CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 settembre 2018, n. 22545
Professionisti – Dottori commercialisti – Domanda di partecipazione al bando regionale – Assegnazione di un contributo in conto capitale per un progetto imprenditoriale – Presentazione oltre la scadenza
Fatti di causa
1. G. C. e A. T. ricorrono per cassazione, sulla base di cinque motivi, per l’annullamento della sentenza n. 89/14 del 17 gennaio 2014 della Corte di Appello di Brescia che – accogliendo parzialmente l’appello proposto da R. F. avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Mantova, sezione distaccata di Castiglione delle Stiviere, n. 204/10 del 16 dicembre giugno 2010 – condannava gli odierni ricorrenti, quali titolari dell’omonimo studio commerciale, a risarcire alla F. il danno derivante dalla mancata erogazione di un contributo a fondo perduto di € 25.000,00, oltre rivalutazione ed interessi legali, nonché alla rifusione delle spese processuali di ambo i gradi di giudizio.
2. Riferiscono, in punto di fatto, i ricorrenti di essere stati convenuti in giudizio dalla F., la quale assumeva di aver incaricato, per il tramite di M. C. (fratello di G.), lo studio commerciale, del quale essi sono titolari, di provvedere alla redazione e presentazione della domanda di partecipazione ad un bando della Regione Lombardia, per l’assegnazione di un contributo in conto capitale per un progetto imprenditoriale, nonché alle successive attività necessarie all’erogazione dello stesso. Pur essendo stato ammesso il progetto in questione, in data 3 marzo 2005, alla fruizione del contributo di € 25.000,00, la F. apprendeva, successivamente, che lo stesso non le sarebbe stato, in realtà, erogato. E ciò in quanto la richiesta di erogazione, corredata dalla necessaria documentazione, risultava presentata oltre la scadenza – 15 giugno 2005 – indicata nell’atto di accettazione.
Assumendo, dunque, che il predetto studio professionale non avesse svolto con diligenza l’incarico conferitogli, la F. conveniva in giudizio, nella loro già ricordata qualità, gli odierni ricorrenti, i quali – nell’eccepire di non aver ricevuto dalla donna alcun incarico – chiedevano il rigetto della domanda risarcitoria avanzata nei loro confronti e, comunque, di essere autorizzati a chiamare in giudizio (con istanza accolta dall’adito Tribunale) M. C..
Il primo grado di giudizio veniva definito con il rigetto della domanda attorea, sul presupposto che la F. non avesse provato né l’avvenuto conferimento, alle controparti, dello specifico incarico professionale, né che il contributo di € 25.000,00 le sarebbe stato effettivamente conferito.
Su appello della F. la sua domanda risarcitoria veniva, invece, accolta, individuandosi in G. C. e A. T., quali titolari dell’omonimo studio professionale, i soli destinatari dell’incarico suddetto.
3. Avverso la sentenza della Corte bresciana hanno proposto ricorso per cassazione il C. e il T., svolgendo cinque motivi.
3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – si ipotizza la nullità della sentenza impugnata “in riferimento all’art. 112 cod. proc. civ.”, ovvero “per omessa pronuncia sull’eccezione invocata da Studio Commerciale C.-T. in ordine alla consegna dei documenti da parte della Sig.ra R. F.”.
Si deduce che la Corte bresciana avrebbe omesso “qualsivoglia esame e pronuncia” sull’eccezione da essi formulata – già in primo grado, oltre che reiterata in appello – “in relazione al difetto di allegazione e prova della tempestiva consegna dei documenti da parte della Sig.ra F. ai fini della loro spedizione nei termini del bando”. L’assunto di fondo è che lo studio professionale del quale essi ricorrenti sono titolari non fu in grado di far pervenire il 15 giugno 2005 la domanda di erogazione del contributo, perché l’interessata non mise tempestivamente a disposizione la documentazione occorrente a corredo della stessa. Orbene, trattandosi, nelle specie di una “eccezione inadempienti non est adimplendum ai sensi dell’art. 1460 cod. civ.”, gravava sulla F. “il preciso onere di provare l’esatto adempimento”, ovvero la tempestiva consegna dei documenti.
Risulterebbe, dunque, evidente che se la Corte di Appello si fosse pronunciata su tale eccezione, essa – in accoglimento della stessa (giacché è la medesima pronuncia impugnata a dare conto che la richiesta di erogazione venne firmata dalla F. solo in data 15 giugno 2005) – avrebbe dovuto respingere la domanda, “attesa l’evidente impossibilità di spedire prima del 15/06/05” la domanda de qua.
3.2. Il secondo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. – ipotizza il “vizio di contraddittoria motivazione” in ragione dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, costituito, nuovamente, dalla “consegna dei documenti da parte della Sig.ra F.”.
La Corte di Appello, infatti, avrebbe mancato di esaminare tale circostanza, sulla quale, invece, il primo giudice aveva fondato la propria pronuncia di rigetto della domanda attorea.
