CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 dicembre 2020, n. 29501
Tributi – Operazione di fusione inversa – Riporto in diminuzione delle perdite fiscali della società incorporata – Condizioni – Requisiti – Art. 172, co. 7 del TUIR – Interpello disapplicativo – Impugnabilità del diniego
Fatti di causa
All’esito di un’operazione di fusione per incorporazione realizzata nell’ambito di un più complesso programma di ristrutturazione del gruppo industriale B., la B.R. S.p.A. (già denominata B.R. & Figlio S.p.A.), società incorporante, formulava, ai sensi dell’art. 37-bis, ottavo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, istanza di interpello per la disapplicazione della norma (l’art. 172, settimo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) disciplinante il riporto in diminuzione delle perdite fiscali della società incorporata B.F. S.p.A..
Avverso il diniego emesso dalla Direzione Regionale dell’Emilia Romagna dell’Agenzia delle Entrate, la B.R. S.p.A. adiva gli organi di giurisdizione tributaria, con ricorso in prime cure dichiarato inammissibile e poi, in grado di appello, accolto dalla Commissione Tributaria Regionale di Bologna con sentenza n. 93 depositata il 20 dicembre 2012.
Ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, l’Agenzia delle Entrate; resiste, con controricorso illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ., la B.R. S.p.A..
Il P.G. ha depositato requisitoria scritta in forma di memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, per violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art. 100 cod. proc. civ., si assume la non impugnabilità in sede giurisdizionale del diniego a interpello disapplicativo, siccome atto di natura non provvedimentale e non immediatamente lesivo della sfera giuridica del contribuente.
La censura è destituita di fondamento.
Le argomentazioni svolte da parte ricorrente – in maniera pure articolata e diffusa – risultano ampiamente contrastate dall’oramai consolidato indirizzo ermeneutico del giudice della nomofilachia, al quale il Collegio intende dare convinta continuità, secondo cui il diniego di disapplicazione ex art. 37-bis, ottavo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, seppur non ricompreso tra quelli menzionati dall’art. 19 della legge regolatrice del processo tributario, è atto che il contribuente ha la facoltà (non l’onere) di impugnare, in quanto integrante un provvedimento definitivo con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche.
E ciò in linea con una concezione della tassatività dell’elencazione contenuta nell’art. 19 come riferita non alla nominativa menzione degli atti impugnabili bensì alla individuazione di categorie tipologiche di astratta riconducibilità degli stessi, con la conseguente praticabilità dei rimedi giurisdizionali avverso atti atipici produttivi di immediati effetti lesivi nella sfera giuridica del contribuente, in ultima analisi rispondente alle esigenze, costituzionalmente garantite, della più adeguata e compiuta tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e del buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.).
Sicché del tutto correttamente la Corte territoriale ha riconosciuto l’interesse della società istante, qualificato e rilevante ai sensi dell’art. 100 cod. proc. civ., ad insorgere contro la risposta all’interpello, atto che non era meramente consultivo, ma aveva una sua lesività, siccome incidente sulla condotta del richiedente, segnatamente sulle dichiarazioni reddituali della società esito della fusione, in relazione alle quali l’istanza era stata inoltrata (con specifico riferimento a dinieghi su interpelli disapplicativi di norme antielusione, vedi Cass. 21/01/2020, n. 1230; Cass. 11/12/2019, n. 32425; Cass. 11/07/2019, n. 18604; Cass. 20/12/2018, n. 32962; Cass. 15/02/2018, n. 3775; Cass. 06/10/2017, n. 23469; Cass. 05/10/2012, n. 17010).
2. Con il secondo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 37-bis, ottavo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 172, settimo comma, del d.P.R. n. 917 del 1986.
Deduce, in particolare, il ricorrente che: (i) la citata norma del T.U.I.R. condiziona il diritto al riporto delle perdite della società interessate alla fusione, limitato in ordine all’an (postulando il rispetto di determinati parametri di vitalità) e al quantum (circoscrivendone l’entità sulla base di un confronto tra l’ammontare del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio e l’ammontare delle perdite riportabili ex art. 84 T.U.I.R.); (ii) la disapplicazione di essa (invocata alla stregua della regola generale dell’art. 37-bis, ottavo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973) richiede la concreta dimostrazione, da parte del contribuente, che nella fattispecie concreta non possano realizzarsi gli effetti elusivi che l’art. 172 mira a contrastare, cioè a dire che l’operazione di fusione inversa sia giustificata da valide ragioni economiche e non sia invece posta in essere al fine (esclusivo o prevalente) di consentire all’incorporante di riportare in diminuzione le ingenti perdite conseguite dall’incorporata; (iii) la C.T.R., con affermazioni astratte e generiche, non ha individuato ed indicato l’esistenza di valide ragioni economiche alla base della fusione, omettendo così di verificare l’assolvimento dell’onere della prova sull’assenza di effetti elusivi ad opera del contribuente.
Con il terzo motivo, sulla scorta dei medesimi argomenti ora sinteticamente riportati, si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo e controverso, costituito, per l’appunto, dai presupposti per la disapplicazione dell’art. 172 T.U.I.R., la cui sussistenza risulta non valutata dalla sentenza gravata, viziata, sotto tale profilo, da una motivazione meramente apparente.
