CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 agosto 2022, n. 25291
Licenziamento – Insufficiente controllo su una errata imputazione dei costi relativi ad alcune attività – Tardività della contestazione
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 2926/2016, il Tribunale di Milano, in parziale accoglimento del ricorso proposto da C.P. nei confronti della I.I. s.p.a., ha accertato l’illegittimità e l’ingiusticatezza del licenziamento intimato dalla convenuta all’attrice in data 15.12.2011 ed ha condannato la società al pagamento della somma di € 157.003,29 lordi, a titolo di indennità supplementare, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo.
2. Il primo giudice riteneva la tardività della contestazione mossa alla dipendente ed escludeva comunque la giustificatezza del licenziamento (in quanto la contestazione riguardava l’insufficiente controllo su una errata imputazione dei costi relativi ad alcune attività svolte dal practitioner B., ma non l’insussistenza dei costi, e perché comunque il lasso di tempo intercorso tra la contabilizzazione del predetti costi e il licenziamento era espressione di un comportamento di tolleranza da parte della società); respingeva, invece, la domanda relativa alla mancata partecipazione al piano di stock option in quanto riconducibile ad altra società (la IBM C.).
3. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Milano, in accoglimento dell’appello proposto dalla I.I. contro la sentenza di primo grado, ed in riforma di quest’ultima, respingeva le domande formulate dalla C. con il ricorso di primo grado; condannava la stessa alla restituzione di quanto percepito in esecuzione della sentenza di primo grado; e condannava, infine, la C. alla rifusione delle spese del doppio grado del giudizio.
3. Avverso la sentenza di secondo grado la C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
4. Ha resistito l’intimata, con controricorso.
5. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
6. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo, la ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – Art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 7 della L. 300/1970”. Censura “la parte della Corte d’Appello di Milano, ove si legge, alle pp. 3 e 4, che “Il primo giudice ha ritenuto la tardività della contestazione del 15.12.2011 in quanto relativa a fatti risalenti all’anno 2010. In particolare, con riferimento al contestato superamento del budget per le attività precontrattuali con il cliente P. ha rilevato che lo stesso fosse agevolmente rilevabile al momento dell’inserimento nel 2010 dei dati-numero di ore-nei sistemi aziendali; quanto alle incongruenze tra le richieste di rimborsi spese, relative al cliente Toro Assicurazioni, ed i dati di utilization rate del cliente P., concernenti l’attività del practitioner B., tra la fine di agosto e la prima metà di settembre 2010, ha rilevato che le stesse erano state rilevate documentalmente sulla base di elementi già a disposizione della società dal 2010, come pure era rilevabile documentalmente già nel 2010 l’incongruenza tra la nota spese del giorno 23.6.2010 di B. L., autorizzata dalla ricorrente, e le risultanze del sistema di attività contrattuale per il cliente V.. Osserva il Collegio che l’errore in cui è incorso il primo giudice consiste nell’aver ignorato che la contestazione imputava in particolare all’appellata non l’aver semplicemente autorizzato determinate spese superiori al budget stabilito ma l’aver autorizzato le spese non solo con la consapevolezza della loro non imputabilità al cliente indicato ma soprattutto per aver dato specifiche istruzioni in tal senso ai suoi collaboratori ed in ogni caso per aver omesso di svolgere i controlli dovuti in ragione del ruolo di dirigente rivestito. Trattasi quindi di una condotta articolata e complessa che non poteva emergere ictu oculi con il semplice esame documentale, richiedendo invece uno studio incrociato dei dati, la cui corretta lettura è stata resa agevole anche dalle dichiarazioni rese da alcuni dipendenti durante l’internai audit che si è reso necessario svolgere. Conseguentemente non può ravvisarsi alcuna tardività nell’esercizio dell’azione disciplinare. Del resto non vi sono elementi da cui desumere – ma nemmeno viene dedotto da parte appellante – che la società fosse da tempo a conoscenza non che i costi fossero elevati – dato pacifico -, ma che gli stessi fossero frutto di irregolarità e omissioni da parte della appellata. Né va taciuto l’oggettivo affidamento che di regola il datore di lavoro ripone nella correttezza del dipendente specie se, come nel caso in esame, trattasi di un dirigente. Come del resto affermato più volte dalla Corte di Cassazione “… il trascorrere di un periodo di tempo, tra l’esecuzione delle prestazioni ed il momento della loro verifica, rientra nella fisiologia dell’attività di controllo, ancor più in un’organizzazione aziendale complessa. E’ per questo che, secondo una risalente acquisizione giurisprudenziale di questa Corte, il principio di immediatezza deve intendersi in senso relativo, dovendosi tener conto delle caratteristiche dell’infrazione e della necessità di un margine temporale per il suo accertamento (Cass. 1248/2016); onde la tardività della contestazione andrebbe apprezzata in relazione all’avvenuta piena conoscenza dell’infrazione” (cfr. Cass. n. 9051/2016). La contestazione quindi non è tardiva”. Secondo ‘impugnante, infatti, la Corte d’appello di Milano era incorsa in errore laddove aveva affermato la tempestività della contestazione disciplinare a lei intimata da IBM, in quanto “non ha fatto applicazione degli insegnanti di questa Corte espressi in materia, disattendendo i principi cardine dettati dalle disposizioni normative in tema di iter disciplinare, con indebito sacrificio del diritto di difesa del prestatore di lavoro all’interno del procedimento disciplinare”.
