CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 maggio 2018, n. 12798
Licenziamento disciplinare – Impossessamento di beni altrui in giacenza presso la società – Valore probatorio della dichiarazione resa dal lavoratore al momento della contestazione – Natura di confessione stragiudiziale – Elemento soggettivo della consapevolezza di ammettere la verità di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all’altra parte – Elemento oggettivo di concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e corrispondente vantaggio del destinatario della confessione
Fatti di causa
1. Con la sentenza n. 365/2015 la Corte di appello di Trento, in riforma della pronuncia n. 171/2015 emessa dal Tribunale della stessa città, in applicazione dell’art. 18 comma V della legge n. 300/1970, come modificato dalla legge n. 92/2012, ha dichiarato risolto alla data del 7.11.2013 il rapporto di lavoro in essere tra S.B. e la A. spa e ha condannato quest’ultimo a corrispondere al suddetto B. una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima sua retribuzione globale di fatto.
2. A fondamento della decisione la Corte distrettuale ha rilevato:
1) la contestazione era tempestiva; 2) il contenuto della contestazione medesima era completo quanto alla indicazione dei tempi, modi e circostanze del fatto ascritto, senza la necessità di indicare anche le fonti di prova; 3) il termine a difesa concesso al lavoratore, avendo riguardo all’art. 7 della legge n. 300/1970, era stato rispettato; 4) era stato dimostrato che il giorno 10.3.2013, a metà turno lavorativo verso le 2:00 circa, il B. aveva caricato dei sacchi sulla sua vettura e che in uno di essi si scorgeva un paio o due di scarpe fra quelle che si sarebbero dovute distruggere come corpo di reato: ciò era desumibile dai dati raccolti dagli apparecchi di registrazione visiva, dalle circostanze temporali e dal fatto che il dipendente, ricevuta la lettera di contestazione, aveva detto all’Avv. B., sentita in fase di trattazione della causa e legale dell’impresa, di avere effettivamente preso un paio o due delle scarpe di cui sopra;
5) ai fini della proporzionalità, andava sottolineato che il fatto materiale (impossessamento di beni altrui in giacenza presso la società, costituenti anche corpo di reato) sussisteva, ma la reale portata della vicenda, limitata solo ad uno o due paia di scarpe, era minima ed incideva sia sotto il profilo del danno che su quello dell’intensità dell’elemento soggettivo; 6) non ricorrevano, pertanto, gli estremi della giusta causa come addotta nella lettera di licenziamento, ma occorreva ricorrere alla previsione del V comma dell’art. 18 legge n. 300/1970 con riguardo alla declaratoria di risoluzione del rapporto al momento del licenziamento e con il riconoscimento di una indennità risarcitoria di 12 mensilità.
3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione S.B. affidato a cinque motivi.
4. Ha resistito con controricorso la A. spa proponendo a sua volta ricorso incidentale con tre motivi.
5. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cpc.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso principale S.B. lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 n. 3 cpc, in relazione agli artt. 5 legge n. 604/1966 e 2, comma 2, della legge n. 604/1966 nonché dell’art. 2697 cc per avere la Corte distrettuale, violando le norme sul riparto dell’onere della prova, errato nel considerare esistente il fatto contestato al lavoratore sussistendo, invece, solo prove meramente indiziarie.
2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, della violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2730 e 2735 cc, in relazione all’art. 2732 cc e 116 cpc, per avere la Corte territoriale interpretato le dichiarazioni rese da esso al momento del ricevimento della lettera di contestazione come una confessione stragiudiziale, pur in totale assenza sia dell’elemento soggettivo che di quello oggettivo.
3. Con il terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 18 comma V legge n. 300/1970 con riferimento all’art. 1455 cc e all’art. 68 lett. F) CCNL Federambiente per avere la Corte di appello, pur non riconoscendo la gravità dei fatti, ritenuto congrua l’irrogazione della sanzione disciplinare, operando una errata valutazione delle norme e dei principi giurisprudenziali sull’importanza dell’inadempimento giustificante il recesso dal rapporto di lavoro e sul principio di proporzionalità; viene, inoltre, ribadito che l’archiviazione del procedimento penale precluderebbe la configurabilità nella fattispecie del furto e la riconducibilità della condotta e detta ipotesi agli effetti dell’art. 68 CCNL e 18 comma V legge n. 300/1970.
4. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc in relazione all’art. 115 1° comma cpc, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia la circostanza che nella notte tra il 9 ed il 10 marzo 2013 il B. si sarebbe recato al lavoro con la propria autovettura casualmente e ciò avrebbe escluso la ipotesi di un qualsiasi progetto delittuoso.
