CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 novembre 2018, n. 30335
Reddito d’impresa – Accertamento – Risparmio fiscale – Principio di elusione tributaria
Fatti di causa
1. Con avviso di accertamento l’Agenzia delle Entrate contestava la indebita deduzione, ai fini della determinazione del reddito di impresa della A.G.H. per l’anno 2000, della minusvalenza derivante dalla cessione del 10% di quote societarie della A.G.I. ad altra società (A.G.S. s.p.a.) del medesimo gruppo A.S. s.p.a.. In particolare, si rilevava che nel 1997 la T.G.T. s.p.a., poi divenuta A.G.H. s.p.a., aveva acquistato, al prezzo di lire 4.250.000.000,00 la partecipazione del 10% del capitale sociale della A.G.I. s.p.a., facente parte anch’essa del medesimo gruppo A.S. s.p.a., che tre anni più tardi, e quindi nel 2000, altra società del gruppo, la A.G.S. s.p.a. aveva proposto di acquistare il 10 % delle quote della A.G.I. s.p.a., ma ad un prezzo di molto inferiore a quello di acquisto, poi determinato in lire 886.000.000, che per la Guardia di Finanza tale cessione integrava la violazione della disposizione antielusiva di cui all’art. 37 bis d.p.r. 600 del 1973, con conseguente disconoscimento della minusvalenza pari a lire 3.364.000.000.
Per gli accertatori l’intento delle operazioni poste in essere era stato quello di “aggirare.. .la norma tributaria al fine di ottenere, attraverso l’abbattimento della base imponibile, una riduzione d’imposta”, le dette operazioni erano prive di valide ragioni economiche e la società non aveva avviato investimenti né nel 2000, né nel 2001.
2. La contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, che lo rigettava. In motivazione si evidenziava che, quanto alla prima vendita del 1997, i soci delle due società erano medesimi, che, quindi, i venditori avevano percepito la somma di lire 4.250.000.000,00, beneficiando di una tassazione agevolata pari al 12,50% della plusvalenza della vendita, che la successiva vendita del 2000 al prezzo di lire 886.000.000 aveva generato una minusvalenza che non era giustificata da un deprezzamento netto del 78% della stessa partecipazione, ritenuta nel 1997 di interesse strategico per gli acquirenti.
3. Avverso tale sentenza proponeva appello la A.G.H. s.p.a. evidenziando che vi erano valide ragioni economiche alla base della seconda vendita del 2000, che dai bilanci della A.G.I. s.p.a., il cui 10% delle quote era stato acquistato nel 1997, emergeva una drastica riduzione degli utili nel corso degli anni, che il prezzo della vendita del 2000 era stato valutato da apposite perizie redatte dai professionisti incaricati, che il nuovo piano strategico del gruppo risultava dal parere di conformità relativo al “progetto di Formazione e Lavoro” inviato alla Commissione Regionale per l’impiego della Regione Calabria, che erano state presentate domande di agevolazioni finanziaria per gli anni 2001, 2002 e 2003.
4. La Commissione tributaria regionale della Calabria rigettava l’appello proposto dalla contribuente.
5. Proponeva ricorso per Cassazione la società.
6. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle entrate.
7. Depositava memoria ex art. 378 c.p.c. la società ricorrente.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso per Cassazione la società deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 37 bis del d.p.r. 600/1973 (nel testo vigente ratione temporis), in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., in quanto non sussistono i presupposti per l’applicazione di tale norma, in presenza di valide ragioni economiche sottese alla vendita del 2000 da cui è scaturita la minusvalenza deducibile dal reddito di impresa, con esclusione dell’aggiramento di obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario, ed in assenza del risparmio fiscale indebito realizzato con diverse operazioni.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la società rileva l’insufficiente motivazione sui fatti controversi e decisivi “riguardanti la presunta prova e sussistenza o meno della antieconomicità e della giustificazione della cessione della partecipazione sociale”, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.. In particolare, la società evidenzia che la sentenza della Commissione regionale non ha tenuto conto dei documenti prodotti già dal primo grado di giudizio in ordine alla situazione economica della A.G.I. s.p.a., del nuovo piano strategico del Gruppo nel corso degli anni dal 1997 al 2000, dell’assenza di una condotta alternativa della società tale da generare una maggiore imposta, della mancata enunciazione da parte dell’Ufficio dell’ipotetico diverso comportamento da tenere, dell’omessa indicazione delle disposizioni tributarie violate, della sussistenza di valide ragioni economiche a fondamento della seconda vendita del 2000.
