CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 maggio 2018, n. 12741
Tributi – Accertamento catastale – Discarica pubblica oggetto di sfruttamento economico – Natura – Unità immobiliare urbana – Accatastamento – Necessità – Categoria E – Esclusione – Categoria D/7 – Inclusione
Fatti rilevanti e ragioni della decisione
1. E. srl (già C. spa) propone cinque motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 73/22/11 del 29 settembre 2011, con la quale la commissione tributaria regionale del Piemonte, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo il provvedimento, notificatole il 16 gennaio 2009, con il quale l’agenzia del territorio di Novara attribuiva all’unità immobiliare urbana in sua proprietà (sita in Comune di Barengo, ed adibita a discarica pubblica di rifiuti solidi urbani) la categoria catastale D/7 con rendita di euro 88.560,00.
La Commissione Tributaria Regionale, per quanto qui ancora rileva, ha ritenuto che:
– legittimamente l’agenzia del territorio avesse rilevato il mancato accatastamento del bene in oggetto, ex articolo 2, co. 36, d.l. 262/06 e ss.mm., indipendentemente dal fatto che esso fosse emerso a seguito di procedura di controllo intentata dal Comune di Barengo per immobili diversi; – l’area in questione dovesse reputarsi, ai sensi della I. 1249/39 di formazione del NCEU e dell’art. 2, co. 1^ D.M. 28/1998, come ‘unità immobiliare urbana’ in grado di autonoma produttività di reddito, con conseguente sua accatastabilità pur in assenza di fabbricato; – su tale premessa, dovesse a tale unità immobiliare correttamente attribuirsi non già la categoria catastale E (presupponente l’assenza di redditività), bensì quella D/7, trattandosi di area destinata ad una gestione reddituale concretante attività industriale; e ciò indipendentemente dalla finalità di interesse generale perseguita da tale gestione.
Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.
E. srl ha depositato memoria.
2.1 Con il primo motivo di ricorso E. srl lamenta – ex art. 360, 1^ co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 1 co. 336, l. 311/04, e 2, co. 36, d.l. 262/06 conv. in I. 286/06 e ss.mm.. Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente escluso l’improcedibilità dell’attività di attribuzione di rendita catastale da parte dell’ufficio, nonostante che tale attribuzione fosse stata disposta con procedura di controllo ed aggiornamento ex art. 1 cit., intentata dal Comune di Barengo per un immobile (piazzola biogas) diverso, sebbene limitrofo, dalla discarica in questione.
2.2 Il motivo è infondato.
Ancorché occasionato dall’instaurazione, da parte del Comune di Barengo, di procedura di controllo ed aggiornamento concernente un immobile diverso da quello dedotto in giudizio (art. 1 co. 336 I. 311/04), l’accatastamento in questione non era precluso all’agenzia del territorio nell’espletamento funzionale della sua generale competenza in materia; così come evincibile dall’art. 2, co. 36, d.l. 262/06 conv. l. 286/06 e ss.mm., secondo cui: “l’agenzia del territorio, anche sulla base delle informazioni fornite dall’AGEA e delle verifiche, amministrative, da telerilevamento e da sopralluogo sul terreno, dalla stessa effettuate nell’ambito dei propri compiti istituzionali, individua i fabbricati iscritti al catasto terreni per i quali siano venuti meno i requisiti per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali, nonché quelli che non risultano dichiarati al catasto (…)”.
Come correttamente valutato dalla commissione tributaria regionale, non si poneva dunque un problema di “improcedibilità” dell’accatastamento; e ciò nemmeno sul presupposto che quest’ultimo fosse stato dall’agenzia del territorio disposto senza l’osservanza dell’articolata procedura prevista dall’art. 2 cit.. Procedura prescritta nell’ambito di censimenti sistematici (da qui la necessità di predisporre elenchi degli immobili individuati per l’accatastamento in ciascun comune, con conseguente avviso da pubblicare in Gazzetta Ufficiale a valere quale richiesta agli interessati di presentazione dei necessari atti di aggiornamento catastale), e non preclusiva di diverse modalità di accertamento ed emersione di specifiche situazioni di mancato accatastamento (concretante violazione di un obbligo del contribuente); nella specie insite nel rilievo diretto, appunto in esito a sopralluogo.