5. Con il quinto motivo il ricorrente eccepisce, ex art. 360 n. 4 cpc, la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 421 cpc e 437 cpc, per non avere i giudici del merito, in presenza di un quadro di incertezza, attivato i propri poteri officiosi mediante l’acquisizione del video in possesso degli organi inquirenti, sulla base del quale la società gli aveva contestato la sottrazione dei corpi di reato.
6. Con il primo motivo del ricorso incidentale la società lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2735 e 2733 cc e 116 cpc (art. 360 comma 1 n. 3 cpc) per avere la Corte territoriale erroneamente rinvenuto nelle dichiarazioni ammissive rese dal B. all’Avv. B. e al dott. P. i contenuti propri di una confessione resa al terzo e non alla parte, così non attribuendo il valore di prova legale proprio e vincolante.
7. Con il secondo motivo si duole della violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 5 legge n. 604/1966, 2729 cc e 116 cpc (art. 360 c. 1 n. 3 cpc) per non avere la Corte territoriale adeguatamente giustificato il proprio convincimento sulla reale portata dell’episodio, ritenuta erroneamente minima, e per avere omesso di considerare un profilo decisivo dell’addebita accertato, ossia che l’intrinseca gravità dell’imputazione derivasse non solo e non tanto dal danno della sottrazione del bene, bensì dalla particolare natura dei beni sottratti e dal conseguente particolare disvalore insito nell’illecito contestato, desumibile da circostanze rilevanti sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo.
8. Con il terzo motivo la società censura l’omesso esame circa un fatto ritenuto decisivo per il giudizio e che era stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione agli artt. 116 cpc e 2729 cc (art. 360 c. 1 n. 5 cpc) per avere la Corte di appello omesso di pronunciarsi circa un fatto – oggetto di discussione fra le parti – ossia sulla quantità di scatole di scarpe da ginnastica destinate alla distruzione asportate dal B. e per non avere applicato correttamente il procedimento logico per presunzioni nella individuazione delle effettive scatole di scarpe sottratte.
9. Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.
10. Invero, non sussistono le violazioni di legge, solo formalmente enunciate, in difetto dei requisiti propri, non avendo il ricorrente proceduto, come pure avrebbe dovuto, ad una verifica di correttezza della attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, né alla sussunzione del fatto accertato dal giudice del merito nell’ipotesi normativa (ex plurimis Cass. 28.11.2007 n. 24756); neppure vi è stata la prospettazione critica di una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultanti altrimenti consentito alla Corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunciata (cfr. Cass. 26.6.2013 n. 16038; Cass. 28.2.2012 n. 3010; Cass. 31.5.2006 n. 12984).
11. Le censure si risolvono, nella sostanza, in una richiesta di riesame dell’accertamento operato in fatto dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza della prova sui fatti addebitati che i giudici di secondo grado, con ragionamento esente da vizi logico-giuridici, hanno ritenuto, invece, dimostrati.
12. Il secondo motivo del ricorso principale deve essere esaminato, per la identità delle sottese questioni, unitamente al primo motivo del ricorso incidentale della società.
13. Entrambi attengono alla natura giuridica e al valore probatorio dato dalla Corte territoriale alla dichiarazione resa dal B., al momento della comunicazione della contestazione disciplinare, all’Avv. B.: in particolare se la stessa possa essere considerata come una confessione stragiudiziale e, in caso positivo, se la stessa sia stata resa ad un soggetto qualificabile come “parte” o come “terzo”.
14. In ordine al primo profilo, la Corte territoriale ha ritenuto che le dichiarazioni fossero qualificabili come confessione stragiudiziale e ciò sia da un punto di vista oggettivo, perché si trattava di una ammissione di fatti sfavorevole al dichiarante, sia dal punto di vista soggettivo, in quanto era chiaro l’animus confitendi poiché gli era stata appena consegnata una contestazione circa la sottrazione di alcuni corpi di reato da distruggere.
15. L’assunto è conforme all’orientamento di legittimità (Cass. 29.9.2005 n. 1965; Cass. 19.11.2010 n. 23495) secondo il quale, perché una dichiarazione sia qualificabile come confessione, essa deve constare di un elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all’altra parte, e di un elemento oggettivo che si ha qualora dalla ammissione del fatto obiettivo che forma oggetto della confessione, escludente qualsiasi contestazione sul punto, derivi un concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e al contempo un corrispondente vantaggio nei confronti del destinatario della confessione.
16. Inoltre, va sottolineato che è incensurabile in cassazione l’accertamento, adeguatamente motivato ed esente da vizi logici e giuridici (come nel caso di specie), col quale il giudice di merito abbia ammesso o escluso l’esistenza ad una confessione stragiudiziale (in termini cfr. Cass. 11.1.2003).
