CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 ottobre 2018, n. 27094
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Natura discriminatoria – Prova – Effettività delle ragioni di riorganizzazione aziendale
Fatto
Con sentenza del 25 marzo 2016, la Corte d’appello di Napoli rigettava gli appelli principale e incidentale rispettivamente proposti da T. Italia s.r.l. e da C.I. avverso la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato dalla prima il 21 dicembre 2011, con le conseguenti condanna reintegratoria e risarcitoria (in misura delle retribuzioni globali di fatto dalla data di licenziamento a quella di reintegrazione), senza tuttavia riconoscerne la natura discriminatoria allegata dalla lavoratrice.
Preliminarmente disattesa l’inammissibilità dell’appello, avendo escluso la denunciata genericità dei motivi in quanto conformi alle prescrizioni dell’art. 434 c.p.c. nel testo anteriore alla novella n. 134/2012 applicabile ratione temporis, la Corte territoriale negava la sussistenza della prova della natura discriminatoria del licenziamento, del quale riteneva tuttavia l’illegittimità. E ciò, pure avendo verificato l’effettività delle ragioni di riorganizzazione aziendale addotte e senza alcuna interferenza sulla congruità della scelta imprenditoriale nel rispetto della libertà di iniziativa economica costituzionalmente garantita (art. 41 Cost.). Ma piuttosto, accertata la soppressione della posizione lavorativa di C.I. e la fungibilità delle mansioni svolte da questa e dal collega A., essa ravvisava, nell’indebita preferenza del secondo alla prima, la violazione del principio di correttezza e buona fede, ai sensi dell’art. 1175 c.c., nell’esercizio del recesso datoriale. E ciò per la prevalenza della lavoratrice licenziata, in base ai criteri di carico familiare e di anzianità di servizio, predeterminati per legge, in assenza di diversi parametri stabiliti da accordi sindacali, a norma dell’art. 5 I. 223/1991 per i licenziamenti collettivi, analogicamente adottabili anche per i licenziamenti individuali in funzione di concretizzazione del principio generale richiamato.
Con atto notificato in data 8 (18) agosto 2016, la società datrice ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui resisteva la lavoratrice con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce nullità della sentenza e violazione e falsa applicazione degli artt. 132, n. 4 c.p.c. e 41 Cost., per l’erroneo assunto, con motivazione manifestamente illogica, di fungibilità completa di tutte le posizioni lavorative aziendali, nonostante la risultanza dalle prove testimoniali di mancato svolgimento dalla lavoratrice licenziata di mansioni commerciali, con la conseguente inapplicabilità del principio di buonafede, sulla base del riferimento ai criteri degli artt. 4, 5 e 24 I. 223/1991, 3 e 8 I. 604/1966, 18 I. 300/1970.
2. Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 41 Cost., 3, 8 I. 604/1966, 18 I. 300/1970, 1175, 1375 c.c., 4, 5 e 24 I. 223/1991 ed omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in riferimento al difetto “di alcuna confutazione sul punto” riguardante la dedotta inesistenza di fungibilità delle posizioni lavorative di C.I. e del collega A., essendo stata la prima esclusivamente addetta ad attività di operations, ossia di pianificazione degli audit, di fatturazione e gestione dei report di ispettori, tecnici e consulenti, necessari alla fatturazione, mentre il secondo ad attività di sales, ossia commerciali, mai svolte dalla prima, per travisamento delle testimonianze.
3. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 8 I. 604/1966, 18 I. 300/1970, per erronea assunzione di illegittimità del licenziamento in base ad illegittima ingerenza, in violazione dell’art. 41 Cost., in relazione all’art. 3 I. 604/1966, nell’organizzazione dell’attività di impresa di T. Italia s.r.l. ed omesso esame di un punto decisivo per il giudizio, in riferimento all’effettiva consistenza della posizione lavorativa di C.I., non fungibile con quella del collega preferito nel processo di riorganizzazione aziendale, per soppressione del posto della prima effettivamente realizzata.
4. Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 8 I. 604/1966, 18 I. 300/1970 ed omessa motivazione anche per il mancato esame di uno specifico motivo di appello oggetto di discussione tra le parti, riguardante la reale soppressione della posizione lavorativa di C.I. e la successiva chiusura di tutta l’unità locale di Napoli, a conferma della legittimità e non pretestuosità del licenziamento.
5. Tutti i motivi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.
5.1. In primo luogo, i vizi motivi denunciati sono inammissibili, posto che ricorre l’ipotesi di cd. “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter, quinto comma c.p.c., applicabile, ai sensi dell’art. 54, secondo comma d.l. 83/2012 conv. con modif. dalla l. 134/2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012.
La ricorrente non ha infatti indicato, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis), le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità (Cass. 10 marzo 2014, n. 5528; Cass.22 dicembre 2016, n. 26774).
5.2. In ogni caso, la circostanza è stata oggetto di esame e adeguatamente valutata (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 12 al penultimo di pg. 15 della sentenza). Sicchè, nell’inconfigurabilità della violazione di norme di legge denunciata, in difetto dei requisiti propri (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984) né trattandosi di vizi di sussunzione dei fatti accertati dal giudice di merito nelle ipotesi normative denunciate (Cass. 28 novembre 2007, n. 24756), ma proprio di una prospettata loro diversa ricostruzione, entrambi i motivi si risolvono in una revisione del merito, sulla base della contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento di fatto della Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694).
5.3. Neppure ricorre, per le ragioni dette, il denunciato vizio di illogicità manifesta, ancora sotto il controllo di coerenza della motivazione, oggi esclusivamente rilevante, ai sensi del novellato testo dell’art. 360, primo coma, n. 5 c.p.c., quale anomalia integrante una “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, ovvero una “motivazione apparente”, o un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o una “motivazione perplessa Corte di Cassazione – copia non ufficiale ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 20 novembre 2015, n. 23828; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940).
6. Nel merito, occorre ribadire come, secondo il più recente e condivisibile insegnamento di questa Corte, ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisca presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa, non essendo la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro sindacabile nei profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell’art. 41 Cost. (Cass. 7 dicembre 2016, n. 25201; Cass. 3 maggio 2017, n. 10699).
6.1. Qualora poi la riorganizzazione imprenditoriale sia modulata, non già sulla soppressione tout court della posizione lavorativa, ma piuttosto sulla riduzione di personale in una porzione dell’ambito organizzativo (reparto), come appunto nel caso di specie, si pone una questione (invece inconferente nella diversa ipotesi di soppressione di posizione lavorativa: Cass. 7 giugno 2017, n. 14178) di valutazione comparativa tra lavoratori di pari livello, interessati dalla riduzione ed occupati in posizione di piena fungibilità (Cass. 21 dicembre 2016, n. 26467; Cass. 14 giugno 2007 n. 13876; Cass. 3 aprile 2006, n. 7752), nel rispetto del principio di correttezza e buona fede nell’individuazione del dipendente da licenziare (Cass. 13 ottobre 2015, n. 20508; Cass. 11 giugno 2004 n. 11124).
6.2. Ebbene, la Corte territoriale ha correttamente applicato i su enunciati principi di diritto in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (illustrati dal primo capoverso di pg. 9 al quinto alinea di pg. 10 della sentenza), senza interferire in alcun modo sulla libertà di scelta imprenditoriale e con un compiuto esame del fatto, pure adeguatamente valutato (per le ragioni illustrate dal primo capoverso di pg. 10 al penultimo di pg. 12 della sentenza).
6.3. In realtà, la società ricorrente ha contestato l’accertamento valutativo in fatto della Corte di merito, insindacabile in sede di legittimità siccome di spettanza esclusiva del giudice di merito (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), adeguatamente argomentato per le ragioni dette, neppure specificamente confutate.
7. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso e la regolazione delle spese del giudizio di legittimità secondo il regime di soccombenza, con distrazione al difensore antistatario secondo la sua richiesta.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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