Altro sarebbe se il rilievo in questione avesse comportato effetti pregiudizievoli per la società proprietaria sotto il profilo della menomazione del suo diritto di difesa; evenienza, quest’ ultima, che non viene però neppure dedotta dalla stessa, la quale ha ricevuto regolare notificazione dell’avviso di attribuzione, con piena facoltà di conoscenza e contestazione dei suoi presupposti.
Sicché la censura in oggetto si risolve – con riguardo ad un atto che, come la determinazione della rendita catastale, non costituisce di per sé né imposta, né presupposto d’imposta – nel mero rilievo di una (asserita) violazione di ordine procedurale, senza attingere ad alcun pregiudizio alla tutela sostanziale della parte.
Né pare qui invocabile il precedente di legittimità indicato dalla ricorrente in memoria (Cass. 697/15), in quanto relativo, non alla prima risultanza di immobile non accatastato, bensì al diverso caso di revisione-aggiornamento di classamento attribuito ad immobile già accatastato.
3.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360, 1^ co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione degli artt.: – 3 e 4 prel; – 7 d.lgs. 546/92 per mancata disapplicazione dell’art. 2 DM Finanze n. 28/1998; – 3, 4 e 5 rdl 652/39 conv. in l. 1249/39; – 40 d.P.R. 1142/49. Per avere la commissione tributaria regionale attribuito alla discarica qualifica di ‘unità immobiliare urbana’, nonostante che non si trattasse di fabbricato, né di costruzione stabile, e nemmeno di parte di un immobile atta alla produzione di reddito proprio. Neppure essa poteva essere accatastata in quanto ‘area’ ai sensi del D.M. cit., dal momento che quest’ultimo, nell’introdurre questa ulteriore ed indefinita tipologia, si poneva in contrasto con la legislazione primaria di riferimento, così da dover essere disapplicato dal giudice tributario.
3.2 Il motivo è infondato.
Il giudice di merito ha appurato che la discarica in questione – insuscettibile di essere qualificata come “terreno agricolo”, anche in considerazione delle preclusioni attuali e future di sfruttamento colturale derivanti dall’impiego nel trattamento dei RSU – è dotata sia di impianti fissi sia di opere di contenimento volte alla captazione ed allo sfruttamento dell’emissione di biogas. Con ciò ha trovato conferma quanto accertato dall’agenzia del territorio, in ordine al fatto che tale discarica fosse connotata da opere edili di impermeabilizzazione e copertura; da vasche di percolato interrate e di superficie; da impianti tecnologici di natura elettrica, elettromeccanica, idrica antincendio, di captazione del biogas per generazione energetica.
Ora, l’art. 3 rdl 652/1939 conv.in l. 1249/1939, concernente “l’accertamento generale del fabbricati urbani, rivalutazione del relativo reddito e formazione del nuovo catasto edilizio urbano”, stabilisce che l’accertamento generale degli immobili urbani è fatto per ‘unità’ immobiliare’; l’art. 4 dispone che si considerano come immobili urbani i fabbricati e le costruzioni stabili di qualunque materiale costituite, diversi dai fabbricati rurali. Soggiunge poi l’art. 5 che: “si considera unita1 immobiliare urbana ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per se stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio”.
L’art. 40 d.P.R. 1142/1949 (Regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano) stabilisce che debba essere accertata “come distinta unità immobiliare urbana ogni fabbricato, o porzione di fabbricato od insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in cui si trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente”.
L’art. 1 del D.M. Finanze 28/1998 (“Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e modalità’ di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale”), stabilisce che: “il catasto dei fabbricati rappresenta l’inventario del patrimonio edilizio nazionale” (1^ co.); e che: “Il minimo modulo inventariale è l’unità immobiliare” (2^ co.). L’art. 2 definisce come segue l’unità immobiliare: “1. L’unità immobiliare è costituita da una porzione di fabbricato, o da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero da un’area, che, nello stato in cui si trova e secondo l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale. (…); 3. Sono considerate unità immobiliari anche le costruzioni ovvero porzioni di esse, ancorate o fisse al suolo, di qualunque materiale costituite, nonché gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo, purchè risultino verificate le condizioni funzionali e reddituali di cui al comma 1.
