CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 febbraio 2019, n. 5425
Licenziamento collettivo – Nullità – Fruizione del congedo straordinario per assistere il padre disabile – Diritto alla conservazione del posto di lavoro
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Roma, con sentenza del 2.3.2017 nr. 1167, rigettava il reclamo, proposto, ai sensi dell’art. 1, commi 58 e ss., della legge nr. 92 del 2012, da G. S. avverso la sentenza del locale Tribunale che, provvedendo sul ricorso in opposizione all’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria, respingeva la domanda diretta all’accertamento della nullità e/o illegittimità e/o inefficacia del licenziamento intimato dalla società T. C. C. S.p.A., all’esito di una procedura di licenziamento collettivo ai sensi della legge nr. 223 del 1991.
1.1. Per quanto in questa sede residua, la Corte distrettuale ha escluso che la fruizione, al momento dell’intimazione del recesso, da parte dell’odierno ricorrente, di un congedo straordinario, ai sensi dell’art. 42, comma 5, del D.Lvo nr. 151 del 2001, per assistere il padre disabile, con conseguente sospensione del collocamento in CIGS al quale la società aveva fatto ricorso, rappresentasse condizione ostativa al potere di recesso.
1.2. In particolare, la Corte territoriale ha escluso un’ipotesi di nullità del recesso, riconducibile al comma 1 dell’art. 18 della legge nr. 300 del 1970 (ovvero un’ipotesi in cui è espressamente stabilito il divieto di licenziamento, con sanzione di nullità per il caso di inottemperanza, come per esempio il licenziamento intimato, durante determinati periodi, alla lavoratrice madre e del lavoratore padre), ed ha anche escluso che la fattispecie concreta ricadesse nell’ambito di applicazione dell’art. 1418 cod.civ. in difetto della violazione di una norma imperativa impositiva di un divieto di recesso durante il periodo di congedo; secondo la Corte di appello «il diritto alla conservazione del posto di lavoro» sancito dall’art. 4 del D.Lvo nr. 53 del 2000, diretto ad assicurare al lavoratore un’entrata per tutto il periodo di sospensione dell’attività lavorativa, opera esclusivamente nei limiti di un esonero dall’attività, fino a quando non intervenga una causa legittima di risoluzione del rapporto.
2. Avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione, G. S., affidato ad un unico ed articolato motivo.
3. Ha proposto controricorso la società N. srl (già T. C. C. S.p.A.).
Fatti di causa
1. Con un unico ed articolato motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (legge nr. 104 del 1992, d.lgs 151 del 2001 e legge nr. 53 del 2000, art. 1418 cod.civ).
1.1. Il motivo afferisce alla statuizione di legittimità del recesso (così, testualmente, si deduce a pag. 8 del ricorso: «la questione che ci occupa riguarda il profilo di validità – legittimità dell’atto di licenziamento datoriale, con efficacia immediata, del lavoratore fruente del diritto al congedo straordinario per assistenza a soggetto portatore di handicap grave ex lege nr. 104 del 1992»).
2. Giudica il Collegio infondato il motivo.
2.1. L’art. 42, comma 5, della legge nr. 151 del 2001 stabilisce il diritto del coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità, accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge nr. 104 del 1992, di fruire del congedo di cui al comma 2 dell’articolo 4 della nr. 53 del 2000 (id est: un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni), entro sessanta giorni dalla richiesta.
2.2. Come noto, per effetto di plurimi interventi della Corte Costituzionale, tale diritto è stato esteso anche in favore di altri soggetti e, per quanto di rilievo in causa, in favore del figlio convivente con genitore in situazione di disabilità grave (così pronuncia Corte costituzionale nr. 19 del 2009).
2.3. Il medesimo art. 42, al comma 5 ter, prevede che «Durante il periodo di v congedo, il richiedente ha diritto a percepire un’indennità […] L’indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità [..]» e, al comma quinquies, che «[…] Per quanto non espressamente previsto dai commi 5, 5-bis, 5-ter e 5-quater si applicano le disposizioni dell’articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53»
2.4. L’art. 4, comma 2, sopra richiamato stabilisce, per quanto più rileva nella presente fattispecie, che «[…] Durante tale periodo (id est di congedo) il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il congedo non è computato nell’anzianità di servizio né ai fini previdenziali; il lavoratore può procedere al riscatto, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria».
2.5. In relazione a tale ultima disposizione, si ravvisa l’errore di diritto.
2.6. Sono pacifiche le circostanze di fatto; la società ha intimato il licenziamento con decorrenza dal 19.12.2014, all’esito della procedura di licenziamento collettivo ai sensi della legge nr. 223 del 1991 avviata il 2.10.2014; il lavoratore dal 23.10.2014 era in congedo straordinario, ex art.42 cit., per l’assistenza al padre, portatore di handicap grave ex lege nr. 104 del 1992.
2.7. Secondo la tesi sviluppata in ricorso, il licenziamento intimato in costanza della fruizione del congedo sarebbe in contrasto con la previsione dell’art. 4 cit. nella parte in cui stabilisce il diritto del lavoratore alla conservazione del posto.
2.8. L’atto di recesso sarebbe, dunque, nullo, in quanto assunto in violazione di norma imperativa; sul piano della sanzione, troverebbe applicazione l’art. 18, comma 1, della legge nr. 300 del 1970, riferibile non solo alle ipotesi di «nullità testuale » ma anche a quelle cd. «virtuali» (per le quali cioè la sanzione della nullità non è espressamente prevista dalla norma di legge ma deriva come logica conseguenza dalla previsione del comma 1 dell’art. 1418 cod.civ.).
3. Il Collegio non condivide la proposta interpretazione della disciplina di riferimento e giudica, invece, corrette le conclusioni raggiunte dalla Corte distrettuale.
3.1. La normativa esaminata, ed in particolare l’art. 4, comma 2, pone un divieto di licenziamento solo se fondato sulla fruizione del congedo medesimo ma non anche per ogni causa, diversa e legittima, di risoluzione del rapporto di lavoro.
3.2. Il diritto alla conservazione del posto, infatti, non esprime limitazioni al legittimo potere di recesso ma è finalizzato, esclusivamente, a garantire al lavoratore un trattamento economico ed assistenziale (analogamente a quanto avviene per la malattia) per il periodo di assistenza al congiunto inabile.
3.3. La fruizione del congedo, in altre parole, non rende insensibile il rapporto di lavoro ai fatti estintivi previsti dalla legge ma, al più, pone questione di sospensione degli effetti di detti fatti (id est: del recesso) fino al termine del congedo medesimo.
4. La questione (quest’ultima), pure prospettata dal ricorrente, in termini di diritto alla percezione dell’indennità ex art. 42, comma 5 ter, legge cit. fino all’esito del congedo, rappresenta, tuttavia, questione nuova; di essa, infatti, non vi è cenno nella sentenza impugnata e la parte ricorrente non ha né allegato l’avvenuta deduzione della stessa innanzi al giudice di merito, né indicato in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare «ex actis» la veridicità di tale asserzione prima di esaminarne il merito.
4.1. Nel giudizio di cassazione infatti, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti ( ex plurimis\ Cass. nr 25043 del 2015; Cass. nr. 23675 del 2013; Cass. nr. 4787 del 2012).
5. Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura (in particolare quello che concerne l’interpretazione del comma 1 dell’art. 18, nella formulazione successiva alle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 42, della legge nr. 92 del 2012).
6. Conclusivamente il ricorso va respinto.
8. Le spese seguono la soccombenza.
9. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. nr. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.500,00, per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. nr. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
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