CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 luglio 2018, n. 19732
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Riduzione di un appalto di pulizie – Criterio dell’anzianità aziendale – Violazione delle regole di correttezza nella scelta del lavoratore da licenziare
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 4 novembre 2015, in riforma della pronuncia di primo grado, ha annullato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a P. E. M. J. con lettera del 14.5.2014 dalla C. Service Srl, condannando quest’ultima a reintegrarla nel posto di lavoro ed al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
La Corte territoriale ha premesso in fatto che il licenziamento era stato determinato da una “riduzione di un appalto di pulizie con la committente S. M., che, con riferimento alla pulizia degli stabili denominati F. ed A. 8, ha ridotto l’appalto di circa 60 ore lavorative settimanali”, per cui “il datore di lavoro ha licenziato le due lavoratrici addette in quel momento alla pulizia di quegli immobili”.
Ha poi rilevato che “il fatto che la sede produttiva ove la C. eseguiva i lavori di appalto delle pulizie fosse unica, anche se frazionata tra i vari palazzi dislocati nell’area circoscritta del complesso aziendale della committente, nonché la costante rotazione del personale sulle prestazioni lavorative e l’assoluta fungibilità delle mansioni e quindi del personale addetto all’appalto rendono di per sé privo di sufficiente funzione individualizzante del lavoratore licenziabile nella persona della Sig.ra P. la riduzione dell’appalto di 60 ore settimanali su 90 lavoratori”.
Ha concluso che nella specie, in ossequio al rispetto della regola di cui all’art. 1175 c.c., avrebbe dovuto applicarsi il criterio dell’anzianità aziendale, che invece non era stato rispettato, rendendo illegittimo il licenziamento.
In punto di tutela applicabile la Corte milanese ha ritenuto che “la violazione delle regole di correttezza di cui all’art. 1175 c.c. nella scelta del lavoratore da licenziare spezza il nesso di causa tra il giustificato motivo addotto e il licenziamento della Sig.ra P. e rende, rispetto al suo licenziamento, il fatto posto a base del licenziamento non rilevante, vale a dire manifestamente insussistente”.
2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società con 2 motivi. Ha resistito l’intimata con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia che la Corte di Appello avrebbe violato o falsamente applicato l’art. 18, commi 4 e 7, I. n. 300 del 1970, per avere ritenuto manifestamente insussistente il licenziamento, con conseguente applicabilità della tutela reintegratoria.
Si argomenta che la circostanza che aveva dato luogo al recesso, cioè la riduzione dell’appalto, era sussistente, sicché non avrebbe dovuto riconoscersi detta tutela reintegratoria.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1175 c.c. sostenendo che il criterio dell’anzianità di servizio previsto dall’art. 4 della I. n. 223 del 1991 non è applicabile ad un licenziamento individuale e che l’oggettività del licenziamento nella specie è ravvisabile proprio nell’adibizione di quella lavoratrice al servizio di pulizia nello stabile presso il quale era stato ridotto l’appalto.
2. Per ragioni di priorità logica va esaminato il secondo motivo di ricorso, il quale contesta in radice l’illegittimità del licenziamento ritenuta dalla Corte di Appello milanese.
Il motivo è infondato.
Per come accertato dalla Corte territoriale la ragione del licenziamento è da ravvisare nella riduzione di un appalto che ha determinato la soppressione di posizioni lavorative impiegate in mansioni omogenee e fungibili.
Orbene, nel caso di licenziamento per ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 3, per la giurisprudenza di questa Corte, allorquando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, la scelta del dipendente (o dei dipendenti) da licenziare per il datore di lavoro non è totalmente libera: essa, infatti, risulta limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza cui deve essere informato, ex artt. 1175 e 1375 c.c., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi, anche il recesso di una di esse (v. Cass. n. 7046 del 2011; Cass. n. 11124 del 2004; Cass. n. 13058 del 2003; Cass. n. 16144 del 2001; Cass. n. 14663 del 2001).
