CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 agosto 2020, n. 17706

Periodi di contribuzione obbligatoria, volontaria e da trasferimento – Accreditamento presso l’Inpdai – Liquidazione della pensione per l’intero periodo secondo la disciplina dell’AGO – Diritto a fruire di un trattamento pensionistico non inferiore a quello previsto dall’AGO per l’intera contribuzione

Fatti di causa

1. La Corte d’appello di Roma ha rigettato la domanda di F.M. volta ad ottenere l’accertamento del suo diritto alla ricongiunzione ex I. n 29/1979 all’Inps dei periodi di contribuzione obbligatoria, volontaria e da trasferimento ex art 5 I n 44/1973, già accreditati presso l’Inpdai ed al momento in contabilità separata presso l’Inps con conseguente diritto ad avere liquidata la pensione per l’intero periodo secondo la disciplina dell’AGO; in via subordinata l’accertamento del suo diritto a fruire di un trattamento pensionistico non inferiore a quello previsto dall’AGO per l’intera contribuzione maturata o quantomeno per la contribuzione INPS già trasferita ai sensi dell’art. 5, comma 3 citato e, infine, in via ulteriormente subordinata l’accertamento dell’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 3, L. n. 289/2002 e la rimessione della questione alla Corte Costituzionale per violazione degli art. 3 e 38 Cost.

La Corte ha rilevato, con riferimento alla clausola di salvaguardia ed al diritto del ricorrente di usufruire di un trattamento pensionistico non inferiore a quello previsto dall’AGO, che detta clausola non era più in vigore perché abrogata dal citato art. 42 che non aveva espressamente richiamato anche l’art. 3, comma 4, del dlgs n. 181/1997 (ma soltanto l’art. 3 comma 7), in base al quale l’importo del trattamento pensionistico dei dirigenti d’azienda non poteva in ogni caso essere inferiore a quello previsto dall’AGO.

La Corte ha, inoltre, osservato, con riferimento alle altre domande, che era stato lo stesso M. a richiedere, a suo tempo, la ricongiunzione di tutti i contributi ( sia quelli maturati presso l’Enpals tra il 1965 ed il 1974, sia quelli presso l’Inps dal 1977 al 1986 e dal 1993 al 1998) presso l’Inpdai; che, pertanto, non poteva richiedere un nuovo trasferimento dei medesimi contributi al fine di ottenere un trattamento pensionistico unitario in contrasto con l’art 42 citato che prevedeva l’erogazione della pensione prò rata; che, comunque , la richiesta di ricongiunzione era stata effettuata dopo il pensionamento e ,dunque, era inammissibile e che neppure poteva trovare applicazione la clausola di salvaguardia con riferimento ai contributi già trasferiti all’Inpdai ex art. 5 L n 44/1973 ,atteso che detti contributi erano ormai entrati a pieno titolo a far parte dell’anzianità contributiva maturata presso l’INPDAI,sicché erano soggetti alla disciplina di cui all’art. 42 citato e del prò rata.

La Corte ha, infine, affermato l’infondatezza dell’eccezione di incostituzionalità.

2. Avverso la sentenza ricorre il M. con 4 motivi resiste l’Inps. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Ragioni della decisione

3. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza per aver rigettato la domanda di ricongiunzione all’Inps di tutta la contribuzione , già accreditata presso l’Inpdai ed ora in contabilità separata. Lamenta che secondo la Corte d’appello era stato lo stesso M. a chiedere, dopo il pensionamento, la ricongiunzione e dunque egli non poteva chiedere un nuovo trasferimento al fine di ottenere un unico trattamento pensionistico.

Deduce che la ricongiunzione era stata chiesta prima del pensionamento e non dopo .come affermato dalla Corte; che ai sensi dell’art. 1, commi 12 e 13, L. n. 243/2004 era consentito ai lavoratori di rinunciare all’accredito dei contributi nel triennio 2004/2007; che la ricongiunzione non era preclusa dal precedente trasferimento dall’INPS all’Inpdai ai sensi dell’art. 5 L n 44/1973 dovendosi prescindere se i contributi siano stati ab origine versati presso regimi sostitutivi, ovvero presso i medesimi.

