CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 maggio 2022, n. 16971

Rapporto di lavoro – Dirigente – Retribuzione di risultato – Omesso pagamento – Trattamento economico onnicomprensivo – Violazione del principio di irretroattività dei provvedimenti amministrativi – Esclusione

Fatti di causa

1. Con sentenza del 30 gennaio 2016 la Corte d’Appello di Cagliari confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta da F.D., nominato con delibera di giunta regionale del 29 luglio 2005 direttore generale della Presidenza della REGIONE SARDEGNA per la durata di tre anni, per il pagamento della retribuzione di risultato.

2. La Corte territoriale, condividendo la valutazione del Tribunale, riteneva che il decreto del Presidente della Regione del 9 marzo 2006 avesse rideterminato la retribuzione del dirigente generale nell’importo complessivo di € 11.500 mensili lordi, oltre alla tredicesima e quattordicesima mensilità (determinate in € 8.483 ciascuna). Il decreto, a differenza della delibera di incarico del 29 luglio 2005 e del primo contratto individuale del 5 agosto 2005― che menzionavano espressamente la retribuzione di risultato― aveva fissato una retribuzione «complessiva», senza indicare la retribuzione di risultato.

3. Ancora più chiaro era il testo della modifica contrattuale sottoscritta dalle parti il 31 marzo 2006. Lo stesso contratto precisava che la retribuzione era da considerarsi onnicomprensiva, espressione che non poteva interpretarsi nel senso che la retribuzione compensava ogni incarico ricevuto, sia dalla amministrazione che da terzi, perché non sarebbe stato necessario ribadire nel contratto individuale quanto già previsto nel CCRL (articolo 16 CCRL 2002/2005 e articolo 41 CCRL 2006/2009) e nell’articolo 24,comma tre, D.Lgs. nr. 165/2001.

4. Sul piano della interpretazione doveva altresì considerarsi che il trattamento economico era stato fissato in origine in € 69.357,14 annui oltre la retribuzione di risultato mentre con la nuova pattuizione esso era stato innalzato ad € 154.966 onnicomprensivi. La maggior somma di € 85.000 comprendeva anche la retribuzione di risultato, che nell’anno 2005 per i direttori generali era stata di € 16.454,88.

5. La clausola di salvezza di ogni altra pattuizione del precedente contratto del 5 agosto 2005, contenuta nel contratto del 31 marzo 2006, si riferiva alle disposizioni non economiche.

6. Rilevante era da ultimo, secondo il canone della condotta successiva delle parti, la condotta del DETTORE, che aveva rivendicato la retribuzione di risultato solo nell’estate del 2008; non era credibile la spiegazione della parte, che assumeva di non voler creare contrasti con la amministrazione nel corso dell’incarico, posto che alla data del tentativo di conciliazione, il 18 febbraio 2009, egli era ancora in carica.

7. Il decreto del Presidente della Regione del 9 marzo 2006, attuativo della delibera di giunta del 27 dicembre 2005, non aveva derogato alla struttura della retribuzione dei dirigenti; piuttosto, avendo deciso di aumentarla ai sensi dell’articolo 29 L.R. nr. 31/1998 (norma conforme all’articolo 19, comma sei, D.Lgs. nr. 165/2001), aveva espresso detta retribuzione in un importo globale, peraltro in via provvisoria, in attesa che la Giunta emanasse i criteri generali di cui al predetto articolo 29.

8. Si traeva conferma di tale interpretazione dal fatto che nel rinnovo del contratto individuale, del 5 agosto 2008, la cui legittimità non era stata contestata, era stato mantenuto un importo annuo identico, che tuttavia ― essendo stati nelle more indicati i criteri dalla giunta (delibera 2/2 del 14 gennaio 2008) ― era stato scomposto nella varie voci contrattuali.