Del pari sono considerate unità immobiliari i manufatti prefabbricati ancorché semplicemente appoggiati al suolo, quando siano stabili nel tempo e presentino autonomia funzionale e reddituale”.
Risulta dunque che l’accatastamento viene dalla normativa riferito non al fabbricato in quanto tale, bensì alla nozione di unità immobiliare urbana (UIU); a sua volta rapportata ad una componente immobiliare (rilevante ex art. 812 cod.civ.) suscettibile di autonoma funzionalità e redditività.
Caratteristiche, queste ultime, che l’indirizzo di legittimità ha varie volte valorizzato proprio ai fini dell’accertamento dei presupposti di accatastabilità di determinate categorie di cespiti; e ciò anche con specifico riguardo agli immobili aventi destinazione industriale o di produzione energetica, quali – tra il resto – le centrali elettriche (Cass. 2621/15; 3500/15), i parchi eolici (Cass. 4028/12; 24815/14; 3354/15); le centrali telefoniche (Cass. 24924/16); le piattaforme petrolifere (Cass. 3618/16).
Si tratta di tipologie costruttive in ordine alle quali si è posto un delicato problema interpretativo – qui non influente – di quantificazione della rendita catastale a fini impositivi (incidenza del valore delle attrezzature e degli impianti infissi o strutturalmente connessi); ma la cui accatastabilità in sé, quali unità immobiliari, è stata tuttavia sempre riconosciuta.
Deriva pertanto che la commissione tributaria regionale non ha violato la normativa di riferimento, nel momento in cui ha individuato – nell’immobile in esame – i connotati dell’unità immobiliare urbana suscettibile di accatastamento. E ciò nell’osservanza tanto della legge quanto del regolamento citato; la cui disciplina – facente anch’essa perno sulla autonomia funzionale e reddituale della componente immobiliare – non può dirsi in contrasto con la prima.
In rigetto del motivo di ricorso, va dunque affermato che, in base alla normativa di riferimento (artt. 3, 4 e 5 rdl 652/1939 conv. l. 1249/1939; art. 40 dpr 1142/1949; artt. 1 e 2 DM Finanze 28/1998) la discarica pubblica di rifiuti solidi urbani – connotata da autonomia funzionale e reddituale, in quanto dotata di strutture e manufatti infissi strumentali alla captazione del biogas – integra unità immobiliare urbana assoggettata ad accatastamento.
4.1 Con il terzo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360, 1^ co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 2, co. 40, d.l. 262/06 e 177. co. 2^, d.lgs 152/06. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto corretta l’attribuzione della categoria catastale D, e non E, prescindendo dal criterio oggettivo della destinazione funzionale di interesse pubblico; e basandosi invece sul carattere soggettivo della società contribuente e sulla sua qualità di appaltatrice di servizi per conto del consorzio pubblico intercomunale (Consorzio per lo smaltimento RSU di Novara, poi Consorzio del Basso Novarese) titolare esclusivo della licenza amministrativa di gestione.
Con il quarto motivo di ricorso la società lamenta – ex art. 360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ. – omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Per non avere la commissione tributaria regionale adeguatamente considerato, nell’affermare la legittimità del classamento in categoria D sulla base della ‘gestione reddituale’ della discarica, che essa contribuente era mera proprietaria del terreno ed appaltatrice del servizio per conto di un ente pubblico (il suddetto consorzio); non anche titolare dell’autorizzazione amministrativa alla realizzazione della discarica (rilasciata in capo al su menzionato consorzio).