4.Il motivo è infondato.

A prescindere dalla mancata riproduzione del documento dal quale avrebbe dovuto desumersi che la domanda di ricongiunzione era stata presentata prima del pensionamento, il motivo è, comunque, infondato atteso che lo stesso ricorrente ha affermato di aver presentato la domanda di ricongiunzione nel 2008 e, dunque, dopo la soppressione dell’Inpdai e la confluenza di tutti i contributi all’Inps .

Non sussistono, pertanto, i presupposti per la ricongiunzione ex L. n. 29/1979 atteso che la posizione del M., maturata presso l’Inpdai, è stata già concentrata in base all’art 42 L. n. 289/2002 presso il FPLD INPS , a carico del quale è stata liquidata un’unica pensione. L’art. 42 citato prevede, infatti, che “Con effetto dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali (INPDAI), costituito con legge 27 dicembre 1953, n. 967, è soppresso e tutte le strutture e le funzioni sono trasferite all’INPS, che succede nei relativi rapporti attivi e passivi. Con effetto dalla medesima data sono iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti i titolari di posizioni assicurative e i titolari di trattamenti pensionistici diretti e ai superstiti presso il predetto soppresso Istituto. La suddetta iscrizione è effettuata con evidenza contabile separata nell’ambito del Fondo pensioni lavoratori dipendenti”.

Ne la ricongiunzione potrebbe essere limitata ai soli periodi di contribuzione trasferiti, a suo tempo, su richiesta del M., ad INPDAI in quanto ormai detti contributi sono stati acquisiti dall’Inpdai e non è ipotizzabile alcuna restituzione, non prevista da alcuna norma , restando soggetti integralmente alla disciplina dell’art. 42 citato.

Risulta, inoltre, inconferente il richiamo alla L. n. 243/2004 riferendosi, detta normativa, ai lavoratori, che abbiano maturato i requisiti minimi per la pensione di anzianità, di posticipare il pensionamento rinunciando all’accredito contributivo pensionistico nel periodo dal 2004 – 2007, e, comunque, non oltre il compimento dei requisiti di età per la pensione di vecchiaia, e di ottenere in busta paga la monetizzazione dell’importo dei contributi IVS (quota a carico Azienda e quota a carico lavoratore). Da questa norma, infatti, non può certo trarsi alcun principio generale applicabile ad altre fattispecie e, nel caso in esame, al fine di giustificare la richiesta del ricorrente di ottenere il riaccredito dei contributi posseduti presso la gestione FPLD Inps ,già oggetto di ricongiunzione, a domanda dello stesso ricorrente, presso la gestione INPDAI.

4. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 15 preleggi, dell’art. 3, comma 8, L. n. 297/1982; dell’art 3 , comma 2, dlgs n 503/1992; dell’art. 2, comma 1 e 3, L n 181/1997 ; dell’art 42 , commi 1 e 3, L n 289/2002.

Si duole dell’affermata inapplicabilità della clausola di salvaguardia.

Deduce che da elaborazioni effettuate la pensione percepita era inferiore a quella dell’AGO; che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, l’art. 3, comma 4, dlgs n 181/1997 non era stato abrogato dall’art 42, né era incompatibile con l’art 42; che la quota INPDAI doveva essere liquidata secondo i criteri vigenti presso l’Inpdai e che l’aumento della quota INPDAI determinava che la prestazione pensionistica nel suo complesso non potesse essere inferiore a quella prevista per l’AGO.

Censura la sentenza per aver confermato il criterio prò rata in virtù del quale la quota INPDAI è liquidata sulla base di una retribuzione media pensionabile delle ultime 260 e 520 settimane di sola iscrizione INPDAI.

Ripropone l’interpretazione dell’art 42 citato nel senso che sia applicabile solo ai dirigenti iscritti all’INPDAI alla data del 31/12/2002 , mentre egli ,a quella data, era iscritto all’INPS.

