CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 aprile 2019, n. 11237
Licenziamento senza preavviso – Svolgimento di attività di consulenza fiscale in favore di un privato – Violazione dell’obbligo di fedeltà ed esclusività della prestazione lavorativa e del divieto di svolgimento di attività in conflitto di interessi
Fatti di causa
1.1. Con ricorso al Tribunale di Milano R. N. C., dipendente di ruolo dell’Agenzia delle Entrate dal 15/7/1993, appartenente alla III Area F6, in servizio presso la Direzione Provinciale 2 di Milano, Ufficio territoriale di Milano 3, conveniva in giudizio l’Agenzia per sentir dichiarare l’illegittimità del licenziamento senza preavviso intimatogli in data 11/9/2010 per violazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 65, co. 3, lett. a) e c) e 67, co. 6, lett. d), c.c.n.l. comparto Agenzie Fiscali quadriennio 2002-2006 e delle norme deontologiche di cui al D.M. 28 novembre 2000 ed in particolare per aver il C. svolto attività di consulenza fiscale in favore di un privato nell’ambito di una vertenza fiscale in cui era contrapposto il proprio datore di lavoro in violazione dell’obbligo di fedeltà ed esclusività della prestazione lavorativa e del divieto di svolgimento di attività in conflitto di interessi.
1.2. Il Tribunale respingeva la domanda.
1.3. La decisione era confermata dalla Corte d’appello di Milano.
Riteneva la Corte territoriale che lo svolgimento da parte del C. di un incarico professionale nell’interesse di un soggetto (R. S.), legale rappresentante di una società (B. A. S.p.A.) oggetto di verifiche fiscali da parte della Guardia di Finanza e l’avvenuta percezione di un acconto di euro 5.000,00 per tale attività fosse emersa dal contenuto di una nota del 28/6/2010 inviata dallo stesso C. alla Direzione Regionale delle Entrate per il Piemonte.
Escludeva che l’attività svolta dal C. potesse essere inquadrata quale mera attività di cortesia in favore del conoscente S., limitata alla mera ricerca di un professionista che assistesse la società del predetto, e che la corrisposta somma di euro 5.000,00 potesse essere ricondotta ad un mero rimborso spese per viaggi, telefonate, pranzi, cene, taxi ecc..
Riteneva che il licenziamento fosse stato adottato dall’organo competente tale essendo, nella specie, l’Ufficio procedimenti disciplinari, organo monocratico, a sua volta individuato nel Direttore regionale.
Riteneva che la condotta del C. avesse violato in modo plateale e macroscopico gli obblighi contrattuali e legali imposti al pubblico dipendente dalle disposizioni di cui alla contestazione così da ledere in modo irreversibile il necessario vincolo fiduciario tra l’amministrazione e il proprio dipendente e a legittimare il licenziamento.
Escludeva ogni intervenuta decadenza rilevando che, vertendosi in una ipotesi di maggiore gravità, il termine di cui all’art. 55 bis, co. 4, d. lgs. n. 165/2001 fosse di 40 giorni e non di 20.
2. Per la cassazione di questa pronuncia R. N. C. ha proposto ricorso affidandosi a due motivi.
3. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
4. Il ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Risulta preliminarmente inammissibile la produzione documentale (verbale di udienza in camera di consiglio dinanzi al Tribunale di Verbania del 23/10/2017; circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 15 marzo 1986; contestazione di violazione amministrativa dell’Agenzia delle Entrate nei confronti della società B. A. S.p.A. del 3/1/2011; verbale di sommarie informazioni rese al Nucleo di Polizia Tributaria di Novara da S. R. in data 6 ottobre 2016) effettuata dal ricorrente unitamente alla memoria depositata ex art. 378 cod. proc. civ.. Nel giudizio di legittimità, infatti, secondo quanto disposto dall’art. 372 cod. proc. civ., non è ammesso il deposito di atti e documenti che non siano stati prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero concernano nullità inficianti direttamente la decisione impugnata, nel qual caso essi vanno prodotti entro il termine stabilito dall’art. 369 cod. proc. civ., rimanendo inammissibile la loro produzione in allegato alla memoria difensiva di cui all’art. 378 cod. proc. civ..
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.).
Censura la sentenza impugnata per aver omesso di valutare elementi “chiave” che, qualora opportunamente valutati, avrebbero condotto ad un diverso esito.
2.2. Il motivo è inammissibile.
Si verte in ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., disposizione applicabile ex art. 54, comma 2, d.l. n. 83/2012 “ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” (12 agosto 2012), ossia ai giudizi introdotti in grado di appello dal giorno 11 settembre 2012 in poi (v. Cass. n. 5528 del 2014, in motiv.) e, quindi al presente giudizio giacché l’appello è stato depositato successivamente a tale data.
Secondo l’orientamento già espresso da questa Corte ed al quale si intende dare seguito, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 10 marzo 2018, n. 5528; Cass. 27 settembre 2016, n. 19001; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774).
