CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 luglio 2018, n. 19634
Licenziamento – Frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti collegati sul piano economico-funzionale – Prova – Obblighi inerenti al rapporto di lavoro subordinato
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 1186/2015, depositata il 12 ottobre 2015, la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza di primo grado, nella parte in cui il Tribunale di Palermo, dichiarato inefficace il licenziamento intimato ad A. M. dalla soc. coop. a r.l. SDI G. S., aveva tuttavia respinto la domanda della ricorrente volta ad estendere ad altre società, appartenenti al medesimo gruppo di imprese, la pronuncia di condanna alla reintegrazione e al pagamento delle retribuzioni dalla data del recesso.
2. La Corte territoriale rilevava, a sostegno della decisione, come l’appellante non avesse fornito prova sufficiente della riferibilità del rapporto a soggetti diversi dal formale datore di lavoro e, in particolare, come dalla documentazione prodotta non emergesse il preordinato frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti collegati sul piano economico-funzionale.
3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la lavoratrice con quattro motivi.
4. Le società sono rimaste intimate.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2359 cod. civ., la ricorrente lamenta l’omesso esame di vari documenti, che, ove presi in considerazione dalla Corte, avrebbero fornito elementi per ritenere l’influenza notevole di una società sulle altre e, pertanto, un collegamento fra le stesse.
2. Con i restanti motivi la ricorrente deduce nuovamente il vizio di cui all’art. 360 n. 3: quanto al secondo, per violazione e mancata applicazione degli artt. 115, comma 1°, e 416, comma 3°, cod. proc. civ., sul rilievo che le difese delle controparti si erano limitate ad una generica contestazione delle domande senza prendere posizione in maniera specifica sul thema decidendurrr, quanto al terzo, per violazione e mancata applicazione dell’art. 614 bis cod. proc. civ., avendo la Corte di appello erroneamente escluso l’applicabilità di tale norma ai rapporti di lavoro; con riferimento, infine, al quarto, per violazione e mancata applicazione dell’art. 10 d.lgs. n. 252/2005 e dell’art. 84 I. n. 296/2006, avendo la Corte di appello erroneamente rilevato l’omessa allegazione della fonte che renderebbe dovuti i versamenti ai fondi pensione, nonostante le fosse stato semplicemente richiesto di applicare le norme di legge in materia.
3. Il primo motivo è inammissibile.
4. Al riguardo si deve, in primo luogo, rilevare che il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena di inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione – come nella specie – delle disposizioni che si assumono violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte di legittimità di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione: cfr., fra le molte, Cass. n. 16038/2013 (ord.).
5. D’altra parte, nell’esame della fattispecie portata alla sua cognizione, la Corte di appello si è attenuta al principio di diritto (cfr. sentenza impugnata, p. 3), per il quale il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è, di per sé solo, sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all’altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Tale situazione ricorre ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico-funzionale e ciò venga rivelato dai seguenti requisiti: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 19023/2017).
6. Il motivo in esame è da ritenere inammissibile anche sotto altri profili e cioè in quanto, sostanziandosi, al di là dello schermo della denuncia di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in una censura di ordine motivazionale all’accertamento in fatto compiuto dalla Corte di merito, risulta precluso ai sensi della disposizione di cui all’art. 348 ter, ultimo comma, cod. proc. civ. (c.d. “doppia conforme”), a fronte di giudizio di appello (R.G. n. 1829/2013) introdotto con ricorso depositato in epoca successiva all’1 settembre 2012; ed inoltre per non essersi conformato al principio, in forza del quale il ricorrente per cassazione, che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., l’onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, non solo di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, ma anche di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (cfr., fra le molte, Cass. n. 26174/2014).
7. Egualmente inammissibile risulta il secondo motivo, con il quale non viene, in realtà, mossa alcuna censura alla sentenza impugnata ma esclusivamente proposta una difesa di merito.
8. Il terzo motivo è palesemente infondato, posto che – come esattamente osservato dalla Corte territoriale – l’art. 614 bis cod. proc. civ., in tema di attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare, non trova applicazione, per espressa previsione normativa, alle controversie di lavoro subordinato.
9. Quanto, infine, al quarto motivo, se ne deve rilevare l’inammissibilità, limitandosi con lo stesso la ricorrente a censurare una parte soltanto della motivazione della sentenza (e cioè l’affermazione per la quale non risulta allegata la fonte che dovrebbe giustificare la condanna a versamenti nei fondi pensione) ma non anche quella parte della stessa motivazione, peraltro dotata di autonoma valenza decisoria, in cui la Corte ha rilevato come “gli effetti previdenziali della pronuncia sono impliciti nella declaratoria di inefficacia del recesso”; e fermo restando il difetto di deduzione del motivo in esame, che non specifica se, dove e in quali esatti termini la questione, che ne forma oggetto, sia stata riproposta al giudice di appello.
10. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
11. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, le controparti essendo rimaste intimate.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.