5. Il motivo è infondato.

6. Circa la clausola di salvaguardia, pur correggendo la motivazione con riferimento alla vigenza della clausola di salvaguardia richiamando quanto già affermato da questa Corte con la sentenza n. 13918/2018, va rilevato che non sembra affatto fornita ,fin dal primo grado, la prova di un trattamento meno favorevole rispetto a quello AGO, accertamento che il ricorrente assume di aver provato con i conteggi che ha riprodotto anche in questa grado.

A riguardo va rilevato che parte ricorrente non ha offerto gli elementi di fatto necessari per effettuare il giudizio comparativo, che deve aver riguardo anche alla contribuzione versata (cfr in questa senso Cass. n. 4897/2017, n. 17354/2018, n. 23573/2019) e non solo all’anzianità ed alla retribuzione ( come genericamente preteso dal ricorrente) , senza valutare,cioè che ai fini della liquidazione della quota A ,secondo i criteri vigenti per l’Inpdai , è necessario che la comparazione avvenga a parità di condizioni (cfr in tal senso anche Cass. n. 13980/2018), tenendo conto delle diverse retribuzioni pensionabili secondo i due regimi , ivi compresi i massimali, e delle diverse contribuzioni, inferiori per il settore riferibile all’Inpdai.

Rimostrando poi che , all’esito di una simile comparazione, la quota A, da liquidarsi secondo i criteri Inpdai, sarebbe inferiore a quella da calcolarsi con i criteri AGO.

Il ricorrente ha depositato, invece, il conteggio secondo il regime del prò rata applicato dall’Inps ; un ulteriore conteggio includendo nella quota FPLD Inps i periodi già oggetto di trasferimento da Inps ad Inpdai, applicando cioè un criterio che appare del tutto infondato alla luce di quanto esposto con riferimento al primo motivo. Infine, ha depositato un conteggio secondo le regole del FPLD del tutto irrilevante ai fini che qui rilevano.

Questa Corte ha, altresì rilevato che “l’interpretazione proposta dal ricorrente, poggia sull’assunto, invero indimostrato, secondo cui il regime introdotto dall’art. 42, I. n. 289/2002, costituirebbe una misura di salvaguardia delle aspettative pensionistiche maturate dei dirigenti industriali, laddove appare piuttosto una misura per porre argine al notorio e crescente disavanzo cagionato dal pregresso regime di favore di cui essi beneficiavano, caratterizzato da basse aliquote di calcolo dei contributi, alte aliquote di rendimento e più elevate fasce di retribuzione pensionabile” ( cfr Cass. n. 19036/2017).

7. Circa le censure relative all’individuazione della retribuzione applicabile nel calcolo della quota Inpdai, nonché con riferimento all’applicabilità dell’art. 42 citato solo ai dirigenti iscritti all’inpdai alla data di entrata in vigore della norma , questa Corte ha statuito – in relazione all’esatta interpretazione dell’art. 42, legge 27 dicembre 2002, n. 289 – con indirizzo costante (sentenze nn. 4897/2017, 18841/2017, 19036/2017, 17354/2018, n. 23573/2019, n. 2237/2020) che in tema di confluenza dell’INPDAI nell’INPS, il trasferimento dei contributi presso quest’ultimo istituto è avvenuto, per effetto della L. n. 289 del 2002, attraverso l’iscrizione “con evidenza contabile separata”, e, quindi, in carenza di un’unificazione assimilabile alla ricongiunzione dei contributi prevista dal d.P.R. n. 58 del 1976, sicché l’art. 42 comma 3, prima parte, della legge citata, laddove dispone che il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del criterio del prorata, a quello degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti con effetto dal 10 gennaio 2003, introduce un principio di carattere generale senza distinzione tra soggetti ancora iscritti e soggetti non più in costanza di assicurazione INPDAI alla data del 31 dicembre 2002. Pertanto ai fini della liquidazione della pensione spettante ad un dirigente di imprese industriali, già iscritto presso l’INPDAI, confluito nell’INPS in forza della I. n. 289 del 2002, le retribuzioni di riferimento sono quelle che sarebbero state utili nel caso di un’ipotetica liquidazione da parte dell’ INPDAI, e non anche le retribuzioni degli ultimi cinque e dieci anni a decorrere a ritroso dalla data del pensionamento, in quanto il rinvio dell’art. 42 della I. n. 289 del 2002 all’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 181 del 1997, nonché lo stesso meccanismo del pro-rata adottato nell’art. 42 cit., sono espressione della volontà del legislatore di tenere distinti i due periodi assicurativi, per la diversità dei sistemi di calcolo adottati, dando luogo a due distinte quote di pensione da determinare secondo specifici criteri. Si tratta di un orientamento che secondo il questa Corte risponde meglio dell’altro propugnato dal ricorrente, alla portata letterale e logica dell’impianto normativo di riferimento e che deve essere quindi posto anche a base della odierna pronuncia.

5. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 5 L. n. 44/1973, dell’art. 42, comma 3, L. n. 289/2002.

Lamenta che i periodi di assicurazione presso l’INPS, maturati prima del 2002 e trasferiti all’INPDAI, erano stati valorizzati ai fini del calcolo della quota INPDAI e non invece per la quota INPS.

La censura è infondata tenuto conto , come già esposto con riferimento al primo motivo, che il trasferimento all’INPDAI è avvenuto su richiesta del ricorrente ed in epoca antecedente alla soppressione dell’Inpdai. Ne consegue che ,in applicazione dell’art. 42 citato, i contributi sono confluiti automaticamente all’INPS, né sarebbe configurabile un diritto del M. alla loro retrocessione, non previsto da alcuna norma, e, pertanto, correttamente detti contributi sono stati valutati nella quota INPDAI ai fini della liquidazione della pensione dovuta, in applicazione del principio del prò rata.

6. Con il quarto motivo si eccepisce incostituzionalità art 42 , comma 3, L n 289/2002 per violazione degli artt. 3 e 38 Cost.

Deduce che tale previsione , se interpretata nel senso di applicazione della disciplina INPDAI ai periodi di contribuzione INPS oggetto di trasferimento ex art 5 l n 44/1973, all’Inps, darebbe luogo ad una disparità di trattamento tra i lavoratori ex Inpdai che hanno effettuato il trasferimento di contributi ai sensi dell’art. 5 citato, e quelli che non hanno effettuato tale trasferimento applicandosi ai primi una disciplina Inpdai deteriore.

Sarebbe, inoltre, incostituzionale in quanto si considera ai fini della liquidazione del trattamento pensionistico, secondo l’interpretazione della Corte, la retribuzione nelle ultime 260 e 520 settimane di sola iscrizione Inpdai.

Per tutti gli altri lavoratori il trattamento è liquidato sulla base della retribuzione percepita nelle ultime 260 e 520 settimane di servizio.

La norma sarebbe,  altresì, incostituzionale se venisse applicata la clausola di garanzia, operante invece per gli iscritti Inpdai, collocati in pensione prima della riforma.

Infine l’incostituzionalità si verificherebbe a causa del mancato riconoscimento della facoltà di ricongiunzione delle norma in contrasto con quanto previsto per gli iscritti ai soppressi Fondi autoferrotranvieri , elettrici e telefonici.

7. Le censure appaiono manifestamente infondate.

Va affermato, infatti, così come anche sottolineato dalla Corte territoriale, la differenza di situazione di chi volontariamente ha chiesto il trasferimento dei contributi Inps goduti, rispetto a chi non si sia avvalso di tale facoltà o di chi abbia versato interamente e sempre i contributi all’Inps o ancora con riferimento agli altri settori indicati dal ricorrente aventi una loro specifica disciplina.

La diversità di trattamento non lede il principio uguaglianza quando si pone come mero fatto collegato al fluire del tempo.

Non è, inoltre, esposto sotto quale profilo vi sarebbe violazione dell’art 38 Cost non ravvisandosi lesione delle aspettative pensionistiche del ricorrente.

8. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato.

La complessità della materia giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13 , comma 1 quater, dpr n 115/2002.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del dpr n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.