2. Con il secondo motivo, deduce “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – Art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c.e art. 115 c.p.c.”. Premette che la Corte di merito, alla pag. 4 della sua sentenza, afferma che: “Passando al merito, i fatti nella loro componente oggettiva sono pacifici e non contestati dalla appellata che, già con la lettera di giustificazioni del 2.12.2011, affermava che tratta vasi di circostanze non solo risalenti nel tempo ma anche note alla società ben prima dell’Internai Audit”. Censura “il predetto capo di sentenza, poiché la Corte meneghina ha letteralmente stravolto i principi di legge in materia di onere della prova quanto alla ritenuta giustificatezza del licenziamento ed anche quelli che governano il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c.”.
3. Con il terzo motivo, deduce: “Vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – contraddittorietà della deposizione del teste Sig. B. rispetto alla documentazione prodotta in atti da controparte e travisamento della deposizione del teste Sig. S.”. Premette anche in questo caso che si legge, alle pagg. 4, 5 e 6 della gravata sentenza, che: “L’istruttoria svolta ha dimostrato la imputabilità dei fatti alla appellata anche da un punto di vista soggettivo. Ed infatti, il teste B. L. ha riferito che l’appellata assegnava le risorse ai vari progetti e controllava la pianificazione e consuntivazione dell’attività delle risorse impiegate; comunicava alle singole risorse i codici di contabilità da utilizzare per consuntivare l’attività svolta; svolgeva attività di coordinamento e controllo della pianificazione settimanale dell’allocazione delle risorse anche per i clienti V. e P.. Il teste ha precisato di non aver mai lavorato sul cliente P. e che era stata l’appellata a chiedergli di imputare al cliente P. tal attività svolta anche se relativa ad altri clienti, specificando che ciò era accaduto soprattutto quando non era allocato su alcun cliente specifico. Le dichiarazioni di B. L. trovano riscontro nelle dichiarazioni rese dal teste G.M. S., responsabile della linea BAO e superiore dell’appellata. Questi ha confermato che l’appellata coordinava l’attività delle risorse e non solo di quelle a lei direttamente assegnate – nell’ordine di 15-20, per cui si coordinava anche con altri dirigenti preposti agli altri servizi sempre nell’ambito del BAO per decidere le risorse da allocare su singoli contratti o attività precontrattuali; coordinava e controllava la pianificazione settimanale dell’allocazione delle risorse per l’attività da svolgere per i clienti tra cui anche P. e V. eventualmente anche comunicando ai manager e ai riporti i codici di contabilità da utilizzare in relazione alle attività precontrattuali e contrattuali sui clienti; riceveva i tabulati sulle ore che i consulenti avevano inserito nel sistema e controllava la loro coincidenza con il preventivato dell’intero sistema; “partecipava al processo di pianificazione delle risorse dell’intera azienda, rendeva disponibili le risorse BAO laddove c’era corrispondenza tra contratti da coprire e risorse disponibili, poi si faceva dare i codici chiamati CLAIM, generati centralmente, li forniva a sua volta ai consulenti che dovevano operare su quei contratti, dicendo loro di pianificare le ore indicate nel Strumento preposto alla pianificazione, poi riceveva la consuntivazione del monte ore svolto dai consulenti, verificava a livello di ore/cliente le ore rapportate e quindi se si accorgeva di eventuali differenze chiedeva chiarimenti al consulente. Preciso che la consuntivazione da parte dei consulenti era relativa all’intera settimana e non specificata per giorni, comunque la specificazione per giorni non era rilevante”. Il teste ha anche confermato che l’appellata aveva assegnato direttamente il practitioner B. L. alle attività precontrattuali sul potenziale cliente P. e gli aveva fornito il codice per la registrazione delle ore sul cliente. La circostanza riferita da testi che era l’appellata ad allocare le risorse ed a controllarne l’attività sui progetti trova conferma anche nei documenti da 2 a 3/11 e da 4 a 4/3 di parte appellante, non contestati. La condotta posta in essere dall’appellata come accertata – anche solo con riferimento alla posizione di B. L. -, è di per sé di una gravità tale da determinare la lesione del rapporto fiduciario e non consentire la prosecuzione nemmeno temporanea dello stesso”. Argomenta, in questo caso, l’impugnante “che le dichiarazioni rese dal teste, Sig. B., sono smentite dalla documentazione prodotta in atti dalla stessa IBM. In particolare, non corrisponde al vero che il teste Brandimante non fosse allocato sul Cliente P.”, esplicitando “anche ulteriori importanti circostanze di fatto che non sono state tenute in alcuna considerazione dal Giudice di secondo grado e, come le stesse, al pari della precedente, siano assolutamente decisive ai fini del giudizio e del decidere”.