3. I motivi primo e secondo, che per ragioni di stretta connessione vanno esaminati congiuntamente, sono fondati.
3.2. Invero, l’art. 37 bis d.p.r. 600 del 1973, vigente ratione temporis, prevede che “sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi e divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”.
Pertanto, perchè possa configurarsi l’elusione di imposta occorrono tre elementi: la presenza di un vantaggio fiscale indebito; l’aggiramento di obblighi e divieti, sicchè il contribuente costruisce un espediente per realizzare un risultato diverso da quello che viene ordinariamente vietato dal sistema fiscale; l’assenza di valide ragioni economiche.
3.3. Per la Suprema Corte, quindi, a Sezioni Unite, è insito nell’ordinamento il principio per cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, doversa dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale (Cass.Civ., Sez.Un., 23 dicembre 2008, n. 30055).
3.4. Inoltre, l’elusione di imposta e la disciplina di cui all’art. 37 bis d.p.r. 600 del 1973 si modulano diversamente in presenza di un gruppo di imprese.
3.5. Si è affermato, infatti, in sede di legittimità che, in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economiche apprezzabili, che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici; ne consegue che il carattere abusivo va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non necessariamente si identificano in una redditività immediata, potendo consistere in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda – nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha ritenuto inadeguatamente motivata l’esclusione delle valide ragioni economiche dell’acquisto, da parte della contribuente, delle azioni di una società estera, benché rientrante in più ampio progetto di riorganizzazione strutturale e funzionale di un gruppo societario di cui la prima era “capogruppo” (Cass.Civ., 26 febbraio 2014, n. 4604).
Sempre sul tema, la S.C. ha negato potesse essere riconosciuto il carattere abusivo, ai sensi dell’art. 37 bis d.p.r. 600 del 1973, di una complessa operazione di trasferimento di un pacchetto azionario di una società facente capo ad un gruppo multinazionale ad altra società del gruppo, con l’assunzione di notevoli impegni economici per il finanziamento dell’operazione e con conseguente riduzione del carico fiscale, solo perché lo stesso risultato economico avrebbe potuto raggiungersi attraverso un’operazione di fusione, essendo peraltro non contestate dall’amministrazione finanziaria le necessità organizzative volte ad una gestione unitaria di uno dei settori di attività del gruppo (Cass.Civ., 21 gennaio 2011, n. 1372).
3.6. La prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sulla Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di reale spessore che giustifichino operazioni in quel modo strutturate (Cass.Civ., 21 gennaio 2009, n. 1465; Cass.Civ., 22 settembre 2010, n. 20029).
3.7. Inoltre, l’abuso del diritto può riguardare anche operazioni non ritenute specificamente elusive dalla legge, sicchè in tal caso l’ufficio non può contestare in modo generico il principio violato, ma deve indicare le modalità di svolgimento delle operazioni poste in essere.
4. La motivazione della sentenza della Commissione regionale non è sufficientemente motivata su tutti gli aspetti suindicati decisivi per la soluzione della questione controversa. In particolare, nella sentenza si fa riferimento ad un prezzo di acquisto della partecipazione azionaria del 10% per lire 4.250.000.000,00, mentre in base alla perizia di stima si indicava un valore minimo della partecipazione di lire 1.902.226.847 per arrivare ad un massimo di lire 2.532.256.330.
Tuttavia, la ricorrente ha evidenziato che il prezzo dal minimo al massimo riguardava la stima del 5 % del valore azionario e non del 10%, ossia la porzione di capitale effettivamente acquistata(cfr. pagina 69 del ricorso per cassazione “infatti, i due predetti valori minimo e massimo sono stati riferiti dal perito al 5% del capitale sociale della A.G.I. spa anziché al 10% del capitale stesso che poi è stato effettivamente acquistato …di talchè il corrispettivo pagato risulta pienamente in linea con quello che è stato periziato e che è inoppugnabilmente testimoniato dalla relativa relazione di stima del 12-5-1997 presente agli atti”) .