9. Andava accolta la domanda riconvenzionale della REGIONE SARDEGNA per la restituzione della retribuzione di risultato corrisposta nel periodo agosto 2008-marzo 2009 in quote mensili aggiuntive alla retribuzione, in quanto la retribuzione di risultato doveva essere pagata― ed era stata pagata― a fine anno.

10. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza F.D., articolato in sei ragioni di censura, cui la REGIONE SARDEGNA ha resistito controricorso.

11. Il PG ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso

Ragioni della decisione

1.Con il primo motivo la parte ricorrente ha dedotto ― in relazione all’art. 360 nr . 5 (rectius: nr.3) cod. proc. civ. ― la violazione degli artt. 2, terzo comma, 19, sesto comma e 24, primo comma, del D. L.gs. nr. 165/2001; degli artt. 42 e ss. del CCRL, in correlazione con gli artt. 117, secondo comma, lett. l) Cost. e 3, 4 e 5 legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).

2. Si richiama la costante giurisprudenza costituzionale secondo la quale il trattamento economico dei dipendenti regionali appartiene alla materia dell’«ordinamento civile», che l’articolo 117, lettera l) Cost. e lo Statuto speciale della Regione Sardegna (articoli 3, 4 e 5 legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) riservano alla legislazione esclusiva statale, con conseguente impossibilità della Regione di intervenire nella regolamentazione del trattamento economico.

3. Si contesta la statuizione della Corte territoriale secondo cui il decreto del Presidente della Giunta Regionale nr. 17/2006 non avrebbe inciso sulla retribuzione del direttore generale della Presidenza della Regione, osservando che, in forza degli articoli 24, primo comma D.Lgs nr. 165/2001 e 31 L.R. nr. 31/1998, la struttura della retribuzione del dirigente deve obbligatoriamente prevedere un trattamento economico fondamentale ed uno accessorio ed, in quest’ultimo, la retribuzione di risultato, la cui maturazione presuppone la verifica a consuntivo della attività del dirigente. Si assume, in sostanza, che la Corte territoriale avrebbe fatto propri solo formalmente i principi enunciati dal giudice costituzionale.

4. La seconda critica è proposta ― in relazione all’art. 360 nr. 5 (rectius: nr.3) cod. proc. civ. ― sotto il profilo della violazione ed errata interpretazione: degli artt. 2, comma tre, 19, comma sei, e 24, comma dieci, del D. L.gs. nr. 165/2001 e degli articoli 29 e 31 della L.R. SARDEGNA nr. 31/1998; degli artt. 42 e ss. del CCRL del 19 marzo 2008, in combinato disposto con gli art. 117, secondo comma, lett. l) Cost. e 3, 4 e 5 legge costituzionale 26 febbraio 1948, nr. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).

5. Si insite nel sostenere che l’interpretazione accolta dal giudice dell’appello violerebbe le disposizioni normative relative alla struttura del trattamento economico dirigenziale e che il decreto del Presidente della Regione nr. 17 del 9 marzo 2006 ed il conseguente atto aggiuntivo avevano inteso unicamente integrare il trattamento economico del direttore generale della presidenza della Regione.

6. Il terzo mezzo denuncia ― in relazione all’art. 360 nr. 5 (rectius: nr.3) cod. proc. civ. ― la violazione: dell’articolo 97 Cost. e del principio di legalità della azione amministrativa; dei principi di efficienza, efficacia e di economicità; degli articoli 4 e 24, comma uno, D.L.gs. nr. 165/2001; degli articoli 8 e 31 della L. nr. 31/1998; degli articoli 40, 43 e 44 CCRL.

7. Secondo le deduzioni di parte ricorrente, l’interpretazione enunciata nella sentenza impugnata ― che trasforma la retribuzione di risultato da compenso condizionato al raggiungimento degli obiettivi a trattamento certo nell’ an ― violerebbe i principi di legalità della azione amministrativa, di buon andamento e di imparzialità.