4. Con il quarto motivo, deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – Art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 2119 c.c. e art. 1175 e 1375 c.c. e artt. 2104 e 2105 c.c.”. Premette che <a p. 4 della pronuncia impugnata si legge “L’istruttoria svolta ha dimostrato la imputabilità dei fatti alla appellata anche da un punto di vista soggettivo” e, a p. 6 della stessa, è detto: “La condotta posta in essere dall’appellata come accertata – anche solo con riferimento alla posizione di B. L.-, è di per sé di una gravità tale da determinare la lesione del rapporto fiduciario e non consentire la prosecuzione nemmeno temporanea dello stesso. Ciò senza contare la ricaduta in termini anche solo di immagine subita dalla società nel momento in cui la P. tal e la V. chiedevano delle spiegazioni circa il caricamento di un consistente numero di ore rispetto all’attività effettivamente svolta. Si ricorda che gli obblighi di fedeltà, di correttezza e buona fede cui è tenuto il lavoratore subordinato, sono particolarmente accentuati nel caso in cui il dipendente abbia la qualifica di dirigente che lo pone in un diretto e stretto rapporto di collaborazione con il datore di lavoro del quale è un alter ego. Di talché, la verifica della sussistenza anche di uno solo dei fatti contestati, pur nella presenza di più addebiti, purché di gravità tale da recidere il vincolo fiduciario a base del rapporto, può essere sufficiente ai fini della valutazione della sussistenza della giusta causa del licenziamento o della giustificatezza dello stesso”. A detta della ricorrente, anche “Tale statuizione si pone in contrasto con i dettami di legge e con l’orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte, con particolare riguardo all’elemento della lesione del vincolo fiduciario che deve sorreggere il licenziamento irrogato ad un dipendente con qualifica dirigenziale”.
5. Tutte le così riassunte censure sono prive di fondamento.
6. Già la sintesi dei motivi di cui sopra, del resto desunta da quella esposta dalla stessa ricorrente alle pagg. 2-6 del suo atto d’impugnazione, e ancor meglio lo svolgimento di ognuno di essi, rendono praticamente autoevidente che, da un lato, ella attinge apprezzamenti del giudice di secondo grado anzitutto squisitamente probatori, e, dall’altro, contrappone a tali valutazioni fattuali proprie differenti valutazioni dello stesso genere.
7. Circa il primo motivo, giova comunque ricordare che questa Corte, anche di recente, ha ribadito che, nel licenziamento per giusta causa il principio dell’immediatezza della contestazione dell’addebito deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti siano molto laboriosi e richiedano uno spazio temporale maggiore, e non potendo, nel caso in cui il licenziamento sia motivato dall’abuso di uno strumento di lavoro, ritorcersi a danno del datore di lavoro l’affidamento riposto nella correttezza del dipendente, o equipararsi alla conoscenza effettiva la mera possibilità di conoscenza dell’illecito, ovvero supporsi una tolleranza dell’azienda a prescindere dalla conoscenza che essa abbia degli abusi del dipendente. Occorre evidenziare, in merito, che i requisiti della immediatezza e tempestività condizionanti la validità del licenziamento per giusta causa sono compatibili con un intervallo temporaneo, quando il comportamento del lavoratore consti di una serie di fatti che, convergendo a comporre un’unica condotta, esigono una valutazione globale ed unitaria da parte del datore di lavoro (così Cass. civ., sez. lav., 16.7.2020, n. 15229). E, nel caso che ci occupa, la Corte di merito aveva, tra l’altro, posto in luce la pluralità e la complessità degli addebiti mossi. Sempre questa Corte, inoltre, ha evidenziato che il giudizio in questione deve essere riferito al concreto rapporto di lavoro ed al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni (cfr. Cass. civ., sez. lav., 12.5.2020, n. 8803), ed il giudice di secondo grado, come si è visto, aveva anche considerato, soprattutto, ma non soltanto, sulla scorta della deposizione del teste S. iil considerevole coacervo di responsabilità incombenti sulla C., nonché sottolineato il grado, evidentemente elevato, di affidamento riposto dalla datrice di lavoro in lei quale dirigente in siffatta rilevante posizione.
