CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 agosto 2021, n. 23379
Imposta di registro – Avviso di liquidazione – Principio di alternatività tra iva e imposta di registro – art. 22 del D.P.R. n. 131 del 1986
Fatto
Con l’avviso di liquidazione n. 2007/012/DI/000000939/0/001, l’Agenzia delle Entrate di Bari chiese all’Avv. C. (d’ora in avanti anche “il ricorrente” o anche “il contribuente”) il recupero di euro 342 quale imposta di registro sul decreto ingiuntivo n. 000000939/2007 del Giudice di Pace di Bari dell’importo di euro 1.522,84.
Il C. propose ricorso avverso il detto atto deducendo la nullità dell’avviso per difetto di motivazione e l’inapplicabilità al caso di specie del d.P.R. n. 131 del 1986.
La CTP di Bari rigettò il ricorso.
La CTR della Puglia, su appello del contribuente, confermò la sentenza di prime cure, ritenendo, da un lato, che l’avviso di liquidazione impugnato era congruamente motivato, e, dall’altro, che nel caso di specie sarebbe stato rispettato il principio di alternatività tra l’iva e l’imposta di registro, avendo l’ufficio richiesto l’imposta in misura fissa sul contratto verbale enunciato nell’atto emesso dall’Autorità giudiziaria (decreto ingiuntivo), ai sensi dell’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986.
Avverso la sentenza di appello il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha depositato solo un atto di costituzione.
Il ricorso, inizialmente chiamato dinanzi alla sezione sesta, è stato rimesso alla pubblica udienza con ordinanza del 21 ottobre 2015.
Diritto
1. Con il primo motivo, rubricato “Violazione dell’art. 112 e dell’art. 115 c.p.c. Violazione dell’art. 1 del d.lgs. n. 32 del 2001. Insufficiente motivazione su punto decisivo e controverso del giudizio”, il ricorrente si duole che l’avviso di liquidazione non sarebbe congruamente motivato e che la motivazione della sentenza impugnata non sarebbe sufficiente a dare contezza della ritenuta (da parte dei giudici di appello) congrua motivazione dell’avviso di liquidazione.
1.1 II motivo è infondato.
1.2 Nell’esposizione dei fatti di causa, il contribuente dà atto (pag. 2 del ricorso) che, a sostegno dell’impugnazione avverso la sentenza di primo grado, aveva dedotto che il contratto verbale di prestazione d’opera professionale enunciato nel decreto ingiuntivo non avrebbe dovuto scontare l’imposta di registro in quanto il provvedimento monitorio si era sostituito al contratto, i cui effetti dunque sarebbero cessati in virtù dell’emanazione del provvedimento giudiziario. Inoltre, il quantum richiesto era agevolmente individuabile nel doppio della tassa fissa (euro 168 x 2), più l’aggio delle entrate puntualmente indicato in 6 €, il tutto appunto per euro 342,00.
Ne consegue, ai fini che qui rilevano, che il contribuente ben sapeva, sin dal ricorso proposto dinanzi alla CTP, che la doppia tassa di registro fissa pretesa dall’ufficio riguardava il decreto ingiuntivo emesso dall’autorità giudiziaria e il contratto verbale di prestazione d’opera professionale in esso enunciato; sicché la motivazione dell’avviso di liquidazione è congrua ed idonea a rappresentare al contribuente le ragioni della ripresa a tassazione del contratto di prestazione d’opera.
Né emerge l’insufficienza della motivazione della sentenza di appello circa la congruità della motivazione dell’avviso di liquidazione: i giudici di appello hanno anzi chiaramente affermato, in sentenza, che quest’ultimo conteneva tutti gli elementi essenziali affinché il contribuente potesse sviluppare consapevolmente le sue difese.
2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Violazione del secondo comma dell’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986.
Violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. omessa motivazione su punto decisivo e controverso”, il ricorrente deduce che l’ufficio non avrebbe potuto riprendere a tassazione fissa il contratto verbale enunciato nel decreto ingiuntivo, in quanto quest’ultimo si sarebbe sostituito al contratto. Di contro, la tassazione del contratto enunciato nel decreto ingiuntivo darebbe vita, inammissibilmente, ad una doppia imposizione per lo stesso rapporto giuridico.
2.1 II motivo è infondato.
2.2 L’imposta di registro è una imposta d’atto, e dunque si applica a tutti gli atti previsti dalla legge come ad essa soggetti.
Il fatto che il decreto ingiuntivo sia stato emesso sulla base di un contratto di prestazione d’opera professionale concluso verbalmente non esclude la tassazione di quest’ultimo, nel caso in cui esso sia stato enunciato nel contesto del provvedimento giurisdizionale, in quanto tale eventualità è contemplata proprio nel terzo comma dell’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986.
Né può ritenersi che il decreto ingiuntivo abbia determinato la cessazione degli effetti del contratto verbale in esso enunciato: la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 22 Tur si riferisce ai casi di novazione oggettiva, ma non ai casi in cui il contribuente abbia ottenuto un provvedimento giurisdizionale a tutela di un diritto nascente da un contratto.
Tale ultima conclusione è anch’essa confermata dal terzo comma dell’art. 22 Tur, dal quale si evince che se il contratto enunciato in uno degli atti dell’autorità giudiziaria è totalmente ineseguito, l’imposta su di esso (sull’atto enunciato) è dovuta per l’intero valore della prestazione ineseguita.
3. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.
4. Il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’Agenzia delle Entrate esonera la Corte dal provvedere sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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