CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 luglio 2019, n. 19981
Dogane – Dazi – Domanda di sgravio – Codice Doganale Comunitario – Avviso di tassazione-invito di pagamento – Ricorso per cassazione
Fatti di causa
1. Il contribuente ricorre, con sette motivi, per la cassazione della sentenza (indicata in epigrafe) di accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli («A.D.») avverso la sentenza n. 42/01/2014 emessa dalla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano. Quest’ultima, a sua volta, aveva accolto l’impugnazione proposta avverso il provvedimento negativo (del 27 novembre 2009) in merito alla domanda di sgravio dei dazi proposta (il 18 settembre 2009) ex art. 239 del Codice Doganale Comunitario (Reg. CEE 12 ottobre 1992 n. 2913/1992 del Consiglio, di seguito anche: «C.D.C.»).
2. Dalla sentenza impugnata oltre che dagli atti di parte emerge quanto segue circa i fatti di causa.
2.1. Con avviso di tassazione-invito di pagamento il ricevitore della dogana di Brennero, l’8 febbraio 1977, chiese (anche) al contribuente (spedizioniere) il pagamento di diritti doganali relativi a trasporti di carne bovina, eseguiti tra il novembre del 1974 ed il giugno del 1975 (contabilizzazione dei dazi avvenuta nel 1977 mediante l’iscrizione nel registro dei crediti).
Trattavasi di trasporti iniziati in regime di transito comunitario esterno (T2) presso la dogana di Spieldfield (Austria) che non avevano raggiunto la dogana di destinazione (Chiasso) essendo state le relative merci immesse al consumo in Italia fraudolentemente, in particolare anche mediante una falsa rappresentazione di un transito comunitario interno (Tl) al fine di eludere il pagamento dei diritti doganali.
2.2. Il contribuente impugnò l’avviso di tassazione ma con esito negativo, segnato, in ultimo, dal rigetto del ricorso in cassazione ad opera di Cass. sez. 1, 07/10/1993, n. 9935, Rv. 483885-01. Per essa, in particolare con riguardo a carne bovina in transito extracomunitario, l’introduzione in Italia con documenti falsi emessi da funzionari doganali (nella specie, mediante la sostituzione del documento Tl, relativo al transito extracomunitario, con il mod. T2, relativo al transito intracomunitario) non esonera lo spedizioniere (estraneo ai fatti commessi dai detti funzionari in concorso con terzi) da responsabilità in ordine al pagamento dei tributi dovuti, non ricorrendo un’ipotesi di distruzione della merce per causa di forza maggiore e derivando la responsabilità dello spedizioniere dal mancato rispetto, per la parte a lui incombente, della regolarità del transito comunitario, per non avere egli presentato alla dogana di destinazione la merce ed i documenti (modello Tl) rilasciati dalla dogana di partenza.
2.3. Nelle more del giudizio di merito di cui innanzi furono iscritti a ruolo i relativi carichi tributari (ex art. 130 d.P.R. n. 43 del 1988) con emissione della relativa cartella, impugnati anche dall’attuale ricorrente con esito negativo, segnato, in ultimo, da Cass. sez. 5, 28/05/2008, n. 13889, Rv. 603964-01. Questa Corte, difatti, decidendo nel merito, rigettò l’appello proposto dalla società ricorrente anche in forza del giudicato formatosi in ragione della citata Cass. sez. 1, n. 9935 del 1993 in merito agli aspetti oggettivi e soggettivi dei sottesi avvisi (il cui relativo ricorso per revocazione fu dichiarato inammissibile da Cass. sez. 5, 02/07/2010, n. 15742).
Questa Corte, con la detta sentenza n. 13889 del 2008 chiari altresì che in materia di tributi doganali, l’invito al pagamento, emesso ai sensi dell’art. 93 del regolamento doganale approvato con il r.d. 13 febbraio 1865, n. 65, che secondo l’originaria previsione precede l’atto di ingiunzione, anche dopo il venir meno in quest’ultima, in forza dell’art. 130 del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, della funzione di precetto e di titolo esecutivo azionabile in forme diverse dalla procedura di riscossione a mezzo ruolo tramite il concessionario, rappresenta l’atto attraverso il quale l’Amministrazione mette in mora il contribuente, rendendolo edotto della maggior pretesa avanzata nei suoi confronti ed invitandolo ad assolvere il proprio debito, pena l’avvio della procedura esecutiva. L’art. 67, comma 2, del medesimo d.P.R., n. 43, prevede infatti che, scaduti infruttuosamente i termini di pagamento delle somme indicate in tale avviso, si procede alla formazione del ruolo, il quale costituisce titolo esecutivo, sostituendosi in tale natura alla precedente ingiunzione, in armonia con quanto stabilito dall’art. 49 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che lo indica quale strumento di legittimazione del concessionario per procedere all’esecuzione forzata ai fini della riscossione delle somme insolute (in senso conforme anche la successiva Cass. sez. 5, 30/06/2010, n. 15548, Rv. 613824- 01; in merito si vedano, altresì: Cass. sez. 5, 10/09/09, n. 19540, Rv. 609749-01, e Cass. sez. 5, 13/01/2013, n. 20947, Rv. 628457- 01).
