CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 luglio 2020, n. 15934
Licenziamento per ragioni inerenti all’attività produttiva – Ridimensionamento dell’organico – Ipotesi di soppressione del servizio di portierato – Indennità di preavviso – Esorbitanza della somma riconosciuta – Interpretazione delle clausole collettive in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 17 luglio 2015, la Corte d’Appello di Genova, respingendo l’appello principale della Immobiliare P. S.p.A. e quello incidentale proposto da M. C. confermava la decisione di primo grado che aveva dichiarato il diritto di quest’ultimo a percepire l’indennità di preavviso pari a dodici mensilità condannando, altresì, la società resistente al pagamento di nove mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
In particolare, il giudice di secondo grado, evidenziando che la sentenza non era stata impugnata nella parte in cui aveva ritenuto la legittimità del licenziamento intimato al C., portiere alle dipendenze della società immobiliare, per “ragioni inerenti all’attività produttiva … di fronte alla necessità di ridimensionare l’organico”, ha ritenuto infondato l’appello principale, inerente la dedotta erroneità del riconoscimento al C. di una indennità di preavviso pari a dodici mensilità sul presupposto di una sospensione soltanto temporanea del servizio di portierato, reputando, altresì, destituita di fondamento l’impugnazione del dipendente relativa alla compensazione delle spese di lite.
2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Immobiliare P. S.p.A., affidandolo a affidandolo a due motivi.
3. Resiste, con controricorso, M. C..
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di ricorso, l’Immobiliare P. S.p.A. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 119 CCNL Dipendenti da Proprietari di Fabbricati, anche in relazione alle disposizioni in tema di interpretazione del contratto di cui agli artt. da 1361 a 1372 cod. civ. per aver la Corte d’Appello riconosciuto una indennità di preavviso in misura di 12 mensilità in luogo delle 3 mensilità corrisposte dalla società.
Il motivo è infondato.
1.1. Va preliminarmente rilevato che congruamente la Corte territoriale ha escluso aver formato oggetto di impugnazione la parte della sentenza in cui è stata ritenuta la legittimità del licenziamento, al di là di generiche critiche rivolte dall’appellante incidentale allo scopo di dimostrare l’infondatezza dell’assunto concernente la mancata soppressione del servizio di portierato.
1.2. Per quanto riguarda la dedotta violazione dei canoni ermeneutici con riguardo alla ritenuta esorbitanza della somma riconosciuta a titolo di preavviso, premesso che la lamentata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, per costante giurisprudenza di legittimità (v. Cass. n. 6335 del 19 marzo 2014, nonché, negli stessi termini, Cass. n.19507 del 16 settembre 2014) è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicché, anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. cod. civ.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, nondimeno, nel caso di specie, risulta insussistente la dedotta violazione avendo la Corte congruamente applicato alla fattispecie l’art. 119 CCNL;
– con valutazione corretta, infatti, il giudice di merito ha ritenuto ricorrere una ipotesi di soppressione del servizio di portineria in ordine al quale è previsto un preavviso di 12 mesi, mentre dalla disposizione contrattuale considerata non si evince in alcun modo la necessità della “inequivocabile manifestazione” di volontà di eliminazione del servizio medesimo cui fa riferimento parte ricorrente;
– invero, quindi, contrariamente all’art. 118, che prevede, per ogni caso di risoluzione del rapporto di lavoro, che le parti siano tenute a dare un preavviso stabilito, per i lavoratori che usufruiscono dell’alloggio di servizio, nella misura di tre mesi, va affermata la corretta applicazione, da parte della Corte territoriale, dell’art. 119 CCNL, che prevede, per le ipotesi di soppressione del servizio di portierato, il riconoscimento di un preavviso di 12 mesi ma non richiede, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, l’esplicita manifestazione della volontà di sopprimere definitivamente il servizio stesso.
2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi in tema di onere della prova con riguardo agli artt. 118 e 119 CCNL. Va premesso, al riguardo che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. c.c, si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, (cfr., ex plurimis, sul punto, Cass. 23/10/2018 n. 26769).
2.1. Nel caso di specie, contrariamente a quanto assunto da parte ricorrente, la Corte ha fatto corretta applicazione degli oneri probatori in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non rinvenendosi nella comunicazione di interruzione dell’attività di portierato alcun riferimento alla persona del C. ed essendo, invece, l’interruzione del rapporto intervenuta per effetto della crisi economica in cui verteva la società, nulla deponendo nel senso di una “temporanea sospensione” dell’attività dì portierato e vertendosi, invece, nella definitiva soppressione del servizio in ragione delle esigenze economiche cui il licenziamento del C. era stato collegato.
3. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.
4. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per ciascun ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
respinge il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi euro 5000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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