8. I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

9. Le censure non hanno ad oggetto statuizioni in punto di diritto della sentenza impugnata, ma l’interpretazione del decreto del Presidente della Giunta regionale del 6 marzo 2006 e del contratto del 31 marzo 2006 enunciata dal giudice dell’appello. Trattasi di atti di natura privatistica, inerenti alla disciplina del trattamento economico dell’incarico dirigenziale conferito con la delibera di Giunta regionale del 29 luglio 2005.

10. Trova dunque applicazione il principio enunciato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (per tutte: Cassazione civile sez. lav., 12/08/2020, n.16931 e giurisprudenza ivi citata) secondo cui la interpretazione della volontà espressa nel contratto ― così come nell’atto unilaterale (nella specie adottato dal Presidente della Giunta) ― costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice del merito, sindacabile in sede legittimità unicamente sotto il profilo della violazione dei canoni legali di ermeneutica del contratti (articoli 1362 e segg. cod. civ.).

11. Non è, dunque, conferente la proposta denuncia di violazione di legge, che implica necessariamente un problema interpretativo di norme.

12. Inoltre, per costante giurisprudenza di questa Corte, la denuncia di violazione delle disposizioni del contratto collettivo di lavoro è ammessa solo con riferimento ai contratti collettivi di carattere nazionale e non anche per quelli sottoscritti in ambito regionale o locale. Detto principio trova applicazione anche ai contratti stipulati dalle province e dalle regioni a statuto speciale (Cassazione civile sez. lav., 05/01/2018, n.156; Cass. 18.4.2016 n. 7671; Cass. 2.3.2009 n. 5025; Cass. 25.11.2005 n. 24865).

13. In punto di diritto, il giudice dell’appello non ha affermato che la retribuzione di risultato fosse dovuta anche in assenza di verifica dei risultati né che essa, all’opposto, non fosse stata prevista nel contratto, ma piuttosto che il suo importo era già compreso nella somma globale fissata con la modifica contrattuale.

14. Con il quarto motivo la parte ricorrente ha lamentato ― in relazione all’art. 360 nr . 5 (rectius: nr.3) cod. proc. civ. ― la violazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ.

15. Nell’assunto di parte ricorrente, l’interpretazione esposta dal giudice dell’appello in ordine all’espressione trattamento economico «onnicomprensivo», di cui al contratto del marzo 2006, sarebbe in contrasto con le disposizioni legislative e gli accordi collettivi e violerebbe i criteri ermeneutici fissati dagli articoli 1362 e segg. cod. civ.

16. Il ricorrente ha addebitato al giudice dell’appello di non avere considerato il deliberato della Giunta regionale del 27 dicembre 2005 (nr. 62/3), che aveva disposto di integrare il trattamento economico del dirigente con la fissazione di un assegno mensile ed aveva delegato il Presidente della Regione esclusivamente a stabilirne la entità. Restavano, dunque, nel resto immutate le previsioni dell’originaria delibera del 29 luglio 2005 e del contratto del 5 agosto 2005, secondo cui competeva al direttore generale della presidenza della Regione la retribuzione di risultato, nella misura e con le modalità previste per i dirigenti regionali; in tal senso disponeva anche il contratto sottoscritto il 31 marzo 2006, secondo il quale restava fermo quant’altro disposto con il contratto precedente.

17. La quinta critica è proposta ― in relazione all’art. 360 nn.rr. cinque e sei (rectius: nr. 3) cod. proc. civ. ― sotto il profilo della violazione: degli articoli 1362 e ss. e 1372 cod. civ.; degli artt. 19 e 24 D. L.gs. nr. 165/2001; degli artt. 29 e 31 L.R. SARDEGNA nr. 31/1998; degli artt. 42 e ss. del CCRL del 19 marzo 2008.

18. Si contesta l’interpretazione offerta nella sentenza impugnata nella parte in cui fa leva sulla condotta del dirigente successiva alla conclusione del contratto. Il ricorrente ha ribadito di avere ritardato la iniziativa giudiziaria al solo scopo di non creare un contenzioso in costanza della carica ed ha lamentato la mancata considerazione da parte del giudice dell’appello della valutazione positiva riportata in ciascun anno, con il giudizio di ottimo.