Nel caso in esame la decisione della Corte di merito, nel confermare integralmente la pronuncia del Tribunale (v. pag. 3 della sentenza), ha condiviso la valutazione sui fatti compiuta dal giudice di prime cure ed ¡1 ricorrente, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo, non ha indicato le ragioni di fatto poste a base delle due decisioni, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. 10 marzo 2014, n. 5528 e successive conformi).
Né il vizio del ricorso per cassazione può essere sanato da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’art. 378 cod. proc. civ. la cui ratio è solo quella di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli (v. Cass. 23 agosto 2011, n. 17603; Cass. 18 dicembre 2014, n. 26670; Cass. 25 febbraio 2015, n. 3780; Cass. 28 novembre 2018, n. 30760).
In ogni caso non sussiste il denunciato omesso esame atteso che il fatto storico rilevante in causa (e cioè l’attività svolta dal C. in favore del S.) è stato ritualmente preso in considerazione dalla Corte territoriale in tutti i suoi profili (compresi quelli relativi alle modalità della condotta, alle giustificazioni del dipendente, alla valutazione dei capitoli di prova dedotti dal ricorrente e delle risultanze di causa) mentre le circostanze poste a fondamento del rilievo (e cioè l’aver agito il C. in ottemperanza dello stesso dovere di fedeltà che si asseriva essere stato dallo stesso trasgredito, l’aver egli stesso denunciato le irregolarità di natura fiscale in relazione alle vicende della società B. A. S.p.A. ed in particolare l’aver presentato una denuncia penale avente ad oggetto la iriconducibilità della condotta posta in essere dall’Agenzia delle Entrate di Arona – che avrebbe vanificato gli effetti del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza – alla fattispecie penale di cui all’art. 323 cod. pen., l’aver sempre il C. presentato un esposto nei confronti di un componente della commissione Ufficio procedimenti disciplinari) non attengono al fatto storico rilevante in causa ma alla valutazione del materiale istruttorio (v. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
In ogni caso la censura suggerisce esclusivamente una rivisitazione del materiale istruttorio affinché se ne fornisca una valutazione diversa da quella accolta dalla sentenza impugnata. Ma non può il ricorso per cassazione enucleare un vizio rilevante a termini del nuovo art. 360, n. 5, cod. proc. civ. dal mero confronto tra le risultanze di causa, vale a dire attraverso un’operazione che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione non consentiti in sede di legittimità (v. Cass., Sez. U., n. 8053/2014 cit.).
Si rileva, inoltre, una non consentita commistione di vizi eterogenei laddove il ricorrente inserisce nell’ambito del motivo formulato ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., e senza alcun preciso distinguo, anche una pretesa violazione dell’art. 55-bis, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 assumendo l’illegittimità del procedimento disciplinare per il fatto che la Direzione Regionale della Lombardia aveva provveduto a formulare la contestazione ben oltre il termine di venti giorni, decorrenti dall’apprensione del comportamento punibile oltre che la violazione di altre garanzie di difesa (poste che il C. si sarebbe trovato nelle condizioni di non poter presenziare al procedimento per essere in malattia). Ciò in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso e con una tecnica espositiva che impropriamente riversa sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (v. ex plurimis, Cass. 23 giugno 2017 n. 15651; Cass. 4 dicembre 2014, n. 25722; Cass. 31 gennaio 2013, n. 2299; Cass. 29 maggio 2012, n. 8551; Cass. 23 settembre 2011, n. 19443; Cass. 29 febbraio 2008, n. 5471).
Peraltro si tratta di questioni non esaminate nella sentenza impugnata né oggetto dei motivi di gravame come nella stessa riportati ed il ricorrente non indica quando ed in che termini le stesse siano state sottoposte ai giudici di merito.
3.1. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi di lavoro in relazione agli artt. 2106, 2110 e 2119 cod. civ., art. 55 bis e quater d.lgs. n. 165/2001, art. 67 c.c.n.l. Agenzie fiscali, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata per non aver rispettato i canoni della proporzionalità e della gradualità delle sanzioni. Rileva che l’infrazione contestata, ove pure ritenuta sussistente, non avrebbe giammai potuto giustificare la massima sanzione espulsiva e deduce la violazione del termine di venti giorni per la formulazione della contestazione.
Lamenta altresì che il provvedimento in questione era stato adottato durante il periodo di malattia del ricorrente e che pertanto lo stesso doveva essere considerato inefficace.
Infine censura la sentenza impugnata per aver escluso la violazione del principio di parità di trattamento e di non discriminazione e richiama vicende relative ad altri dipendenti descritte “anche nella nota difensiva, qui integralmente allegata con relative ricevute di presentazione, inviata al Ministero dell’Economa e delle Finanze Perof. Per Carlo Padoan in data 22/4/2016 e trasmessa per conoscenza anche al Direttore Generale dell’Agenzia delle Entrate dott.ssa R. O.”.
3.2. Il motivo è infondato.
Pur a fronte di denunciate violazioni di legge il motivo, senza enucleare in modo chiaro un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, delle fattispecie astratte recate dalle varie norme di legge denunciate, tale da implicare necessariamente un problema interpretativo delle stesse, si risolve nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e cioè in una operazione esterna all’esatta interpretazione della norma e Inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità.