17. La censura del ricorrente è, pertanto, infondata.
18. Quanto, invece, al secondo aspetto, anche il motivo formulato dalla società non è meritevole di pregio, in primo luogo, perché la Corte territoriale, oltre alla confessione stragiudiziale, ha rilevato anche altri elementi probatori quali i dati raccolti dagli apparecchi di registrazione visiva e le circostanze spazio-temporali (il ricorrente era in servizio proprio il giorno dopo l’arrivo del camion con il materiale da distruggere e ha agito di notte, attribuendo alla sua azione un significato diverso da quello ascrivibile se avesse agito di giorno); in secondo luogo, perché anche la confessione stragiudiziale, fatta ad un terzo, atteso che può liberamente essere apprezzata dal giudice, può costituire prova piena, nell’esercizio di un potere discrezionale, che se adeguatamente e correttamente motivato, è sottratto al sindacato di legittimità (cfr. Cass. 4.3.1991 n. 2231; Cass. 19.1.2017 n. 1320; 25.8.2003 n. 12463); ne consegue che l’oggetto della doglianza, come proposta, si palesa irrilevante e non conferente rispetto a quella che è stata la ratio decidendi della gravata pronuncia.
19. Il terzo motivo del ricorso principale deve essere scrutinato unitamente al secondo del ricorso incidentale riguardando entrambi una critica sulla valutazione di “gravità dei fatti”, espressa dalla Corte territoriale che ha ritenuto di minore rilevanza il fatto dimostrato (sottrazione solo di uno dei capi) rispetto a quello contestato (“varie scatole di scarpe”) sia sotto il profilo del danno che sotto quello dell’intensità dell’elemento soggettivo, applicando il novellato art. 18 comma V della legge n. 300/1970 e dichiarando, pertanto, risolto il rapporto al momento del licenziamento con il riconoscimento di una indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto goduta.
20. La censura della società è fondata con il conseguente rigetto di quella del ricorrente principale.
21. Al riguardo, il Collegio ritiene di dare continuità all’orientamento di legittimità espresso con la pronuncia di questa Corte del 25.5.2017 n. 13178, secondo cui la questione dell’applicazione delle conseguenze (risarcitorie o reintegrazione) previste dall’art. 18 novellato può porsi solo in caso di accertata insussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo di recesso.
22. La giusta causa di licenziamento, così come il giustificato motivo, costituiscono una nozione che la legge -allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con disposizioni (ascrivibili alla tipologia delle cd. clausole generali) di limitato contenuto, delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura di norma giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge. L’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio,degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, è quindi sindacabile in cassazione, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denunzia di incoerenza rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale (Cass. 23.9.2016 n. 18715; Cass. n. 8367/2014, Cass. n. 5095/2011).
23. Per stabilire, poi, se sussiste la giusta causa di licenziamento e se è stata rispettata la regola codicistica della proporzionalità della sanzione, occorre accertare in concreto se – in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore d’opera e, quindi, alla qualità e al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava – la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti e all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente, risulti obiettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo grave, cosi da farla venir meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente (cfr. Cass. 23.4.2002 n. 5943; Cass. n. 8568/2000).
24. Orbene, nel caso di specie la sentenza impugnata non è condivisibile per la non corretta individuazione e applicazione del parametro normativo e delle relative specificazioni inerenti la sussistenza della giusta causa (esclusa, nel caso concreto, con riguardo ai termini di cui alla lettera di licenziamento) e la proporzionalità della sanzione ai fini dell’applicabilità dell’art. 18 comma V St. Lav.
25. Ed invero la Corte distrettuale non ha considerato anche le esigenze poste dall’organizzazione produttiva e le finalità delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione: si trattava, infatti, di una società che, gestendo l’impianto di termovalorizzazione di Trieste, lavorava a stretto contatto con l’Autorità giudiziaria e con le Forze di Polizia nell’attività di distruzione dei corpi di reato, per la qual ragione il comportamento illecito del dipendente ha chiaramente portato discredito alla parte datoriale. I giudici di seconde cure non hanno, poi, tenuto in debito conto la effettiva natura dell’azione compiuta, nella sua essenza, e cioè la sottrazione di merce contraffatta costituente corpo di reato e destinata alla immediata distruzione, nonché il suo disvalore giuridico e sociale a prescindere dall’aspetto quantitativo e dal danno della sottrazione medesima. La Corte territoriale, infine, non ha ben valutato, sotto il profilo soggettivo, che la detenzione della merce contraffatta, era di per sé illecita, non legittimamente detenibile perché astrattamente costituente il reato di ricettazione e, di ciò, il dipendente, inserito in quella organizzazione aziendale, non poteva non esserne a conoscenza.