19. Si assume che il decreto del presidente della Regione nr. 17/2006, se interpretato nei sensi accolti dalla Corte di merito, sarebbe affetto da nullità, essendo intervenuto autoritativamente su una materia ― la struttura del trattamento economico del dirigente ― riservata alla contrattazione, eliminando la retribuzione di risultato.

20. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

21. Nel censurare l’interpretazione del decreto presidenziale del 6 marzo 2006 e del contratto individuale del 31 marzo 2006 posta a base della sentenza impugnata la parte ricorrente non indica, con la necessaria specificità, il canone ermeneutico violato e le ragioni della denunciata violazione, ma propone a questa Corte un’interpretazione alternativa degli stessi atti, conforme alle proprie aspettative.

22. Va invece ribadito che in materia di interpretazione di atti negoziali l’interpretazione data dal giudice di merito, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (tra le tante: Cass. nr. 26158 del 2020; Cass. nr. 27136 del 2017; Cass. nr. 24539 del 2009).

23. Anche nel dedurre il vizio di nullità del testo contrattuale che deriverebbe dalla interpretazione enunciata dal giudice del merito, il ricorrente non si confronta con l’effettiva ratio decidendi della sentenza: come si è già evidenziato nel trattare i primi tre motivi di ricorso, la Corte territoriale non ha affatto affermato che la retribuzione di risultato non fosse dovuta― o che non dovesse essere applicata la disciplina collettiva relativa alla struttura della retribuzione― ma semplicemente che il quantum maturato per la retribuzione di risultato fosse già compreso nella somma gobale fissata dalle parti. Né tale statuizione comporta, diversamente da quanto assume la parte ricorrente, che la retribuzione di risultato fosse dovuta anche in caso di valutazione non- positiva.

24. Con il sesto motivo si denuncia ― in relazione all’art. 360 nn.rr. cinque e sei (rectius: nr. 3) cod.proc.civ.― la violazione del principio di irretroattività dei provvedimenti amministrativi nonché dell’articolo 11 disp. prel. cod. civ.

25. La censura afferisce all’accoglimento della domanda riconvenzionale della Regione Sardegna.

26. La parte ricorrente lamenta la applicazione retroattiva al contratto del 31 marzo 2006 della delibera di Giunta regionale del 14 gennaio 2008 nr.2/2

27. Il ricorrente ha dedotto che la suddetta delibera si limitava a fissare i criteri generali per il trattamento economico dei direttori generali esterni alla amministrazione regionale, da specificare con il contratto individuale e che ― anche a voler ritenere applicabile tale delibera ai contratti in corso ― sarebbe stata necessaria una nuova intesa tra le parti per la determinazione del trattamento economico.

28. Il motivo è inammissibile, in quanto non pertinente alla ratio decidendi della sentenza impugnata.

29. La Corte territoriale, nell’escludere che la domanda riconvenzionale della amministrazione regionale fosse fondata sulla applicazione retroattiva della nuova struttura retributiva, ha dato atto:

– che vi era stato in data 5 agosto 2008 un rinnovo del contratto individuale (come esposto più diffusamente alla pagina 9 della sentenza, al primo capoverso);

– che il recupero riguardava questo nuovo contratto ovvero le retribuzioni corrisposte da agosto 2008 a marzo 2009;

– che erroneamente la retribuzione di risultato era stata corrisposta al DETTORI in detto arco di tempo in aggiunta alla retribuzione mensile, in quote anticipate; che invece essa doveva essere pagata ― ed era stata pagata ― a fine anno.

30. Tale ratio decidendi non è toccata dal motivo di impugnazione.

31. Per quanto esposto il ricorso deve essere dichiarato nel complesso inammissibile.

32. Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

33. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art.1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).

P.Q.M.

Dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed € 7.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.