CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 settembre 2019, n. 23573

Riliquidazione della pensione di anzianità – Principio del pro rata – Anzianità contributiva Inpdai – Anzianità contributiva Inps

Considerato in fatto

1. La Corte d’appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di accoglimento della domanda di F.L., F.N. e F.M., eredi di F.F., iscritto all’Inpdai fino al 1987 e di seguito all’Inps fino al 2008, di riliquidazione della pensione di anzianità del loro dante causa con i criteri previsti dall’AGO, ritenendo non applicabile il principio del cosiddetto pro rata, previsto dall’art. 42, 3 comma, L. n. 289/2002, riservato ai dirigenti ancora iscritti all’Inpdai alla data della soppressione dell’ente.

Il F. lamentava che l’Inps gli aveva liquidato la pensione applicando l’art: 42 L. n. 289/2002 ed il principio del pro rata, calcolando una quota determinata sulla base dell’anzianità contributiva Inpdai, con applicazione del massimale di cui all’art. 3, comma 7, I. n. 181/1997,ed una sulla base dell’anzianità contributiva Inps e che l’Istituto aveva fatto riferimento, relativamente alla quota Inpdai, alla retribuzione degli ultimi 5 e 10 anni di lavoro svolto in costanza di assicurazione Inpdai, con l’effetto di far conseguire all’assicurato una pensione inferiore a quella che gli sarebbe spettata se tutta la sua contribuzione fosse stata versata presso il fondo lavoratori dipendenti.

Secondo la Corte la pensione avrebbe dovuto essere calcolata in applicazione integrale delle regole dell’AGO, considerando i due periodi contributivi come fossero una unica provvista accreditata presso l’INPS poiché, alla data del 31/12/2002, il F. non era più dirigente industriale iscritto all’Inpdai, con conseguente inapplicabilità dell’art. 42 citato ai fini del calcolo della misura della pensione.

La Corte ha, altresì, rilevato l’infondatezza della pretesa dell’Istituto, il quale, applicando il principio del pro rata, intendeva prendere in considerazione per la determinazione della retribuzione media pensionabile, le retribuzioni riferite al periodo di contribuzione Inpdai e non invece le retribuzioni percepite negli ultimi 5 o 10 anni, anteriori al pensionamento, come dovuto.

Ha osservato, infine, che la tesi dell’Inps secondo cui il lavoratore avrebbe potuto richiedere all’Inpdai di provvedere alla ricongiunzione della posizione presso l’AGO e che, in difetto di tale domanda, non potesse più valere alcun meccanismo di ricongiunzione era infondata in quanto non si poneva un problema di ricongiunzione ex art. 22 DPR n. 58/1976, ma una quesitone di disciplina e destinazione della contribuzione a seguito della soppressione dell’Ente e che, comunque, la richiesta di ricongiunzione non era più possibile proprio in quanto non necessaria , essendo già avvenuto ope legis il trasferimento della contribuzione all’Inps.

2. Avverso la sentenza ricorre l’Inps con un motivo.

Resistono gli eredi di F.F..

Il ricorrente deposita memoria ex art. 378 cpc.

Ritenuto in diritto

2. L’Inps denuncia violazione dell’art. 42 L. n. 289/2002, dell’art. 3 L. n. 297/1982. Osserva che quello del pro rata costituiva principio generale disciplinante l’integrazione fra i due regimi pensionistici e che non era fondata l’affermazione della Corte secondo cui le pensioni liquidate a coloro che non erano in costanza di assicurazioni presso l’Inpdai al 31/12/2002 non avrebbero dovuto essere determinate secondo il criterio del pro rata.

Censura, altresì, la sentenza impugnata nella parte relativa alla determinazione della retribuzione pensionabile sulla base della quale calcolare la quota di pensione imputabile al periodo di iscrizione all’Inpdai.

Secondo la Corte la retribuzione di riferimento sarebbe quella maturata negli ultimi 5 e 10 anni prima della decorrenza della pensione dal 2008 e non già, come indicato correttamente dall’Inps, la retribuzione percepita in costanza di assicurazioni Inpdai.

Infine, il ricorrente censura la sentenza secondo cui l’art. 42 citato deve essere letto come volto a salvaguardare la posizione dei dirigenti industriali che, a seguito della soppressione dell’ente, avrebbero potuto soffrire di un pregiudizio nella liquidazione del trattamento pensionistico. Osserva, infatti, che la clausola della salvaguardia aveva rilevanza solo a fronte di comparazione fra due pensioni liquidate sulla base di parametri identici quanto ad anzianità e retribuzione pensionabile : una integralmente con le regole proprie dell’Inpdai e l’altra con le regole proprie dell’AGO.

