CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 giugno 2019, n. 16997
Licenziamento – Procedura di mobilità collettiva per eccedenza di personale – Illegittimità – Accertamento – Ricollocazione nei ruoli
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Napoli ha respinto l’appello di G.M. avverso la sentenza del Tribunale di Benevento che aveva rigettato il ricorso proposto nei confronti della Comunità Montana del Fortore, volto ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità della procedura di mobilità collettiva per eccedenza di personale ex art. 33 del d.lgs. n. 165/2001 e la conseguente condanna dell’amministrazione convenuta alla «ricollocazione nei ruoli» ed al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, patito.
2. La Corte territoriale, ricostruita la procedura nei suoi passaggi essenziali ed evidenziato che la stessa si era resa necessaria per ottemperare agli obblighi imposti dalla legge n. 244/2007 e dalla L.R. Campania n. 12/2008, ha escluso i vizi formali e sostanziali denunciati dal ricorrente ed ha rilevato, in particolare, che:
a) i motivi tecnici ed organizzativi, ostativi al riassorbimento dell’eccedenza all’interno della medesima amministrazione, erano desumibili dall’indicazione delle ragioni dell’esubero, in quanto la Comunità era obbligata a contenere il costo complessivo del personale a seguito della riduzione del finanziamento, che consentiva la copertura della spesa solo limitatamente a 15 dipendenti;
b) la delibera n. 121 del 25 novembre 2009 di ridefinizione della pianta organica non era stata oggetto di specifica impugnazione ed il piano generale di ristrutturazione, da ritenersi in linea con la minore dotazione finanziaria, non consentiva il mantenimento in servizio del personale eccedente;
c) l’art. 1 della L.R. Campania n. 14/2006 aveva imposto alle Comunità Montane di assicurare gli interventi in materia di forestazione ricorrendo al turn over del personale cessato dal servizio o all’incremento delle giornate lavorative della manodopera a tempo determinato e pertanto legittimamente l’appellata aveva proceduto all’assunzione di 50 operai con contratto a tempo determinato, per far fronte alle esigenze di conservazione e di difesa del patrimonio boschivo;
d) l’ente non poteva procedere alla trasformazione dei rapporti a tempo indeterminato full-time in rapporti a tempo parziale verticale, perchè la riduzione della pianta organica era stata imposta dalla crisi finanziaria dell’ente e le assunzioni a tempo determinato erano state effettuate nei limiti dei finanziamenti ricevuti dalla Regione solo per gli anni 2009, 2010 e 2011;
e) la Comunità aveva condotto la procedura nel pieno rispetto dell’art. 33 del d.lgs. n. 165/2001, in quanto alla comunicazione avevano fatto seguito l’esame con le organizzazioni sindacali ed i contatti con gli enti pubblici presso i quali il personale era distaccato, finalizzati a valutare la possibilità di un passaggio volontario fra amministrazioni;
f) non era stato violato l’art. 34 del d.lgs. n. 165/2001 perché la norma non impone all’ente di comunicare all’O. della Regione Campania l’elenco del personale eccedente.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso G.M. sulla base di quattro motivi, ai quali ha opposto difese con tempestivo controricorso la Comunità Montana del Frontone.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., «violazione ed errata applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 33, commi 3, 4 e 7 d.lgs. n. 165/2001» ed insiste nel sostenere che la comunicazione di avvio della procedura deve indicare non solo i motivi che determinano la situazione di eccedenza ma anche le ragioni tecniche e organizzative che non consentono l’adozione di misure idonee a riassorbire l’eccedenza all’interno della medesima amministrazione. La procedura era stata avviata senza dare conto di dette ultime ragioni, che non potevano desumersi da quelle richiamate a giustificazione della eccedenza, perché il legislatore ha imposto agli enti pubblici di ricorrere alla mobilità solo quale extrema ratio e, pertanto, di adottare tutte le iniziative finalizzate a consentire una diversa utilizzazione del personale. Aggiunge che nella specie potevano essere utilizzati i fondi regionali per la prevenzione degli incendi boschivi e quindi vi era la possibilità di soluzioni alternative alla mobilità.
1.2. La seconda censura, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., addebita alla sentenza impugnata la violazione ed errata applicazione degli artt. 33, commi 3 e 4, d.lgs. n. 165/2001, 1 L.R. Campania n. 14/2006, 23, comma 6, della L.R. Campania n. 23/2008. Il ricorrente sostiene che l’ente non ha dato la prova dell’impossibilità di riassorbire il personale al proprio interno, perché le leggi regionali richiamate in rubrica non legittimano l’amministrazione a sottrarsi agli obblighi imposti dall’art. 33 del d.lgs. n. 165/2001. Aggiunge che la Corte territoriale, nel ritenere che la soluzione prospettata avrebbe solo procrastinato di tre anni il problema del dissesto dell’ente, ha finito per riconoscere che una soluzione alternativa era comunque praticabile, sia pure temporaneamente.