2.4. Il successivo 19 settembre 2009 l’A.D. chiese il pagamento del debito erariale, oltre interessi, ed il 18 settembre del 2009 il contribuente presentò presso l’Amministrazione domanda di sgravio ex art. 239 C.D.C.
Il 27 novembre 2009, in particolare, l’A.D. comunicò al contribuente (secondo quanto trascritto nel ricorso) «l’impossibilità di prendere in esame la domanda di sgravio», che «l’obbligazione era sorta tra il novembre 1974 e il giugno 1975 e che la contabilizzazione dei dazi era avvenuta nel 1977 con l’iscrizione nel registro dei crediti Z/27 e quindi in un periodo in cui vi era assenza di specifica normativa comunitaria e nazionale».
3. Il Giudizio di primo grado (riassunto all’esito di annullamento della sentenza) culminò nell’accoglimento dell’impugnazione proposta dal contribuente avverso il provvedimento negativo (del 27 novembre 2009) emesso in merito alla domanda di sgravio in oggetto.
4. La Commissione di secondo grado, invece, con la sentenza oggetto di attuale impugnazione, accolse l’appello proposto dell’Amministrazione avverso la detta statuizione in ragione della proposizione della domanda di sgravio (il 19 settembre 2009) dopo la decorrenza del termine di dodici mesi, di cui all’art. 239 C.D.C., decorrenti dalla sentenza emessa da Cass. sez 1, n. 9935 del 1993, che aveva reso definitivo l’avviso di tassazione comunicato al contribuente nel 1977 (confermandone Van ed il quantum debeatur).
La successiva sentenza emessa da Cass. sez. 5, n. 13889 del 2008 28/05/2008, invece, sempre per quanto statuito dal Giudice d’appello, rigettando il ricorso introduttivo del contribuente aveva definito il processo avente ad oggetto il ruolo e la conseguente cartella, peraltro anche in ragione del giudicato formatosi sull’an e sul quantum in forza delle citata sentenza del 1993.
Ne conseguì anche la ritenuta ¡Rilevanza della pendenza, alla data della domanda di sgravio, del ricorso per revocazione della citata sentenza del 2008, trattandosi di contenzioso avente ad oggetto solo questioni procedurali inerenti ruolo e cartella.
Ai fini del preteso spostamento in avanti del dies a quo del termine di cui all’art. 239 C.D.C., fu altresì ritenuta irrilevante la missiva del 19 settembre 2008, sostanziandosi essa in una comunicazione dell’importo totale dovuto al fisco, compresi gli interessi maturati per interessi. Parimenti, furono ritenuti insussistenti, anche a distanza di innumerevoli anni dalla sentenza del 1993, casi eccezionali (che, peraltro, il contribuente avrebbe dovuto debitamente giustificare) tali da legittimare l’Autorità doganale ad autorizzare (in forza di potere discrezionale) il superamento del termine di cui innanzi (come previsto dall’art. 239, par. 2, comma 2, C.D.C.).
La Commissione di secondo grado, infine, rigettò esplicitamente l’eccezione dell’appellato avente ad oggetto la pretesa inammissibilità della censura mossa alla sentenza di primo grado con riferimento al requisito temporale di cui innanzi, fondata suN’asserita sua prospetttazione per la prima volta in appello. Dall’impugnato provvedimento dell’Amministrazione finanziaria – precisò in particolare il Giudice di merito – risultò «chiaramente che la stessa, negando l’inoltro della domanda di sgravio alla Commissione europea, si» fosse «richiamata alla comunicazione del 1977, divenuta poi definitiva con il passare in giudicato della sentenza» n. 9935 del 1993 emessa da questa Corte.
5. Contro la sentenza d’appello il contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, mentre il M.E.F. e l’A.D. resistono con controricorso, con il quale prospettano l’inammissibilità e l’infondatezza dei motivi di ricorso.