3. Il motivo è fondato. Questa Corte, infatti, con orientamento consolidato, cui si intende dare ulteriore continuità, ha già avuto modo di chiarire che, dal momento che la legge n. 289/2002 ha operato il trasferimento dei contributi dalI’Inpdai all’Inps mediante iscrizione “con evidenza contabile separata”, ossia in carenza di un’unificazione assimilabile alla ricongiunzione dei contributi prevista dal d.P.R. n. 58/1976, l’art. 42 comma 3, prima parte, della legge citata, disponendo che il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del criterio del pro-rata, a quello degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti con effetto dal primo gennaio 2003, ha introdotto un principio di carattere generale, senza distinzione tra soggetti ancora iscritti e soggetti che non sono più in costanza di assicurazione INPDAI alla data del 31.12.2002, con la conseguenza che, ai fini della liquidazione della pensione, la retribuzione pensionabile propria dell’assicurato già iscritto all’INPDAI deve essere individuata in relazione alle retribuzioni che sarebbero stati utili nel caso di un’ipotetica liquidazione del trattamento pensionistico da parte dell’INPDAI, non anche con riguardo alle retribuzioni percepite negli ultimi cinque e dieci anni calcolati a ritroso dalla data del pensiona,in quanto il rinvio dell’art. 42, I. n. 289/2002, all’art. 3, comma 7, d.lgs. n. 181/1997, nonché lo stesso meccanismo del pro-rata adottato nell’art. 42 cit., costituiscono manifestazione della volontà del legislatore di tenere distinti i due periodi assicurativi, in considerazione della diversità dei sistemi di calcolo adottati per ciascuno di essi, dando luogo a due distinte quote di pensione da determinare secondo autonomi criteri (Cass. n. 4897 del 2017;Cass. n. 19036 del 2017; Cass. n. 18841 del 2017; Cass. n. 3321 del 2018; Cass. n 19519/2018).

3. Né appare decisivo, al fine di inficiare la consistenza del superiore principio di diritto, l’assunto di parte contro ricorrente secondo cui la soppressione dell’INPDAI avrebbe in realtà comportato una sorta di ricongiunzione ex lege delle posizioni contributive dei dirigenti già iscritti all’INPDAI nell’assicurazione generale obbligatoria, al punto che l’Inps non avrebbe dato ulteriore corso alle domande di ricongiunzione della posizione previdenziale presentate dopo l’1.1.2003: ciò che rileva è piuttosto che, avendo il legislatore manifestato la volontà di uniformare il regime pensionistico dei dirigenti industriali a quello dei lavoratori dipendenti ” nel rispetto del principio del pro rata”(art. 42, comma 3, L. n. 289/2002), non vi è spazio alcuno per sostenere che, per i dirigenti che alla data della soppressione dell’INPDAI avevano una posizione contributiva presso tale ultimo ente, il calcolo della retribuzione pensionabile non debba essere pro parte riferito (anche) alle retribuzioni sulle quali è stata versata la contribuzione presso I’INPDAI.

4. Né miglior sorte merita l’ulteriore assunto di parte controricorrente secondo cui, così operando,i dirigenti ex INPDAI subirebbero un trattamento discriminatorio e deteriore , essendo impossibilitati a chiedere la ricongiunzione gratuita ex art. 22, d.P.R. n. 58/1976, e dovendo per contro subire un calcolo della pensione meno favorevole di quello previsto dal d.lgs. n. 503/1992 nell’AGO.

A riguardo va rilevato che parte controricorrente non ha offerto gli elementi di fatto necessari per effettuare il giudizio comparativo, che deve aver riguardo anche alla contribuzione versata (cfr Cass.n.4897/2017) e non solo all’anzianità ed alla retribuzione (come genericamente preteso dai ricorrenti senza valutare, ai fini della liquidazione della quota A secondo i criteri vigenti per l’Inpdai , la necessità che la comparazione avvenga a parità di condizioni – cfr in tal senso anche Cass. n. 13980/2018 – tenendo conto delle diverse retribuzioni pensionabili e delle diverse contribuzioni dimostrando poi che, all’esito di una simile comparazione, la quota A, da liquidarsi secondo i criteri Inpdai, sarebbe inferiore a quella da calcolarsi con i criteri AGO).

Vale la pena di evidenziare che l’interpretazione proposta dai ricorrenti,come del resto quella patrocinata dalla Corte territoriale, poggia sull’assunto, invero indimostrato, secondo cui il regime introdotto dall’art. 42, I. n. 289/2002, costituirebbe una misura di salvaguardia delle aspettative pensionistiche maturate dei dirigenti industriali, laddove appare piuttosto una misura per porre argine al notorio e crescente disavanzo cagionato dal pregresso regime di favore di cui essi beneficiavano, caratterizzato da basse aliquote di calcolo dei contributi, alte aliquote di rendimento e più elevate fasce di retribuzione pensionabile.

5. Il ricorso va, pertanto, accolto e la sentenza impugnata va conseguentemente cassata e, non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con il rigetto della originaria domanda proposta da F.F.. ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell’intero processo.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, dpr n. 115/2002.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda proposta da F.F.. Compensa le spese dell’intero processo.