CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 giugno 2018, n. 16704
Socio lavoratore di cooperativa – Assenza dal lavoro per un periodo superiore a quindici giorni – Stato di detenzione – Assenza espressamente sanzionata ex art. 12, L. n. 452/1987 – Esclusione dalla società cooperativa – Autonomo atto di licenziamento – Non necessario
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 4444 pubblicata il 9.6.2016, ha respinto l’impugnazione proposta dal sig. P. confermando la sentenza di primo grado con diversa motivazione; ha difatti escluso che si fosse verificata la decadenza dall’opposizione ai sensi dell’art. 2533, comma 3, c.p.c. ma ha ritenuto infondata nel merito la domanda del socio lavoratore volta alla declaratoria di illegittimità del provvedimento, notificato il 24.3.12, di esclusione del medesimo dalla società cooperativa per assenza dal posto di lavoro superiore a quindici giorni.
2. La Corte territoriale ha premesso come la società appellata facesse parte delle cooperative “affidatarie di lavori socialmente utili nell’area napoletana”, di cui agli articoli 10 e 12 D.L. n. 366 del 1987, convertito in L. n. 452 del 1987, sottoposte a commissariamento.
3. Ha ritenuto pacifica l’assenza dal lavoro dell’appellante per un periodo superiore a quindici giorni dovuto a stato di detenzione e tale assenza espressamente sanzionata, ai sensi dell’art. 12, L. n. 452 del 1987, con l’esclusione dalla società cooperativa, con atto dovuto del commissario governativo.
4. Ha considerato tassativa l’eccezione prevista dall’art. 12 citato per il caso in cui l’assenza superiore ai quindici giorni trovi giustificazione per “esclusivi motivi sanitari” ed ha escluso profili di illegittimità costituzionale di tale previsione rispetto agli artt. 3, 4, 35 Cost..
5. Ha ritenuto, ai sensi dell’art. 5, comma 2, L. n. 142 del 2001, novellato dalla L. n. 30 del 2003, come la delibera di esclusione da socio fosse sufficiente a determinare l’automatica estinzione del rapporto di lavoro, senza necessità di adozione di uno specifico atto di licenziamento.
6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il socio lavoratore, affidato ad un unico motivo, articolato in violazione di legge e vizio di motivazione.
7. La società cooperativa è rimasta intimata.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso il socio lavoratore ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 3, L. n. 452 del 1987 e dell’art. 2, L. n. 142 del 2001 e successive modifiche, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; nonché insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c..
2. Ha sottolineato come la Corte territoriale avesse errato nel non considerare la sostanza del provvedimento adottato dal commissario governativo, formalmente di esclusione dalla società cooperativa ma di fatto corrispondente ad un licenziamento disciplinare illegittimo per protratta assenza dal posto di lavoro.
3. Ha sostenuto come, ove cessi il rapporto associativo a causa dell’intimato licenziamento, come nella specie, non ricorrerebbe la fattispecie eccettuata dall’art. 2, L. n. 142 del 2001 e non sarebbe preclusa la tutela reintegratoria; che pertanto la Corte territoriale avrebbe erroneamente interpretato ed applicato l’art. 2 cit., ritenendo risolto il rapporto di lavoro in conseguenza dell’esclusione dalla società cooperativa.
4. Ha poi censurato la sentenza impugnata per insufficienza e contraddittorietà della motivazione sul contenuto del provvedimento di espulsione dalla cooperativa e sulla prevalenza assegnata alla ragione societaria posta a base dello stesso, anziché alla ragione lavoristica.
5. I motivi presentano profili di inammissibilità e sono, comunque, infondati.
6. Deve anzitutto rilevarsi il difetto di autosufficienza del ricorso per omessa trascrizione del provvedimento di esclusione dalla cooperativa e per mancanza di qualsiasi indicazione sulla collocazione processuale dello stesso documento, peraltro non ridepositato col ricorso in esame.
7. Le regole poste dall’art. 366, comma 1, n. 6 e dall’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. comportano che, quando siano in gioco atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, di carenze motivazionali o di un error in procedendo, è necessario non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga indicata l’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (Cass. n. 3239 del 2015; Cass. n. 19157 del 2012; Cass. n. 6937 del 2010; Cass. n. 15808 del 2008; Cass. n. 12239 del 2007).
8. Inoltre, il motivo di ricorso formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. non si confronta adeguatamente con le argomentazioni poste a base della decisione impugnata e che fanno leva sulla espressa previsione di legge, quale causa di esclusione dalla società cooperativa, dell’assenza dal lavoro protratta per un periodo superiore a quindici giorni e sulla ritenuta conseguente risoluzione del rapporto di lavoro, senza necessità di autonomo atto di licenziamento.
9. In tale contesto, appare non centrata la censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 12 citato per non avere la sentenza impugnata indagato sulla sostanza del provvedimento di espulsione, che si vorrebbe qualificare come di licenziamento disciplinare, in assenza peraltro di qualsiasi specificazione sull’impugnativa, in sede di ricorso di primo grado e in appello, di tale provvedimento attraverso censure di illegittimità per insussistenza di giusta causa o giustificato motivo di recesso. Nel ricorso in esame (pag. 2) si dà atto dell’impugnativa stragiudiziale del decreto di espulsione ma manca qualsiasi riferimento alle deduzioni sul punto nei precedenti gradi di merito.
10. La censura di insufficiente e contraddittoria motivazione non può trovare accoglimento in quanto non si conforma allo schema legale del nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., introdotto dall’art. 54, comma 1, lett. b), del D.L n. 83 del 2012, convertito con modificazioni in L. n. 134 del 2012, applicabile alla fattispecie in esame in cui la sentenza d’appello è stata pubblicata il 9.6.16.
11. Secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite (sentenza n. 8053 del 2014) e dalle successive pronunce conformi (cfr. Cass., 27325 del 2017; Cass., n. 9749 del 2016), l’omesso esame deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo. Non solo quindi la censura non può investire argomenti o profili giuridici, ma il riferimento al fatto secondario non implica che possa denunciarsi, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c., anche l’omesso esame di determinati elementi probatori.
12. Nel ricorso in esame non è individuato alcun fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso ma le censure motivazionali riguardano la erronea interpretazione del provvedimento espulsivo ad opera della Corte territoriale.
13. Per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto.
14. Nulla per le spese di lite posto che la società cooperativa non ha svolto attività difensiva.
15. La parte ricorrente è tenuta al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, non risultando depositato il provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato per il giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.
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