Il ricorrente, con atto depositato il successivo 8 marzo 2019, chiede a questa Corte voler provvedere alla «interruzione del processo ai sensi degli artt. 300 c.p.c. e 43 l.fall. », evidenziando il fallimento della società contribuente (dichiarato dal Tribunale di Salisburgo il 28 giugno 2017) nonché la successiva cancellazione dal registro delle imprese di Salisburgo (del 27 febbraio 2018), allegando relativa documentazione non tradotta in italiano.
In sede di discussione le parti concludono come riportato in epigrafe.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente, in merito all’interruzione del processo dedotta dal ricorrente occorre rilevare che tale istituto, anche per l’ipotesi di dichiarazione di fallimento di una delle parti, non opera con riferimento al processo in cassazione, posto che in quest’ultimo rileva il principio dell’impulso d’ufficio e non trovano, pertanto, applicazione i comuni eventi interruttivi del processo contemplati in via generale dalla legge (ex plurimis, limitando i riferimenti solo alle più recenti: Cass. sez. 1, 19/09/2019, n. 22206, in motivazione; Cass. sez. 1, 20/03/2017, ri. 7477, Rv. 645844-01).
2. Il ricorso non merita accoglimento.
3. I motivi I e II sono trattati in maniera congiunta, in ragione della connessione dei relativi oggetti.
3.1. Con il motivo I del ricorso, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, si deduce «la nullità del procedimento … in relazione alla violazione degli artt. 7, I. n. 212/2000, 3 I. n. 241/1990, 57, comma 1, d.lgs. n. 546/1992».
Nonostante la tecnica redazionale del motivo in esame (oltre che della sua rubrica), in sostanza, ci si duole della circostanza per la quale la Commissione di secondo grado avrebbe accolto l’eccezione dell’Amministrazione, inerente l’inutile decorso del termine di cui art. 239 C.D.C., nonostante prospettata per la prima volta in appello. L’assunto mancato riferimento al decorso del detto termine da parte del provvedimento negativo emesso dall’Amministrazione, in merito alla domanda di sgravio, in particolare si porrebbe a fondamento dell’illegittimità dell’atto per difetto di motivazione.
Con il motivo II, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, si deduce la «nullità del procedimento … in relazione alla violazione degli artt. 23, 56 e 57, comma 1, d.lgs. n. 546/1992».
Nonostante la tecnica redazionale del motivo in esame (oltre che della sua rubrica), in sostanza, ci si duole della circostanza per la quale in primo grado l’Amministrazione, con la memoria del 31 gennaio 2004, aveva prospettato per la prima volta l’inutile decorso del termine di cui all’art. 239 C.D.C.
3.2. I motivi in esame sono infondati, oltre che inammissibili.
In primo luogo, in forza di consolidato principio sancito da questa Corte, dal quale non vi è motivo di discostarsi, la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche Giudice del fatto (processuale), potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo. Esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, dunque, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (ex plurimis: Cass. sez. 5, 01/02/2019, n. 3064, in motivazione; Cass. sez. 3, 13/03/2018, n. 6014, Rv. 648411-01; Cass. sez. 5, 20/07/2012, n. 12664, Rv. 623401-01; Cass. sez. 2, 16/02/2018, n. 647804-01).
Sicché, ove si deduca un’omessa pronuncia, ai fini del preliminare esame di ammissibilità del motivo, il ricorrente ha l’onere di riprodurre gli atti del giudizio di merito nei loro passaggi essenziali alla decisione, cioè nella misura necessaria ad evidenziare l’effettiva domanda (o eccezione) proposta, oltre che di precisare l’esatta collocazione degli stessi nel fascicolo d’ufficio, al fine di renderne possibile l’esame nel giudizio di legittimità, non potendo limitarsi ad un rinvio ad essi.
Nella specie il ricorrente non ha assolto all’onere di cui innanzi, non riproducendo l’atto di costituzione dell’Amministrazione nel giudizio di primo grado, nella parte essenziale al fine di evidenziare l’effettivo motivo di gravame proposto.
A quanto innanzi, deve aggiungersi, che nello stesso ricorso si sostiene (nel motivo n. I) che si tratterebbe di eccezione nuova dedotta per la prima volta in appello ed allo stesso tempo (nel motivo II) che l’Amministrazione l’avrebbe dedotta per la prima volta in primo grado e con la memoria del 31 gennaio 2014 (pag. 20 e 21 ricorso).