In questa situazione, pertanto, la stessa giurisprudenza si è posta il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta conforme ai dettami di correttezza e buona fede ed ha ritenuto che possa farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che la L. n. 223 del 1991, art. 5, ha dettato per i licenziamenti collettivi per l’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianità (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico – produttive e organizzative data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti). In analoga prospettiva si è puntualizzato che il ricorso a detti criteri resti giustificato non tanto sul piano dell’analogia quanto piuttosto per costituire i criteri di scelta previsti dal predetto art. 5 della L. n. 223/91 uno standard particolarmente idoneo a consentire al datore di lavoro di esercitare il suo, unilaterale, potere selettivo coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quello aziendale (cfr. Cass. n. 6667 del 2002 e giurisprudenza ivi citata in motivazione).
Pertanto non è in grado di determinare la cassazione della sentenza impugnata il secondo mezzo di gravame della società che non spiega perché la Corte milanese avrebbe errato a ritenere violato il consolidato principio di legittimità in base al quale – a fronte dell’esigenza, derivante da ragioni inerenti all’attività produttiva, di ridurre di una o più unità il numero dei dipendenti dell’azienda – nella scelta del lavoratore licenziato, tra più lavoratori occupati in posizione di piena fungibilità, occorre rispettare le regole di correttezza di cui all’art. 1175 c.c.. Tanto a prescindere da quanto poi ritenuto dalla stessa Corte di merito in ordine al criterio dell’anzianità che avrebbe dovuto essere applicato in concreto, perché ciò che rileva è a monte l’illegittimità del licenziamento per aver individuato la lavoratrice da licenziare sulla base del mero collegamento al servizio di pulizia di un edificio senza porsi il problema di dover rispettare gli obblighi di correttezza e buona fede per il licenziamento di personale con mansioni fungibili.
Diversa l’ipotesi in esame da quella in cui il licenziamento per motivo oggettivo non trova giustificazione nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, bensì nella soppressione dei posti di lavoro di personale adibito all’espletamento di un servizio per un appalto integralmente venuto meno, per cui è il nesso causale che necessariamente lega la ragione organizzativa e produttiva posta a fondamento del recesso con la posizione lavorativa non più necessaria ad identificare il soggetto destinatario del provvedimento espulsivo, senza necessità di fare ricorso ad ulteriori criteri selettivi (cfr. Cass. n. 25563 del 2017).
3. Poiché tuttavia l’illegittimità del recesso per giustificato motivo oggettivo è stata riscontrata dalla Corte territoriale per la violazione delle regole di correttezza e buona fede nella individuazione del licenziando tra più lavoratori in posizione fungibile, merita accoglimento il primo motivo di ricorso con cui si lamenta che la medesima Corte abbia applicato in tal caso la tutela reintegratoria e non quella meramente indennitaria.
Non vi è infatti ragione di discostarsi dal principio di diritto già affermato da questa Corte e qui ribadito secondo cui, in tema di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, il nuovo regime sanzionatorio introdotto dalla l. n. 92 del 2012 prevede di regola la corresponsione di un’indennità risarcitoria, compresa tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità, riservando il ripristino del rapporto di lavoro, con un risarcimento fino ad un massimo di dodici mensilità, alle ipotesi residuali, che fungono da eccezione, nelle quali l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento è connotata di una particolare evidenza, sicché la violazione dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta tra lavoratori adibiti allo svolgimento di mansioni omogenee dà luogo alla tutela indennitaria (v. Cass. n. 14021 del 2016; conf. Cass. n. 30323 del 2017 e Cass. n. 1373 del 2018).
4. Conclusivamente il ricorso, respinto il secondo motivo, va accolto limitatamente al primo, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo che dovrà quantificare l’indennità prevista dal comma 5 dell’art. 18 novellato della L. n. 300 del 1970 e provvedere altresì alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.
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