1.3. Il terzo motivo, proposto ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., denuncia «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio – omessa pronuncia sulla soluzione proposta dal ricorrente, in alternativa all’avvio della procedura di mobilità, ovvero l’assunzione a tempo determinato con priorità rispetto alle nuove assunzioni». Deduce il ricorrente che nell’atto d’appello era stato evidenziato che, a seguito dell’emissione del decreto di messa in disponibilità ed ai sensi dell’art. 34 del d.lgs. n. 165/2001, la Comunità era tenuta ad utilizzare, con priorità e con contratti a tempo determinato, i dipendenti eccedenti. Anche nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato fatto valere il diritto di precedenza nell’assunzione di cui al sesto comma dell’art. 15 della legge n. 269/1949. La Corte, pertanto, avrebbe dovuto esaminare il fatto dedotto in giudizio, ossia «l’alternativa di assunzione a tempo determinato proposta dal ricorrente».
1.4. Infine la quarta critica addebita alla sentenza gravata la «violazione ed errata applicazione delle norme di diritto l’ ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 34 del d.lgs. n. 165/2001 e all’art. 115 c.p.c.». Premesso che era stato dimostrato attraverso la produzione documentale, non contestata, che la Comunità Montana non aveva comunicato alla Regione Campania – settore O. l’elenco dei lavoratori collocati in mobilità, il ricorrente sostiene che ha errato la Corte territoriale nell’affermare che la comunicazione non fosse imposta dalla norma richiamata in rubrica. Rileva al riguardo che l’art. 34 del d.lgs. n. 165/2001 va letto alla luce del d.lgs. n. 469/1997, che affida alle Regioni la programmazione ed il coordinamento delle iniziative finalizzate al reimpiego dei lavoratori posti in mobilità, compiti che possono essere espletati solo a condizione che il datore di lavoro comunichi l’elenco dei dipendenti dichiarati eccedenti.
2. Il ricorso è infondato.
La procedura della cui legittimità si discute, avviata con nota del 14.9.2009 e conclusa con atto del 21.1.2010, si è svolta nella vigenza dell’art. 33 del d.lgs. n. 165/2001, nel testo antecedente alla modifica disposta dall’art. 16 della legge n. 183/2011, applicabile, ex art. 36 della stessa legge, solo a far tempo dal 1 gennaio 2012.
Il legislatore del T.U., pur con le significative diversità segnalate da Cass. n. 12241/2006, aveva modellato la procedura stessa su quella disciplinata dalla legge n. 223/1991, alla quale l’art. 33 rinviava, sicché, quanto al contenuto della comunicazione ed ai limiti del sindacato giudiziale sulle scelte compiute dall’amministrazione, valgono i medesimi principi affermati in relazione alle procedure di mobilità ed ai licenziamenti collettivi interessanti il personale delle imprese private.
2.1. E’ da tempo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui, ove venga dedotta l’insufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva, il giudice, nel procedere alla verifica del rispetto delle regole procedurali imposte dalla richiamata legge n. 223/1991, deve valutare l’atto in una prospettiva «sostanzialistica» e tener conto, quindi, dei motivi della riduzione di personale, perché le informazioni che il legislatore ha previsto, in via astratta, nell’art. 4, comma 3 della legge n. 223/1991, non sono tutte sempre indispensabili ai fini di un valido confronto sindacale. Si è sottolineato al riguardo che la previsione di una completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità ha segnato il passaggio da un controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, sicché è all’idoneità in concreto della comunicazione che occorre avere riguardo, rilevando solo quelle «maliziose elusioni» che siano volte a fuorviare o a ledere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuito ai soggetti collettivi (in tal senso fra le più recenti Cass. n. 23526/2016 che richiama Cass. 2516/2012 e Cass. n. 21541/2006).
2.2. Al richiamato principio di diritto, condiviso dal Collegio ed estensibile per le ragioni già dette alla procedura ex art. 33 del d.lgs. n. 165/2001, si è correttamente attenuta la Corte territoriale nell’escludere che potesse essere attribuito rilievo alla mancata formale indicazione dei motivi tecnici e organizzativi per i quali non potevano essere adottate misure idonee a riassorbire le eccedenze all’interno della medesima amministrazione. Il giudice d’appello, infatti, ha valutato l’atto in un’ottica di tipo sostanziale ed ha evidenziato che l’indicazione stessa era implicitamente ma chiaramente già ricompresa nel richiamo alle ragioni che imponevano il ridimensionamento della pianta organica, non evitabile una volta che il legislatore aveva previsto la secca riduzione della spesa corrente riferibile alle Comunità montane e tagliato di conseguenza i relativi finanziamenti. Non si ravvisa, pertanto, il vizio di violazione di legge denunciato con il primo motivo che, per il resto, da un lato si risolve nella sollecitazione di un giudizio di merito, non consentito in sede di legittimità, dall’altro non coglie pienamente e non censura la ratio della sentenza gravata nella parte in cui, per escludere la lamentata incompletezza della comunicazione, fa leva anche sulla mancata impugnazione della delibera n. 121 del 25.11.2009, che costituiva l’atto presupposto della procedura, da avviare necessariamente una volta che, per evitare il dissesto finanziario, la dotazione organica del settore dell’agronomia (area 3) era stata ridotta a sole cinque unità.