Con il motivo I, altresì, si prospetta una nullità per error in procedendo ma in realtà si intende far valere, per la prima volta in cassazione, una questione nuova (peraltro non esplicitante un tale errore) mai proposta in fase di merito, in particolare la pretesa nullità del provvedimento per difetto di motivazione.
Parimenti, con il motivo II si prospetta un error in procedendo che, sempre a dire del ricorrente, inerirebbe il giudizio di primo grado, senza fare alcun riferimento ad un errore relativo al giudizio di secondo grado né deducendo di averlo prospettato (quello di primo grado) in appello;
Con il motivo I, infine, si deduce una nullità della sentenza per error in procedendo laddove invece il Giudice di merito ha pronunciato, escludendola, in merito all’eccezione del contribuente avente ad oggetto l’assunta novità dell’eccezione dall’A.D.
Da tale ultima argomentazione discende anche l’infondatezza delle doglianze.
La Commissione di secondo ha difatti rigettato esplicitamente l’eccezione dell’appellato avente ad oggetto la pretesa inammissibilità della censura mossa alla sentenza di primo grado con riferimento al requisito temporale in esame, fondata sull’asserita sua prospetttazione per la prima volta in appello. Dall’impugnato provvedimento dell’Amministrazione finanziaria – ha precisato in particolare il Giudice di merito – è difatti risultato «chiaramente che la stessa, negando l’inoltro della domanda di sgravio alla Commissione europea, si» fosse «richiamata alla comunicazione del 1977, divenuta poi definitiva con il passare in giudicato della sentenza» n. 9935 del 1993 emessa da questa Corte.
In ogni caso, anche qualora fosse effettivamente avvenuto quanto evidenziato dal ricorrente (nonostante la detta motivazione della Commissione di secondo grado), le censure sarebbero infondate:
Nell’ipotesi in cui la questione fosse stata sollevata, come riferisce la stessa ricorrente, solo in sede di memoria in primo grado o, come riferisce la stessa ricorrente, solo con l’appello, la relativa valutazione non sarebbe stata preclusa ai Giudici appello per la sua novità e non lo è adesso. I principi di effettività e di non discriminazione comportano l’obbligo di applicare, anche d’ufficio, le norme di diritto comunitario nella loro interezza, anche attraverso la disapplicazione del diritto nazionale che sia con quelle contrastante, senza che possano ostarvi preclusioni di ordine processuale, col solo limite dell’avvenuta definizione del rapporto controverso nella specie non intervenuta, essendo in contestazione la legittimità della risposta dall’Amministrazione proprio con riferimento alla richiesta di sgravio con procedura ex art. 239 C.D.C., così come avviene per le questioni di legittimità costituzionale e per lo ius superveniens (in merito si vedano, ex plurimis: Cass. sez. 5, 28/03/2003, n. 4703, Rv. 561553- 01; Cass. sez. 5, 14/07/2004, n. 13054, Rv. 574550-01; Cass. sez. 5, 01/06/2006, n. 13065, Rv. 590431-01, in motivazione; Cass. sez. 5, 14/03/2012, n. 4022, Rv. 622059-01, in motivazione; Cass. sez. 5, 02/07/2014, n. 15032, Rv. 631844-01, con specifico riferimento al giudizio di legittimità) – 4. Con il motivo III del ricorso, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, si deduce «la nullità del procedimento … in relazione alla violazione dell’art. 112 c.p.c. e 1, 2, 19 e 23 d.lgs. n. 546/1992».
4.1. Il motivo è inammissibile sotto plurimi profili.
La tecnica redazionale del motivo in esame (e non solo della sua rubrica) non consente di cogliere quali sarebbero i vizi di «ultrapetizione/extrapetizione» caratterizzanti, a detta del ricorrente, la sentenza impugnata, peraltro neanche riproducendo (ai fini della specificità ed in termini di autosufficienza) l’atto d’appello. La doglianza palesa invece l’intento di sostituire a quella del Giudice di merito una propria e diversa valutazione dei fatti oltre che dell’iter argomentativo conducente la Commissione di secondo grado all’individuazione, nella specie, del dies a quo del termine di cui all’art. 239 C.D.C.
5. Con il motivo IV del ricorso, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, si deducono «violazione e falsa applicazione di legge … in relazione agli artt. 221 e 221 C.D.C.».