Con il quinto motivo di ricorso la società deduce analoga censura – ex art. 360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ. – per non avere la commissione tributaria regionale adeguatamente motivato in ordine alla ritenuta decisività, ai fini della classificazione in categoria D, del carattere asseritamente ‘industriale’ dell’attività di gestione della discarica; nonostante che la società non fosse titolare dell’autorizzazione all’esercizio della stessa, e che essa operasse (in forza di convenzione intercorsa il 15 luglio 1999 con il Consorzio) esclusivamente in qualità di appaltatrice di pubblico servizio ai sensi del d.lgs 157/95.
4.2 Questi tre motivi di ricorso – suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle questioni giuridiche dedotte, tutte incentrate sulla individuazione della pertinente categoria catastale – sono infondati.
Appurata l’iscrivibilità in catasto della discarica, la commissione tributaria regionale ha esattamente individuato la categoria di riferimento in quella – già indicata dall’agenzia del territorio nell’avviso opposto – relativa ai ‘fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività industriale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni’ (D/7); e non quella concernente gli immobili a destinazione particolare di esigenza pubblica (E).
La categoria E viene infatti riservata agli immobili sostanzialmente incommerciabili e privi di autonoma redditività (stazioni, ponti, fari, edifici di culto, cimiteri ecc…).
L’art. 2, co. 40, d.l. 262/06 conv. in I. 286/06 cit. stabilisce espressamente che “nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale”. Dal che si evince come la legge instauri una vera e propria incompatibilità tra classificazione in categoria E, da un lato, e destinazione dell’immobile ad uso commerciale o industriale, dall’altro.
Ora, la commissione tributaria regionale ha argomentatamente basato il proprio convincimento in proposito, sul fatto che la discarica in questione presentasse un “notevole rilievo economico”, in quanto utilizzata dalla società ricorrente per svolgere un’attività (di natura industriale) rientrante nella disciplina di cui all’articolo 2195 cod.civ..
In effetti, la interdipendenza tra ‘gestione reddituale’ della discarica e carattere prettamente ‘industriale’ dell’attività in essa svolta deponeva – come affermato dal giudice regionale – per l’iscrizione catastale in categoria D/7, e non in categoria (di natura residuale e di applicazione restrittiva) ‘E’.
Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, questa conclusione non poteva dirsi inficiata dal fatto che l’attività di gestione dei rifiuti, come anche già stabilito dall’art. 177, co. 2, d.lgs 152/06, “costituisce attività’ di pubblico interesse”.
L’interesse generale allo svolgimento dell’attività non esclude che quest’ultima sia esercitata secondo parametri essenzialmente imprenditoriali, siccome resi possibili dalle “caratteristiche intrinseche” dell’unità immobiliare; determinative della sua “destinazione ordinaria e permanente” (art. 6 d.P.R. 1142/1949 cit.). Sicché non è esatto sostenere, con la ricorrente, né che la commissione tributaria regionale abbia basato il proprio convincimento su un requisito di natura ‘soggettiva’ (essendosi invece essa fondata, appunto, su requisiti ‘oggettivi’, dati dalle caratteristiche intrinseche e dalla destinazione permanente dell’immobile), né che il giudice di merito non abbia adeguatamente soppesato l’incidenza pubblicistica dell’attività.
Sotto questo aspetto, in particolare, è stato rilevato come la ricorrente cumulasse in sé la proprietà della discarica e la qualità di gestore in forza di appalto di servizio; a nulla rilevando – per le già indicate ragioni – che la licenza amministrativa a quest’ultimo relativa fosse stata rilasciata ad un ente, il consorzio intercomunale, di natura pubblica.
Va infine richiamato, anche in proposito, il su indicato indirizzo di legittimità, secondo cui I’ iscrizione in categoria catastale ‘D’ deve ritenersi compatibile con la destinazione dell’immobile ad attività economico-imprenditoriale anche di pubblico interesse.
In rigetto dei motivi di ricorso, va dunque affermato che la discarica pubblica oggetto di sfruttamento economico nella gestione dei RSU e nella captazione del biogas va accatastata, indipendentemente dal fatto che le attività così in essa svolte rispondano a pubblico interesse, in categoria D/7 (fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività industriale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni), e non E (immobili a destinazione particolare).
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 5.000,00; oltre spese prenotate a debito.
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