2.1. Le illustrate doglianze sono meritevoli di vaglio congiunto, siccome – al di là del non vincolante richiamo alla fattispecie di cui al num. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. – si concretano, al fondo, nella denuncia di un inficiante deficit argomentativo della pronuncia gravata, imputandosi al giudice del merito una mancata disamina concreta delle circostanze fattuali sottese all’operazione di fusione societaria, dirimenti per apprezzare la legittimità della istanza disapplicativa oggetto del contendere.
Esse sono fondate.
Nel tratteggiare l’esatta conformazione del vizio motivazionale rilevante in sede di legittimità all’esito della novella operata dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito nella I. 7 agosto 2012, n. 134), questa Corte ha chiarito che l’omesso esame deducibile come motivo di ricorso deve investire un vero e proprio «fatto» – ovvero uno specifico accadimento o una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (con esclusione quindi di deduzioni o istanze difensive, questioni interpretative ed elementi istruttori in quanto tali) – controverso nei gradi di merito («oggetto di discussione tra le parti») ed a carattere «decisivo», cioè a dire idoneo, qualora preso in considerazione, a determinare un esito della lite diverso e favorevole al ricorrente (difettando altrimenti l’interesse alla proposizione dell’impugnazione).
2.2. Ciò premesso, muovendo alla vicenda oggetto di causa, deve osservarsi come la fusione, in quanto fenomeno relativo non alla gestione bensì all’organizzazione patrimoniale e societaria dei soggetti d’imposta, è operazione fiscalmente «neutra»: non comportando infatti realizzo o distribuzione di plusvalenze o minusvalenza, tale operazione non genera maggiori redditi imponibili né, all’inverso, perdite deducibili.
In virtù del principio di simmetria fiscale (nella sua accezione di continuità dei valori fiscalmente riconosciuti ai beni facenti parte del patrimonio dell’impresa risultante dall’operazione straordinaria, nel quale vanno immesse attività e passività dell’ente incorporato), la società incorporante ha diritto all’utilizzazione delle perdite fiscali pregresse della società incorporata, da portare in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporazione.
Si tratta di un diritto non incondizionato: il T.U.I.R. sancisce infatti (con la norma generale dell’art. 84, riferita a tutte le operazioni societarie a carattere straordinario, e con quella specifica dell’art. 172, settimo comma, concernente la peculiare vicenda della fusione) chiare limitazioni alla riportabilità delle perdite fiscali, tutte ispirate alla finalità antielusiva di disincentivare operazioni straordinarie su enti societari con rilevanti perdite e di fatto non operative (definiti con la icastica espressione di «bare fiscali»), evitare cioè che la fusione venga realizzata al solo scopo di consentire alla incorporante di «assorbire» le perdite della incorporata, conseguendo in tal modo un indebito beneficio fiscale.
Più in dettaglio, come condivisibilmente puntualizzato da Cass. 17/07/2019, n. 19222, in tema d’imposte sui redditi, in caso di fusione di società, l’art. 123, quinto comma (ora 172, settimo comma), del d.P.R. n. 917 del 1986, al fine di evitare la fusione di «scatole vuote», ormai prive di concreta operatività, a fini elusivi, subordina il diritto della incorporante di utilizzazione delle perdite fiscali pregresse della società incorporata a specifici requisiti, prevedendo che: a) nell’esercizio anteriore alla delibera di fusione risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente e relativi contributi superiore al 40% rispetto alla media dei due periodi di imposta immediatamente precedenti; b) le perdite conseguite dalle società partecipanti alla fusione sono riportabili nel limite del patrimonio netto delle stesse, senza tener conto dei versamenti effettuati dai soci nei ventiquattro mesi precedenti la situazione patrimoniale di riferimento; c) in caso di fusioni con annullamento, allorché la società incorporante abbia svalutato la partecipazione dell’incorporanda, le perdite anteriori della incorporata sono deducibili fino a concorrenza dell’ammontare complessivo della svalutazione delle azioni o delle quote, avendo le perdite pregresse già trovato riconoscimento fiscale con la suddetta svalutazione.
2.3. Il thema decidendum devoluto ai giudici di merito per effetto dell’impugnativa del diniego proposta dall’odierna resistente risiedeva dunque in questo: la verifica degli elementi, delle circostanze, dei requisiti fattuali (nei termini dedotti dal soggetto istante in disapplicazione, gravato della relativa allegazione ed asseverazione) integranti ragioni economiche valide ed idonee (quali, ad esempio, il possesso della controllata di particolari autorizzazioni o iscrizioni ad albi difficilmente conseguibili), a giustificare un’operazione di fusione inversa con accollo di ingenti perdite dell’incorporata.
Siffatta verifica risulta del tutto mancante nella sentenza gravata, la cui motivazione (compendiata nel seguente periodo: «Nella fattispecie, la fusione, nell’ambito del gruppo industriale B., trova fondamento in valide ragioni economiche, provenienti da una razionalizzazione societaria, volto a conseguire uno snellimento del processo decisionale ed una riduzione dei costi di struttura») si limita ad asserti anapodittici, astrattamente idonei ad attagliarsi ad ogni ipotesi di fusione societaria, senza farsi carico del vaglio di alcun elemento fattuale riferito alla concreta vicenda litigiosa.
3. In conclusione: rigettato il primo motivo, accolti il secondo ed il terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale di Bologna, in diversa composizione, cui è demandata anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo ed il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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