CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 maggio 2018, n. 13120
Tributi – T.I.A. – Immobile non utilizzato – Prova – Esclusione della tassa
Fatti di causa
In data 7 marzo 2008 la S. A. S.p.a. di Lucca (concessionaria del servizio e smaltimento dei rifiuti solidi urbani di detta città) notificava a G.B. un avviso di accertamento relativo alla TIA (tariffa di igiene ambientale) del 2006. In data 22 giugno 2009 Equitalia Srt s.p.a. notificava a G.B. cartelle di pagamento relative alla stessa TIA del 2006 nonché a quelle del 2005 e del 2007.
Avverso tali atti il contribuente ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale di Lucca, sostenendone l’illegittimità; la società impositrice non si costituiva in giudizio.
La Commissione Tributaria Provinciale di Lucca accoglieva il ricorso, ritenendo che il mancato utilizzo dell’immobile, documentalmente provato, rendeva lo stesso incapace di produrre rifiuti e quindi faceva venir meno il presupposto impositivo.
Contro tale pronuncia proponeva appello la S.A. s.p.a. di Lucca la quale si riportava sostanzialmente alle argomentazioni sostenute in primo grado.
L’appello veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana con la sentenza n. 02/16/12, con la quale si affermava che la sentenza appellata correttamente avesse riconosciuto che presupposto impositivo della TIA è la disponibilità di locali idonei alla produzione di rifiuti, presupposto che nella fattispecie risultava insussistente in quanto i locali in questione non avevano al tempo tale idoneità per assenza dei servizi essenziali e risultavano in effetti non occupati. Inoltre, sempre secondo la sentenza impugnata, l’art. 62 del d.lgs. n. 507 del 1993 che disciplina la TIA, prevedendo la non assoggettabilità a TIA dei locali non produttivi di rifiuti, richiede altresì che quest’ultima circostanza sia indicata nella denuncia originaria o di variazione, oltre che adeguatamente documentata, circostanza che nella specie era stata provata dal contribuente, il quale aveva presentato una richiesta di esclusione della tariffa il 2 febbraio 2005 ma non l’aveva ripetuta nel 2006 nulla essendo cambiato relativamente alla situazione dei locali in questione. L’ulteriore vincolo previsto dall’art. 16 del Regolamento comunale in materia, che prescrive che la richiesta di esclusione debba essere ripetuta annualmente pena decadenza dal beneficio (circostanza questa invece non provata dal contribuente), parrebbe eccedere – secondo la sentenza impugnata – quanto previsto dalla normativa statale in materia ed essere in contrasto con l’art. 10 dello Statuto del contribuente e pertanto andrebbe interpretato nel senso che in mancanza di tale comunicazione il contribuente possa pur sempre dimostrare – come avvenuto nel caso di specie – che la situazione precedentemente dichiarata continui a sussistere anche per l’anno successivo a quello cui si riferisce la pretesa impositiva.
Il contribuente proponeva allora ricorso per Cassazione affidato a cinque motivi; il contribuente non si costituiva.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, il ricorrente denuncia un vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 62 del d.lgs. n. 507 del 1993 in quanto la sentenza impugnata avrebbe ritenuto che presupposto perché un locale possa non essere assoggettato alla TIA sia solo il fatto di non essere occupato mentre la norma prevede che, a prescindere dall’occupazione o meno del locale, sussistano obiettive condizioni di non utilizzabilità dello stesso.
Il motivo è infondato perché la sentenza ha dato alla norma proprio l’interpretazione suggerita dal ricorrente (che poi è quella corrispondente alla lettera della legge), perché, nell’affermare che i locali in questione non avevano al tempo l’idoneità alla produzione dei rifiuti per assenza dei servizi essenziali e risultavano in effetti non occupati, ha ritenuto appunto che l’inidoneità alla produzione dei rifiuti, il cui onere della prova è stato correttamente posto a carico del ricorrente, dipendesse proprio dall’assenza dei servizi essenziali (ossia da obiettive condizioni di non utilizzabilità, come previsto dalla norma) e che la non occupazione dei locali fosse solo la conseguenza dell’assenza di tali servizi.
Con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, il ricorrente denuncia un vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 62 e 70 del d.lgs. n. 507 del 1993 in quanto tali norme prevederebbero la necessità di una denuncia annuale dell’insussistenza dei presupposti impositivi per la TIA mentre la sentenza avrebbe ritenuto sufficiente solo un obbligo iniziale e successivamente solo eventuali variazioni, senza obbligo di cadenza annuale.