Nonostante la tecnica redazionale del motivo in esame, in sostanza ci si duole dell’assunta erroneità della statuizione impugnata nell’individuazione del dias a quo relativo al termine di cui all’art. 239 C.D.C. nella data di deposito della più volte citata sentenza di questa Corte del 1993, che avrebbe reso definitivo il debito tributario del contribuente di cui all’avviso di tassazione-invito di pagamento dell’8 febbraio 1977.
Il ricorrente argomenta la censura muovendo dall’assunto per il quale ai fini della comunicazione del dazio dovuto (quale dies a quo del termine in oggetto), conformemente a quanto sarebbe statuito da Corte giust., C-201/04, Belgische Staat e Molenbergnatia (punto 54), ma con riferimento a differente fattispecie, non necessita da parte degli Stati membri l’adozione di procedure specifiche essendo invece sufficiente che si sostanzi in una «informazione adeguata del debitore» tale da consentirgli di «assicurare, con piena cognizione di causa, la difesa dei suoi diritti».
5.1. Il motivo IV è infondato, per le diverse ragioni di seguito esplicitate a correzione della motivazione della sentenza impugnata ex art. 384, comma 4, c.p.c., oltre che inammissibile non cogliendo ratio decidendi, in quanto il Giudice di merito, quanto alla comunicazione fa riferimento all’avviso del 1977 solo che sostiene che il decorso del termine inizi dalla sua definitività (che, nella specie, ricollega alla detta sentenza del 1993).
Il rimborso (o lo sgravio) dei dazi, per i motivi di cui all’art. 239 paragafro 1C.D.C. (applicabile ratione temporis), è concesso su richiesta presentata all’Ufficio doganale interessato entro dodici mesi dalla data della comunicazione dal debitore dei predetti dazi (come previsto dal successivo paragrafo 2).
Il termine di cui innanzi decorre dunque dalla comunicazione del dazio dovuto (nella specie, dall’avviso di tassazione-invito di pagamento del 1977) e non dall’eventuale definitività dell’avviso (a seguito di mancata impugnazione o di definizione dell’eventuale relativo procedimento), non necessitando da parte degli Stati membri l’adozione di procedure specifiche ed essendo invece sufficiente che la comunicazione (comprensiva dell’an e del quantum debeatur) si sostanzi in una informazione adeguata del debitore, tale cioè da consentirgli di assicurare, con piena cognizione di causa, la difesa dei suoi diritti anche mediante l’istanza in esame.
Sicché, nella specie il termine (trattandosi di dazio non ancora versato), decorre dalla data di applicabilità del C.D.C che, ex art. 253 C.D.C., coincide con il 10 gennaio 1994.
6. I motivi V, VI e VII, meritano trattazione congiunta, in ragione della connessione dei relativi oggetti.
6.1. Con il motivo V, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deducono «violazione e falsa applicazione di legge … in relazione agli artt. 82 d.P.R. 43/1972 (cosiddetto TULD), 3 r.d. 639/1910. D.P.R. n. 43/1998, 221 e 222 C.D.C», per la CTR aver ritenuta irrilevante ai fini del dies a quo la comunicazione-ingiunzione del 19 settembre 2008;
Con il motivo VI, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deducono «violazione e falsa applicazione di legge … in relazione agli artt. 1, 2 e 3 I. 241/1990», sostenendo che l’ingiunzione del 19 settembre 2008 avrebbe avuto «”natura di atto confermativo” rispetto al precedente avviso di tassazione del 1977».
Con il motivo VII, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deducono «violazione e falsa applicazione di legge … in relazione agli artt. 24, 53 e 97 Cost. nonché, art. 10 I. 212/2000: negazione dell’obbligo della PA interessata a conformarsi ai principi di collaborazione, buona fede, e affidamento».
6.2. I motivi di cui innanzi, in disparte diversi profili di inammissibilità, sono assorbiti dalla decisione relativa al motivo IV.
7. In conclusione, il ricorso è rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, in favore del contro ricorrente, che si liquidano, in virtù dei parametri ratione temporis applicabili, in complessivi euro 29.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Sussistono altresì i presupposti di cui al comma 1 quater dell’art. 13, del d.P.R. 30 maggio 2001, n. 115 (aggiunto dall’art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228) per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (ex art. 18 della medesima I. n. 228 in quanto procedimento civile di impugnazione iniziato dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata I. n. 228 del 2012, cioè a decorrere dal 31 gennaio 2013).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, relative al presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 29.000,00, oltre le spese prenotate a debito, dando atto della sussistenza dei presupposti, di cui all’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2001, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norme dal comma 1 bis dello stesso art. 13.
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