La Corte territoriale ha verificato la fondatezza degli addebiti sulla base di una compiuta ricostruzione degli atti di causa e, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ha anche tenuto conto del contenzioso sorto con l’Agenzia delle Entrate ritenendo però che le affermazioni contenute nella missiva sottoscritta dallo stesso C. (e l’esplicito riferimento ad un incarico di natura professionale, a numerosissime riunioni con il legale rappresentante della società B. A. S.p.A. e presso la sede di quest’ultima, a compensi percepiti a titolo di acconto ed ancora da percepire), fossero più genuine in quanto antecedenti rispetto a tale contenzioso.
Quanto all’imputabilità della somma di euro 5.000,00 ricevuta dal C. a titolo di rimorso spese ha rilevato la totale mancanza di documentazione giustificativa.
Quanto alle dichiarazioni rese dal S. ha sottolineato che quest’ultimo aveva riferito di aver ricevuto dal C. un’intimazione di pagamento, tramite legale, per l’assistenza fornita e che pertanto aveva un chiaro interesse a sostenere l’insussistenza di una consulenza tributaria.
A fronte di tale ricostruzione non assume alcuna rilevanza (al fine di qualificare come ritorsivo il provvedimento adottato) la segnalazione alle varie autorità del C. di illeciti appresi dal medesimo, come sembra, proprio mentre stava svolgendo l’indicata attività professionale non consentita (il che rende altresì irrilevanti anche i rilievi concernenti l’articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, norma peraltro neppure applicabile ratione temporis).
Nello specifico è palese la violazione degli obblighi di cui alle norme contestate al dipendente e risulta correttamente formulato il giudizio di proporzionalità ai sensi dell’art. 67 c.c.n.l. in relazione alla gravità della mancanza e in conformità di quanto previsto dall’art. 54 della Cost., dall’art. 53 del d.lgs. n.165/2001, all’art. 4 del d.P.R. n. 18/2002 avendo la Corte territoriale considerato tutti gli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, alla portata soggettiva dei fatti stessi in rapporto ai delicati compiti svolti dal dipendente.
Va, infatti, tenuto conto di quello che deve essere l’agire del personale delle Agenzie fiscali ispirato ai principi di fedeltà, trasparenza, imparzialità trasfusi anche nella disposizione di cui all’art. 65 del c.c.n.l. che contempla il dovere del lavoratore di conformare la sua condotta al dovere costituzionale “di servire la Repubblica con impegno e responsabilità e di rispettare i principi di buon andamento e imparzialità dell’attività amministrativa, anteponendo il rispetto della legge e l’interesse pubblico agli interessi privati propri ed altrui” (si veda, per quanto di interesse, nel presente giudizio il comma 3 della richiamata disposizione pattizia che alla lett. a) prevede l’obbligo di collaborare con diligenza, osservando le norme del presente contratto, le disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dall’Agenzia, anche in relazione alle norme in materia di sicurezza e di ambiente di lavoro, alla lett. c) quello di non utilizzare a fini privati le informazioni di cui disponga per ragioni d’ufficio).
Inoltre l’art. 67 del medesimo c.c.n.l. con norma di chiusura (comma 7) dispone che le mancanze non espressamente previste nei commi da 2 a 6 sono comunque sanzionate secondo i criteri di cui al comma 1, facendosi riferimento, quanto all’individuazione dei fatti sanzionabili, proprio agli obblighi dei lavoratori di cui al sopra citato art. 65 e quanto al tipo e alla misura delle sanzioni, ai principi desumibili dai commi precedenti.
Anche con riferimento a questo profilo, attraverso la denuncia del vizio di violazione e di erronea applicazione del contratto collettivo, le prospettazioni difensive sviluppate nel motivo in esame sollecitano, senza censurare in maniera idonea la ricostruzione della condotta posta a base del licenziamento, una generica rivisitazione del giudizio di gravità e di proporzionalità, non consentita in sede di legittimità (v. ex multis Cass. 23 novembre 2016, n. 23862; Cass. 15 aprile 2016, n. 7568; Cass. 11 febbraio 2015, n. 2692, Cass. 3 dicembre 2014, n. 25608; Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095) laddove la Corte territoriale, sulla scorta degli elementi acquisiti al giudizio di merito, ha in modo congruo e logico motivato in ordine alla incompatibilità del comportamento addebitato con la prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica Amministrazione stante la particolare gravità dello stesso (violazione ‘plateale e macroscopicà degli obblighi contrattuali e regolamentari imposti al pubblico dipendente).
Come già evidenziato con riguardo al motivo che precede è, poi, del tutto nuova (in quanto non trattata nella sentenza impugnata) la questione dell’inefficacia del licenziamento perché intimato durante il periodo di malattia.
I rilievi infine non intercettano il decisum sulla genericità della dedotta violazione del principio di parità di trattamento (peraltro il riferimento del ricorrente a circostanze illustrate in ‘notè difensive conferma che nulla fosse stato dedotto in sede di ricorso di primo grado).
4. Conclusivamente il ricorso va rigettato.
5. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
6. Va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, co. 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
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