogo, infatti, sempre per quanto emerge dagli atti delle parti processuali, la CTR ritiene di non dover prendere in considerazione la mancata prova da parte del contribuente per avere lo stesso dichiarato le differenze inventariali (suffragate da elementi della contabilità), nonostante l’operatività nella specie del regime presuntivo di cui all’art. 441 del 1997, innanzi ricostruito. L’errore di diritto persisterebbe anche nel caso in cui si intendesse il riferimento di cui innanzi nel senso di raggiungimento della prova contraria rispetto alle presunzioni in esame in forza della intervenuta correzione di errori in ordine alle riscontrate divergenze inventariali. Le correzioni non integrano difatti prova contraria che, invece, è tassativamente vincolata tanto quanto all’oggetto quanto in merito ai mezzi di prova esperibili.
Nella specie la CTR, sempre per quanto emerge anche dagli atti di parte, ritiene altresì di poter superare la presunzione in oggetto in base alla complessa movimentazione dei beni ed alla quantità della stessa, ritenendo che essa non possa essere legittimamente supportata con documentazione cartacea, invece prevista quale mezzo di prova dal meccanismo probatorio vincolato di cui al d.P.R. n. 441 del 1997.
Tale parte motiva si fonda quindi unicamente sulla rilevante quantità di merce e sulla sua complessa movimentazione, nonché sulla giustificazione di errori in ordine alle riscontrate divergenze tra scritture contabili e consistenza di magazzino. Tali elementi sono invece insufficienti a fornire la prova contraria espressamente prevista, al pari della circostanza per la quale le differenze originatesi in un comparto sarebbero nella specie compensate da differenze in un altro comparto. Tale ultima circostanza, peraltro, come emerge da quanto sintetizzato e riportato negli atti di parte, è nella fattispecie solo oggetto di evidenziazione da parte del ricorrente e, quindi, di mera allegazione e non di prova.
Circa il valorizzato profilo della rilevanza della correzione (rettifica) delle differenze inventariali da parte del contribuente, differentemente anche da quanto sembra argomentare il controricorrente, non rilevano, nel senso di escludere l’operatività del regime presuntivo di cui al d.P.R. n. 441 del 1997, le istruzioni al riguardo impartite dall’A.E. con la circolare n. 31/E del 2 ottobre 2006. Per l’Amministrazione finanziaria, in particolare, «le differenze inventariali non necessariamente sono riconducibili a fenomeni di evasione d’imposta, ma si generano anche in modo fisiologico in relazione all’ordinaria dinamica gestionale di un magazzino». Sicché, sempre per l’A.E., «allorquando ci si trovi di fronte a “differenze inventariali” rilevate dallo stesso contribuente nella contabilità obbligatoria di magazzino … il verificatore è sempre obbligato ad un’analisi complessiva della posizione economica, patrimoniale e gestionale dell’azienda controllata». Sarà cura del verificatore quindi «non limitarsi della ripresa a tassazione sic et simpliciter degli importi corrispondenti al valore delle predette differenze, ma esaminare il processo di formazione delle stesse e la loro natura fisiologica o patologica in relazione all’attività in concreto svolta dall’impresa e in relazione agli elementi ed alle informazioni eventualmente forniti dal contribuente».
In merito alla specifica rilevanza delle rettifiche questa Corte ha però già avuto modo di chiarire, con orientamento dal quale non vi è motivo di discostarsi, che le dette istruzioni impartite dall’A.E. operano nei confronti dei verificatori, in fase accertativa, ma non possono influenzare il giudizio sulla legittimità dell’accertamento compiuto, cui sono applicabili, in caso di differenze inventariali, le presunzioni di cessione e di acquisto stabilite a fini antielusivi dal d. P.R. n. 441/1997 (in tal senso, ancorché in materia di imposte dirette, alle quali è comunque ritenuta applicabile la disciplina di cui al citato decreto n. 441, si vedano: Cass. sez. 5, 10/03/2017, n. 6185, Rv. 643460-02, e, in motivazione, Cass. sez. 5, 27/05/2015, n. 10915, Rv. 635787-01).
La sentenza palesa altresì errore di diritto anche con riferimento al ritenuto (in realtà in maniera apodittica) impiego dei beni nella produzione, come emerge dagli atti di parte.
In tal caso, difatti, come innanzi chiarito, il regime probatorio (presuntivo) in esame è pur sempre vincolato, ancorché solo limitatamente al suo oggetto e non anche in merito ai mezzi di prova esperibili, con conseguente operatività anche delle presunzioni semplici. L’errore nel quale è incorso il Giudice di merito è però insito nel fatto che lo statuire nei termini di cui innanzi rende sostanzialmente non operante la presunzione legale in esame, non avendo il Giudice di merito neanche ritenuto provata la circostanza dell’impiego dei beni nella produzione mediante presunzioni semplici (non emergendo il relativo necessario procedimento logico- inferenziale). Quanto detto, peraltro, è avvenuto in assenza di un effettivo sostanziale confronto con le circostanze contrarie dedotte dall’A.E. anche in sede d’appello (come emerge anche dall’atto d’appello riportato nel ricorso per ragioni di autosufficienza); così integrandosi anche il profilo inerente il difetto motivazionale sindacato dal ricorrente con l’unico motivo, «misto», di ricorso.
2.3. Premesso quanto innanzi, ne deriva l’accoglimento del ricorso in applicazione del seguente principio di diritto, da enunciarsi ex art. 384, comma 1, c.p.c.
«In tema di acquisti e cessioni in evasione d’imposta (nella specie, IVA), quelle di cui al d.P.R. n. 441 del 1997 sono presunzioni legali relative ma c.d. «miste», in quanto strutturate in modo da consentire, entro limiti di oggetto e di mezzi di prova stabiliti la dimostrazione e non mera allegazione, da parte del contribuente, di legittima fuoriuscita dei beni dal circuito aziendale o di legittimo ingresso degli stessi. Nel caso in cui il ricorrente alleghi l’impiego dei beni per la produzione, il vincolo probatorio in esame è però riferito meramente all’oggetto, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a) del citato d.P.R. n. 441 del 1997, non essendo previsto per tale ipotesi anche un vincolo inerente i mezzi di prova esperibili; sicché, in tale caso, l’onere probatorio in esame può essere assolto anche mediante l’esperimento di mezzi di prova differenti da quelli contemplati dal citato decreto e, quindi, anche mediante presunzioni semplici, purché all’esito del procedimento logico-inferenziale di cui all’art. 2729 c.c. ed in base ad obiettivi riscontri suscettibili di valutazione da parte del giudice di merito con apprezzamento, in fatto, non censurabile in sede di legittimità».
3. In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata, nei limiti del motivo accolto, e va disposto il rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, la quale provvederà anche al regolamento delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa, in riferimento al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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