CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 giugno 2020, n. 12303
Tributi – ICI – Esenzione – Immobili rurali – Domanda autocertificata di variazione catastale con annotazione catastale di ruralità
Fatti rilevanti e ragioni della decisione
1. Il Comune di Rigolato (UD) propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 391/11 del 24-30 settembre 2014, con la quale la commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, in parziale della prima decisione, ha ritenuto illegittimi – salvo che per l’annualità 2005 – gli avvisi di accertamento Ici notificati a R.G. in relazione a taluni immobili di sua proprietà, accatastati nelle annualità di riferimento (dal 2005 al 2008) in categoria A2 ed A4.
La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, ha rilevato che:
– contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice (che aveva ravvisato, con riguardo indistinto a tutte le annualità considerate, il carattere rurale degli immobili in questione in ragione della loro tipologia e destinazione agricola, oltre che della qualità di coltivatrice diretta della proprietaria) il requisito di esenzione lci riconducibile alla ruralità degli immobili stessi doveva avere riguardo al dato oggettivo della categoria catastale ad essi attribuita; – nel caso di specie, pur trattandosi di immobili originariamente non accatastati in categoria di ruralità, doveva tuttavia farsi applicazione dell’art.5 ter d.l. 102/13 conv. c.m. in I. 124/13, il quale richiamava la possibilità per il contribuente di presentare domanda autocertificata di variazione catastale (ex articolo 7, co. 2 bis d.l. 70/11 conv. in I. 106/11) con annotazione catastale di ruralità (ex art.9 d.l. 557/93 conv. in I. 133/94) avente effetto “dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”) – poiché la G. si era in concreto avvalsa di questa possibilità, presentando domanda autocertificata di variazione catastale (messa a protocollo in data 6 ottobre 2011) con attribuzione di categoria di ruralità (A6 per il fondo principale e D10 per il fabbricato accessorio), l’Ici doveva ritenersi dovuta solo per l’annualità 2005 (antecedente al quinquennio di retroattività legale), non anche per le annualità successive fino al 2008.
Resiste con controricorso la G.
Il Comune ha depositato memoria.
2.1 Con il primo motivo di ricorso il Comune lamenta – ex art.360, 1^ co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione della normativa di riferimento. Per avere la Commissione Tributaria Regionale attribuito efficacia esonerativa dell’Ici alla sola presentazione della domanda autocertificata da parte della contribuente, nonostante che: – come stabilito dal DM Fin. 26 luglio 2012, l’ufficio provinciale dell’agenzia del territorio dovesse procedere, anche a campione, alla verifica delle autocertificazioni allegate alle domande, nonché del classamento e dei requisiti di ruralità, così da convalidare e rendere definitiva l’annotazione di ruralità iscritta a catasto per il solo effetto della presentazione della domanda; – nel caso di specie l’agenzia del territorio, su sollecitazione della stessa amministrazione comunale che ben aveva presente il difetto in concreto dei requisiti di ruralità degli immobili in questione (posti nel centro abitato, non coltivati e non adibiti ad abitazione stabile della contribuente, altrove residente), aveva emesso provvedimento 23 ottobre 2014 (sopravvenuto alla sentenza di appello, ma prodotto sub doc. 1 allegato al ricorso per cassazione) di “mancato riconoscimento della ruralità” degli immobili stessi.
Da ciò derivava la effettiva debenza lei e la legittimità di tutti gli avvisi a tale titolo notificati, non soltanto di quello per l’anno 2005.
Con gli ulteriori due motivi di ricorso il comune lamenta – ex art.360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ., a seconda della formulazione ritenuta applicabile al giudizio di cassazione contro sentenze in materia tributaria – rispettivamente “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia” (secondo motivo), ovvero “omesso esame” circa un fatto decisivo per il giudizio (terzo motivo)-, ciò in relazione alla mancata considerazione da parte della CTR dell’oggettiva carenza dei requisiti di ruralità, non trattandosi di immobili destinati all’esercizio dell’agricoltura né utilizzati quale abitazione stabile del coltivatore diretto.
2.2 La ratio decisoria adottata dalla Commissione Tributaria Regionale risulta corretta perché in linea con l’ormai consolidato indirizzo interpretativo di legittimità in tema di Ici dei fabbricati rurali, secondo cui:
– per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, ai fini del trattamento esonerativo, è dirimente l’oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria (A/6 per le unità abitative, o D/10 per gli immobili strumentali); sicché l’immobile che sia stato iscritto come “rurale”, in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557 (conv. in legge 26 febbraio 1994, n. 133) non è soggetto all’imposta, ai sensi dell’art. 23 comma 1 bis del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207 (conv. in legge 27 febbraio 2009, n. 14) e dell’art. 2, comma 1, lett. a), del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504; – per converso, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale (di non ruralità), è onere del contribuente, che invochi l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, restandovi altrimenti quest’ultimo assoggettato;
– allo stesso modo, il Comune deve impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’Ici.