3. Ad analoghe conclusioni si perviene quanto al secondo motivo, con il quale il ricorrente pretende di far discendere l’illegittimità della procedura dalla successiva assunzione di 50 dipendenti a tempo determinato, finanziata dalla Regione Campania negli anni 2009, 2010 e 2011.
Questa Corte da tempo ha affermato che in tema di licenziamenti collettivi il controllo giudiziale non può avere ad oggetto i motivi specifici di riduzione del personale, ma soltanto la correttezza procedurale dell’operazione ed in giudizio non possono formare oggetto di cognizione tutte le censure a mezzo delle quali si intenda investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sull’effettiva esigenza di riduzione o trasformazione dell’attività, una volta che non siano state fatte valere o siano state escluse violazioni degli artt. 4 e 5 della legge n. 223/1991 e comunque non sia emersa la prova della dolosa elusione dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali. Se ne è tratta la conseguenza che, a fronte di una procedura correttamente espletata, condotte datoriali quali l’assunzione di nuovi lavoratori o la richiesta di svolgimento di lavoro straordinario, dopo il licenziamento, sono irrilevanti, risultando esse inidonee ad incidere sulla validità del licenziamento stesso (Cass. n. 19576/2013 e negli stessi termini Cass. n. 29047/2017).
3.1. Il principio deve essere esteso anche alla procedura di eccedenza ex art. 33 del d.lgs. n. 165/2001, in relazione alla quale non può il dipendente dichiarato eccedente pretendere in sede giudiziale di sindacare nel merito le scelte che il datore di lavoro pubblico abbia effettuato nel procedere alla rideterminazione del fabbisogno ex art. 6 del richiamato decreto. L’adozione degli atti discrezionali di macro organizzazione, espressione di un potere rimasto di natura pubblicistica anche a seguito della contrattualizzazione del rapporto di impiego, può essere messa in discussione solo qualora sia ipotizzabile una illegittimità dell’atto amministrativo per violazione di legge o per eccesso di potere, evenienza, questa / non ravvisabile a fronte di scelte che, come nella fattispecie, siano state compiute per rispettare precisi vincoli imposti dal legislatore, nazionale e regionale.
La sentenza impugnata, che ha ritenuto prive di rilievo le successive assunzioni a tempo determinato, va pertanto confermata con diversa motivazione ex art. 384 comma 4 cod. proc. civ., perché l’esame che la Corte territoriale ha effettuato per escludere che le stesse fossero sintomatiche dell’assenza della necessità di riduzione del personale, non andava neppure condotto, essendo sufficiente a fondare il rigetto del motivo di appello l’assorbente ragione esplicitata nel principio di diritto sopra richiamato, al quale il Collegio intende dare continuità.
4. Il terzo motivo è inammissibile perché la censura esula dai limiti segnati dal riformulato art. 360 n. 5 cod. proc. civ., che concerne unicamente l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Il motivo, quindi, è validamente formulato ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. solo qualora il ricorrente indichi il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. S.U. n. 8053/2014).
Nel caso di specie la doglianza non riguarda un “fatto” bensì “un punto” controverso, ossia la rilevanza, ai fini della legittimità della procedura, dell’omesso rispetto del diritto di precedenza dei lavoratori dichiarati in disponibilità, e prospetta, comunque, una questione non decisiva ai fini della pronuncia sulle domande proposte che, come si desume dalla sentenza impugnata e dall’esposizione sommaria dei fatti di causa riportata in ricorso, riguardavano unicamente «l’accertamento e declaratoria di inefficacia e/o l’annullamento e/o nullità della procedura di mobilità…». La violazione dell’asserito diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo determinato disposte dall’ente dopo la riduzione del personale costituirebbe, eventualmente, un inadempimento diverso e distinto dagli obblighi imposti dall’art. 33, certo non idoneo a fondare una pronuncia di illegittimità della procedura.
5. Analoghe considerazioni vanno espresse in relazione al quarto motivo.
La formazione dell’elenco di cui all’art. 34 del d.lgs. n. 165/2001 ha una finalità diversa rispetto a quella imposta dall’art. 4, comma 9, della legge n. 223/1991, perché non è diretta a consentire il controllo sul corretto esercizio del potere datoriale in relazione all’individuazione dei soggetti da licenziare ed all’applicazione dei criteri di scelta, bensì a rendere possibile la ricollocazione presso altre amministrazioni, attraverso il ricorso alla mobilità. Le eventuali irregolarità verificatesi in questa fase, pertanto, non possono determinare a posteriori l’illegittimità dell’atto adottato ex art. 33 comma 7, che è l’unico del quale il ricorrente ha domandato l’accertamento dell’illegittimità.
Ne discende che priva di rilevanza è la questione dell’individuazione dell’ufficio al quale l’elenco doveva essere comunicato, sicché la sentenza impugnata, che ha respinto il motivo di gravame formulato sul punto, va confermata, sia pure con diversa motivazione ex art. 384 comma 4 cod .proc. civ..
6. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 4.500,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
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