Inoltre, nella sentenza si evidenzia che , dopo tre anni dall’acquisto, avvenuto nel 1997, del 10% delle azioni della A.G.I. da parte della ricorrente A.G.H. s.p.a., lo stesso pacchetto azionario è stato “svenduto” ad altra società del gruppo al prezzo di lire 886.000.000, in assenza di valide ragioni economiche (” A distanza di tre anni dall’acquisto, la Società, stranamente, svendeva la partecipazione considerata dalla stessa strategica per l’intero gruppo di appartenenza, dichiarando un valore irrisorio pari a lire 886.000.000 rispetto al prezzo di acquisto. Tale operazione, economicamente non vantaggiosa per la Società, non appare in nessun caso giustificata da quanto genericamente affermato dall’appellante, che dimentica che la partecipazione era considerata dalla Società strategica per l’intero gruppo di appartenenza, ed ammette esplicitamente che la stessa società era, per fortuna, in espansione e non era afflitta da problemi di acclarata illiquidità”).
In realtà, la società ricorrente ha prodotto documentazione, in alcun modo esaminata in motivazione, in relazione alla drastica riduzione di utili della A.G.I. negli anni dal 1997 al 2000 (utile di lire 3.448.391.000 nel 1997; di lire 2.841.269.000 nel 1998 e di lire 349.215.000 nel 1999), deducendo che a strategia del gruppo societario nel corso del tre anni era cambiata, sicchè si era ritenuto opportuno acquisire liquidità, attraverso la vendita della partecipazione societaria, sia pure a prezzo ridotto, per affrontare i nuovi investimenti coerenti con la nuova strategia complessiva del gruppo.
La nuova strategia del gruppo, secondo la ricorrente, atteneva ad “un processo di riorganizzazione delle attività industriali nei settori della produzione di mescole e tubi di gomma, o materiale termoplastico, per il settore industriale”.
Inoltre, la società ha rimarcato che i prezzi di acquisto e di vendita sono stati indicati in base a precise stime di professionisti incaricati. In particolare, la vendita del 2000 è stata preceduta da valutazione peritale del 6-10-2000. Nella nota integrativa al bilancio e nella relazione del collegio sindacale del 17-10-2000 si fornisce una spiegazione delle ragioni della vendita a minor prezzo (“La società, pertanto, anziché tenere una partecipazione scarsamente produttiva, ha ritenuto opportuno monetizzare la stessa anche in previsione degli investimenti futuri che l’azienda effettuerà…Il Collegio prende atto, altresì, della perizia redatta su richiesta della società dal dott. R.C., commercialista in Milano, che conferma l’equità del prezzo di cessione”).
La società ha anche prodotto le domande di agevolazione finanziaria presentate nel 2001, 2002 e 2003, con cui si chiedevano finanziamenti per circa 25 miliardi di lire nel solo anno 2001, 15 miliardi nel 2002 e 6 milioni di euro nel 2003. Tali finanziamenti non sarebbero stati concessi “solo ed esclusivamente a causa dell’insufficienza delle risorse finanziarie a disposizione”.
Le deduzione della ricorrente, quindi, non sono generiche, ma precise e documentate, sicchè la Commissione regionale avrebbe dovuto esaminarle, invece che reputarle “generiche” (“Tale operazione… non appare in nessun caso giustificata da quanto genericamente affermato dall’appellante”).
Peraltro, l’Agenzia non indica quale sarebbe potuto essere il comportamento alternativo che l -i ricorrente avrebbe potuto e dovuto porre in essere al fine di conseguire il medesimo risultato economico, ma eventualmente con un aggravio di imposte.
Nè è dirimente il passaggio della motivazione in cui si evidenzia che, con riferimento all’acquisto del 1997, vi era la medesima base sociale tra le due società e la società venditrice aveva beneficiato di una tassazione agevolata (“I predetti soggetti, trattandosi di una partecipazione non qualificata, beneficiavano di una tassazione agevolata pari al 12,5% della plusvalenza realizzata con la vendita, anche rateizzabile”).
L’atto i cui effetti vengono disconosciuti è, infatti, la vendita della partecipazione azionaria avvenuta tre anni dopo, nel 2000, ad un prezzo di molto più basso rispetto a quello di acquisto.
5. La sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità e si atterrà al principio di diritto di cui al paragrafo 3.5, della motivazione.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo di impugnazione; cassa la decisione impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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