In particolare, non vi sono ragioni per discostarsi da quanto stabilito da Cass. SSUU n. 18565/09, secondo cui (in motiv.): “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’immobile che sia stato iscritto nel catasto fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. con L. n. 133 del 1994, e successive modificazioni, non è soggetto all’imposta ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2009, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a). L’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato ad ICI: allo stesso modo il Comune dovrà impugnare l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10 al fine di potere legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta”. A tale orientamento hanno fatto seguito innumerevoli pronunce di legittimità (tra cui, Cass. nn. 7102/10; 8845/10; 20001/11; 19872/12; 5167/14), successivamente confermate – nel senso della ininfluenza dello svolgimento o meno, nel fabbricato, di attività diretta alla manipolazione o alla trasformazione di prodotti agricoli, rilevando unicamente il suo classamento – tra le altre, da Cass. n. 16737/15 e da Cass. n. 7930/16.
Va altresì osservato come quanto stabilito dalle SSUU nella sentenza cit. si sia fatto carico anche dei profili di jus superveniens riconducibili all’emanazione sia del co.3 bis dell’art. 9 d.l. 557/93 conv. in l. 133/94, come introdotto dall’articolo 42 bis d.l. 159/07 conv. in l. 222/07; sia del co. 1 bis dell’art. 23 d.l. 207/08 conv. in l. 14/09.
Con la conseguenza che nemmeno in base a questa normativa – salva l’ipotesi di mancato accatastamento – è dato al giudice tributario di accertare in concreto, incidentalmente, il carattere rurale del fabbricato di cui si sostenga l’esenzione da Ici.
La stessa conclusione va, infine, riaffermata (così Cass. 7930/16 cit. ed innumerevoli altre) pur alla luce dell’ulteriore jus superveniens (d.l. n. 70/11, conv. in I. n. 106/11; d.l. 201/11 conv. in I. 214/11; d.l. 102/13 conv. in I. 124/13) che ha attribuito al contribuente la facoltà di presentazione di domanda di variazione catastale per l’attribuzione delle categorie di ruralità A/6 e D/10, con effetto per il quinquennio antecedente.
Si tratta infatti di disposizioni che rafforzano l’orientamento esegetico già adottato dalle SSUU nel 2009, in quanto disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione lei; sulla base di una procedura ad hoc che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme.
2.3 Ora, questo indirizzo vale di per sé a ritenere inaccoglibile tanto il terzo (risultando inammissibile il secondo, in quanto non dedotto secondo la “nuova” formulazione dell’art. 360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ. ex d.l. 83/12, siccome applicabile anche al ricorso per cassazione contro sentenze del giudice tributario: SSUU n.8053/14), quanto il primo motivo di ricorso.
Quest’ultima doglianza appare anzi radicalmente inammissibile perché con essa il Comune vorrebbe introdurre nel presente giudizio di legittimità un documento (il su citato provvedimento 23 ottobre 2014 dell’agenzia del territorio reiettivo dell’accatastamento in categoria di ruralità) che è sì sopravvenuto di pochi giorni alla pubblicazione della sentenza impugnata, ma risulta per il suo contenuto escluso dal novero dei documenti producibili ex articolo 372 cod.proc.civ.; perché non concernente la nullità della sentenza impugnata né l’ammissibilità/procedibilità del ricorso o del controricorso. Si è in proposito stabilito che i documenti “nuovi” producibili nel giudizio di legittimità ex articolo 372 cit. sono tutti quelli relativi alla nullità della sentenza impugnata, ovvero “incidenti sulla proponibilità, procedibilità e proseguibilità del ricorso medesimo, inclusi quelli diretti ad evidenziare l’acquiescenza del ricorrente alla sentenza impugnata per comportamenti anteriori all’impugnazione, ovvero la cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti che elidano l’interesse alla pronuncia sul ricorso purché riconosciuti ed ammessi da tutti i contendenti” (Cass. n. 3934/16); non anche quelli attinenti alla fondatezza nel merito della pretesa dedotta, ancorché sopravvenuti o scoperti dopo la sentenza impugnata: “Nel giudizio per cassazione è ammissibile la produzione di documenti non prodotti in precedenza solo ove attengano alla nullità della sentenza Impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o del controricorso, ovvero al maturare di un successivo giudicato, mentre non è consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza nel merito della pretesa, per far valere i quali, se rinvenuti dopo la scadenza dei termini, la parte che ne assuma la decisività può esperire esclusivamente il rimedio della revocazione straordinaria ex art. 395, n. 3, c.p.c..” (Cass. n. 18464/18; così n.10967/2013). Il ricorso va dunque rigettato, con compensazione delle spese di lite in ragione del consolidarsi in corso di causa del su riportato indirizzo interpretativo.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso; compensa le spese;
– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.