Per altro verso, questa Corte Suprema ha anche sottolineato che la valutazione delle circostanze rilevanti ai fini dell’immediatezza della contestazione disciplinare è riservata al giudice del merito (in tal senso, ad es., Cass. civ., sez. VI, 14.5.2018, n. 11583).
8. Ebbene, la decisione della Corte d’appello, in base a quanto accertato all’esito di istruttoria compiuta in secondo grado, è sicuramente conforme ai su riportati principi, avendo senz’altro dato estesamente conto del perché le complesse contestazioni mosse alla dirigente non potessero reputarsi intempestive.
Né la ricorrente, ovviamente, può in questa sede di legittimità esigere un differente apprezzamento delle risultanze processuali, come invece fa la stessa nello sviluppo della censura in esame (cfr. pagg. 8-15 del ricorso), in cui o propone proprie valutazioni di fatto oppure si “appella” al diverso convincimento che aveva espresso il primo giudice circa la tempestività (da quello esclusa) della contestazione.
9. Considerazioni non molto diverse valgono per il secondo motivo, con il quale si lamenta la violazione sia del principio dell’onere della prova che di quello di non contestazione circa i fatti addebitati ad essa dirigente. Com’è agevole constatare, infatti, la ricorrente a riguardo, rispetto alla sua lettera di giustificazioni in data 2.12.2011, ne prospetta un contenuto e un’interpretazione differenti da quelli considerati dalla Corte territoriale. Non considerando, peraltro, che la non contestazione, ritenuta da quest’ultima, era limitata ai “fatti nella loro componente oggettiva”, e, soprattutto, che le deduzioni svolte dalla medesima ricorrente al fine di suffragare la pretesa tardività delle contestazioni erano all’evidenza implicitamente ammissive della storicità di quei fatti e che, inoltre, la stessa Corte ha formato il suo convincimento circa “la imputabilità dei fatti alla appellata anche da un punto di vista soggettivo” alla luce dell’istruttoria svolta.
10. Analoghi rilievi valgono ancora per il terzo motivo, la cui estesa esposizione (cfr. pagg. 18-23) rende del tutto evidente come la ricorrente di nuovo contrapponga una propria valutazione delle emergenze processuali a quella senz’altro operata dalla Corte distrettuale. In particolare, quest’ultima, non solo già aveva preso in considerazione la documentazione a disposizione a proposito della tempestività della contestazione, come si è visto, ma ai fini del merito della stessa aveva ben tenuto conto di quella cui specificamente si riferisce ora la ricorrente. A torto, infatti, ella addebita alla Corte milanese di non aver “tenuto in alcuna considerazione, quale fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti, quanto emerge con chiarezza dalla documentazione avversaria (documenti di IBM nn. da 3 a 3.11 compreso di cui al fascicolo di controparte nel giudizio di primo grado n. 10167/2012 – qui prodotti quale doc. 5), che smentisce totalmente la deposizione testimoniale resa in giudizio dal Sig. B.”. Invero, come ben risulta dal passo alla fine di pag. 5 dell’impugnata sentenza, il giudice a quo aveva ritenuto (anche) quei documenti confermativi di ciò che avevano riferito i testi, oltre che non contestati dall’attuale ricorrente.
9. Parimenti da disattendere è la quarta ed ultima censura, la cui lettura in extenso vale di per sé a persuadere che la ricorrente ancora una volta propone una diversa ricostruzione dei fatti, ovviamente non consentita in questa sede di legittimità (cfr. pagg. 23-28 dell’atto di ricorso).
Risultano, pertanto, condivisibili gli analoghi rilievi svolti dal P.G. circa i motivi di ricorso ulteriori rispetto al primo, nella propria requisitoria scritta.
10. La ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% e I.V.A e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.