26. Va, altresì, rimarcato che l’eventuale archiviazione degli stessi fatti in sede penale non riveste alcuna influenza nell’ambito del presente giudizio, stante l’autonomia dei due procedimenti (Cass. 9.6.2005 n. 12134; Cass. 1.12.1997 n. 12163), ed inoltre che un fatto costituente reato contro il patrimonio, ancorché determinativo di un danno (patrimoniale) di speciale tenuità, alla stregua della legge penale, può essere considerato di notevole gravità nel diverso ambito del rapporto di lavoro, tenuto conto della natura del fatto medesimo (in ragione delle esigenze di organizzazione e della relativa disciplina), della sua sintomaticità e della finalità della regola violata (cfr. Cass. 22.10.1993 n. 10505).
27. Queste carenze di riscontro decisionale, in ordine alla sussistenza della giusta causa, sono pertanto sufficienti ad integrare il vizio lamentato delle violazioni di legge per erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla legge (art. 2 del codice disciplinare aziendale e 68 CCNL Federambiente) alla stregua della interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità in tema di “giusta causa”.
28. Il secondo motivo del ricorso incidentale deve, quindi, essere accolto.
29. Continuando nell’esame del ricorso principale, il quarto motivo – là dove non è inammissibile perché veicola censure di fatto non deducibili in sede di legittimità – è infondato.
30. Giova rimarcare, invero, che è applicabile, nella concreta fattispecie, il contenuto precettivo del nuovo testo dell’art. 360 n. 5 cpc, introdotto dall’art. 54 del D.L. n. 83/2012, convertito nella legge n. 134/2012, disposto applicabile alla impugnazione per cassazione della sentenza depositata il 26.11.2015.
31. Ebbene, il riferimento al fatto “controverso e decisivo”, contenuto nella suddetta disposizione, implica che la motivazione sulla “quaestio facti” sia affetta non da una mera contraddittorietà, insufficienza o mancata considerazione, ma che sia tale da determinare la logica insostenibilità della motivazione (cfr. Cass. 20.8.2015 n. 17037).
32. Ciò non è ravvisabile nel caso de quo perché la dedotta esclusione di un progetto delittuoso (per la casualità dell’uso dell’autovettura da parte del B. che era solito recarsi al lavoro con lo scooter) non incide sull’iter decisorio dei giudici di merito, atteso che, ciò che ha assunto rilievo determinante, è stata la dimostrazione dell’avvenuto impossessamento di cose destinate alla distruzione, perché corpi di reato, alla stregua delle risultanze processuali comunque acquisite; inoltre, sotto il profilo logico, non può non considerarsi che la suddetta circostanza non fu immediatamente riferita dal B. e, quindi, la stessa può essere interpretata anche solo come una mera difesa ex post in una situazione in cui era stato già deciso l’uso della auto a prescindere dalle condizioni atmosferiche.
33. Il quinto motivo del ricorso principale è infondato.
34. La Corte di cassazione ha più volte ribadito che, nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 cpc, l’esercizio del potere di ufficio del giudice, pur in presenza di già verificatesi decadenze o preclusioni e pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa, non è meramente discrezionale, ma si presenta come un potere – dovere, sicché il giudice non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull’onere della prova. Tuttavia, è stato precisato che tali poteri non possono essere esercitati in presenza di una prova già espletata su punti decisivi della controversia, con l’ammissione di ufficio di una prova diretta a sminuirne l’efficacia o la portata (tra le altre cfr. Cass. Sez. Un. 17.6.2004 n. 11353; Cass. 5.2.2005 n. 2379).
35. Nel caso in esame, i giudici del merito hanno ritenuto provata la sottrazione dei corpi di reato, da parte del B., sulla base degli elementi emersi a seguito di risultanze processuali su punti decisivi della controversia, per cui non avrebbe potuto ammettersi di ufficio una prova finalizzata alla eventuale contestazione (o rafforzamento) di ciò che era stato già oggetto di istruttoria.
36. Infine, la trattazione del terzo motivo del ricorso incidentale deve ritenersi assorbita dall’accoglimento del secondo motivo.
37. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale vanno, pertanto, rigettati; il secondo motivo di ricorso incidentale va, invece accolto e, assorbito il terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e rinviata ad altro giudice, che si individua nella Corte di appello di Venezia, che procederà ad un nuovo esame applicando i su indicati principi e provvedendo, altresì, anche alle spese del presente giudizio di legittimità.
38. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/2002, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228 deve provvedersi, ricorrendone i presupposi, come da dispositivo, limitatamente al ricorso principale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Venezia cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
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