Il motivo è infondato perché la sentenza impugnata ha dato alla norma una interpretazione condivisibile e ragionevole, nonché conforme alla ratio della norma impositiva, ritenendo che le comunicazioni relative all’inidoneità del locale alla produzione dei rifiuti debba avvenire solo quando vi siano delle variazioni (come del resto suggerisce la lettera dell’art. 62, comma 2, del d.lgs. n. 507 del 1993, che parla di denuncia originaria o di “variazione” e non di “denuncia annuale”) e non necessariamente ogni anno: del resto la sentenza spiega che il contribuente ha dimostrato documentalmente che la condizione di mancato utilizzo continua a persistere senza variazioni anche nel 2007, per cui risulta adeguatamente dimostrata l’assenza del presupposto impositivo. Lo stesso art. 70 del d.lgs. n. 507 del 1993, la cui violazione è sostenuta dal ricorrente, afferma proprio testualmente che la denuncia ha effetto anche per gli anni successivi, qualora le condizioni di tassabilità siano rimaste invariate, che è proprio la tesi sostenuta dai giudici della Commissione Tributaria Regionale. In effetti, la circostanza che l’imposta sia calcolata prendendo come base di calcolo l’anno solare non implica come necessaria conseguenza che le denunce di variazione abbiano tale stessa cadenza in quanto non vi è ragionevolmente alcun bisogno che tale denuncia si faccia quando non si sia verificata alcuna variazione.
Con il terzo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, il ricorrente denuncia un vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 507 del 1993 in combinato disposto con gli artt. 23, 114, 117 e 119 Cost. in quanto la sentenza impugnata realizzerebbe una illegittima compressione dell’ambito di autonomia riservato alle autonomie locali, fra le quali rientrino a pieno titolo i Comuni.
Il motivo è infondato perché l’interpretazione fornita dalla sentenza non lede le prerogative delle autonomie locali in quanto l’imposta in questione va pur sempre a beneficio del Comune, che però non può pretendere di dettare regole (l’obbligo di denuncia annuale anche quando non vi siano variazioni da comunicare) che non rispondono a reali esigenze impositive e che quindi, oltre ad andare contro i principi dettati dallo Statuto del contribuente, non rispondano neppure a criteri di ragionevolezza.
Con il quarto motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, il ricorrente denuncia un vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della legge n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente), in quanto per mezzo di quest’ultima norma la sentenza impugnata avrebbe interpretato il regolamento comunale nel senso che per il contribuente sia sufficiente una comunicazione solo quando vi sia una variazione e non ogni anno, ipotesi questa non contemplata dall’art. 10 citato.
Il motivo è infondato in quanto, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, le ipotesi contemplate dall’art. 10 in questione sono da considerarsi meramente esemplificative e non tassative: è stato infatti affermato da questa Corte che i casi di tutela espressamente enunciati dal suddetto art. 10 riguardano situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti e non limitano la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti (Cass. 14 gennaio 2015, n. 537) ed espressione del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. Ferma dunque l’applicabilità dell’art. 10 dello Statuto del contribuente, la sua interpretazione nel caso di specie è, come già affermato di precedenza, perfettamente ragionevole e rispondente al principio di effettività della capacità contributiva e alla specifica ratio della norme impositive in questione, che si fondano sulla sottoponibilità all’imposta delle aree produttive di rifiuti, senza che debba inutilmente e irragionevolmente pretendersi un onere – quella di una comunicazione periodica ogni anno – che non è funzionale rispetto ad una corretta definizione dell’imposta.
Con il quinto motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, il ricorrente denuncia un vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 25 del regolamento del comune di Lucca, in quanto tali norme prevederebbero che la dichiarazione di variazione in diminuzione sarebbe idonea a spiegare la propria efficacia solo dal giorno della sua comunicazione all’ente gestore, avvenuta il 1° febbraio 2005, mentre gli anni di imposta oggetto di contestazione vanno dal 2003 al 2006.
Il motivo è infondato in quanto, come già affermato di precedenza, l’interpretazione della complessiva normativa effettuata dalla sentenza costituisce un ragionevole punto di equilibrio tra le esigenze impositive dell’ente locale e la salvaguardia del principio di correttezza, solidarietà e effettiva capacità contributiva, che impone di evitare di gravare il contribuente di adempimenti e preclusioni non strettamente funzionali alla corretta riscossione delle imposte, oltre che non previste dalla disciplina statale che peraltro, in quanto fonte sovraordinata rispetto ai regolamenti, può da essi essere specificata ma non anche implicitamente derogata mediante la negazione della possibilità di affermare e provare, con una dichiarazione in variazione supportata da idonea documentazione, che una certa area era in passato inidonea a produrre rifiuti. In questa prospettiva la sentenza ha correttamente ritenuto la validità di una richiesta di esclusione dalla tariffa avvenuta in data 2 febbraio 2005 e non ripetuta l’anno successivo, a fronte dell’art. 70 del d.lgs. n. 507 del 1993, che prevede che debba avvenire entro il 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o della detenzione ma senza stabilire una sanzione in caso di superamento di tale data. In effetti dalla sentenza emerge che trattavasi, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, di imposte relative al 2006 nonché di alcune fatture relative al 2005 e al 2007, senza che dalla sentenza o dallo stesso ricorso sia emerso che il suddetto breve ritardo abbia determinato un qualche danno al ricorrente.
Il ricorso va dunque rigettato; nulla sulla spese in quanto il contribuente non si è costituito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; nulla sulle spese.
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