3.3. Il terzo motivo – proposto nuovamente ai sensi del n. 5) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ. – deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, identificato nell’avvenuto “adempimento da parte della Sig.ra F. a tutti gli obblighi previsti dal bando”.
In particolare, l’impugnata sentenza avrebbe omesso di considerare che gli obblighi in questione “non si esaurivano in quelli necessari all’ammissione nella graduatoria, ma contemplavano anche adempimenti successivi a tale ammissione e necessari all’effettiva erogazione del contributo”, l’apprezzamento dei quali (come ben avrebbe evidenziato, diversamente dalla Corte di Appello, il giudice di prime cure) si palesava come decisivo per affermare che “la mancata erogazione del contributo era dipesa esclusivamente dal ritardo nella presentazione della relativa richiesta”.
3.4. Il quarto motivo – dedotto sempre ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. – ipotizza “vizio di contraddittoria e insufficiente motivazione” in ragione di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti “inerenti il mandato professionale”.
Si denuncia, in particolare, una supposta contraddittorietà nel ragionamento del secondo giudice, giacché esso – dopo aver escluso l’esistenza di “alcuna prova atta a dimostrare che la F. avesse dato al Rag. M. C. l’incarico di occuparsi dell’istruttoria” relativa all’attribuzione del contributo cui aspirava – ha ravvisato l’esistenza di “elementi probatori documentali di una certa consistenza atti a dimostrare che la pratica regionale di finanziamento fosse stata affidata dalla F. allo Studio commerciale C.- T.”, laddove la stessa parte attrice avrebbe “sempre dedotto di aver affidato il preteso incarico professionale allo studio Commerciale” proprio “nella persona del Rag. M. C.”.
3.5. Con il quinto motivo – del pari proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. – si ipotizza “vizio di contraddittoria e insufficiente motivazione” in ragione di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti “inerenti il nesso causale tra la condotta dello Studio professionale e il danno lamentato dalla Sig.ra F.”.
In particolare, si addebita alla Corte bresciana di non aver valutato la circostanza (da essi ricorrenti fatta valere in primo come in secondo grado, e già valorizzata dal Tribunale mantovano) che la F. “avrebbe potuto impugnare il provvedimento di diniego del contributo ed era quindi l’unica responsabile della mancata erogazione”.
Palesemente illegittima, infatti, si presenterebbe la previsione – contenuta nel bando di ammissione al contributo – della data del 15 giugno 2006 come termine di arrivo (e non di semplice spedizione) della documentazione destinata a corredare, necessariamente, la domanda di erogazione, visto che quella stessa data era, contraddittoriamente, indicata come l’ultima utile per “concludere tutti gli investimenti ed ottemperare agli eventuali obblighi di assunzione previsti nel programma di investimento”.
4. Non ha resistito, con controricorso, alla descritta impugnazione la F., dichiarando – con nota del 4 agosto 2014 – di non voler contraddire in ordine ad esso, in quanto gravata da difficoltà di natura economica e non in grado di assumere costi (e rischi) della partecipazione al presente giudizio, chiedendo solo di essere ammessa a discutere, a norma dell’art. 370, comma 1, ultima parte, cod. proc. civ.
5. Non ha resistito, con controricorso, alla descritta impugnazione neppure M. C.
6. I ricorrenti hanno presentato memoria ex art. 378 cod. proc. civ., insistendo nelle proprie argomentazioni (e sottolineando come la Corte di Appello di Brescia abbia disposto, ex art. 373 cod. proc. civ., la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata), eccependo l’assenza di valida procura speciale in relazione alla nota depositata per la F..
Successivamente, hanno depositato un certificato attestante l’avvenuto decesso della F.
7. Alla discussione orale non è stato ammesso il preteso difensore della F., essendo stato rilevato il difetto di procura speciale, il cui rilascio – ammissibile, allo scopo di consentire la sua partecipazione all’udienza di discussione, anche se rilasciato in calce o a margine della copia notificata del ricorso – è comunque condizione indispensabile affinché possa trovare applicazione il disposto di cui all’art. 370, comma 1, ultima parte, cod. proc. civ.(cfr. Cass. Sez. Un., sent. 13 giugno 2014, n. 13431, Rv. 631298-01).
Ragioni della decisione
8. In via preliminare va rilevato che il sopravvenuto decesso della F., nella pendenza del presente giudizio di legittimità, non ha effetto alcuno su di esso.
8.1. Va, infatti, ribadito che nel giudizio di cassazione, “in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, né consente agli eredi di tale parte l’ingresso nel processo” (da ultimo, Cass. Sez. Lav., sent. 29 gennaio 2016, n. 1757, Rv. 638717-01).
9. Il ricorso va rigettato.
9.1. Il primo motivo non è fondato.
Sul punto, occorre muovere dal rilievo che “non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo” (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 6 dicembre 2017, n. 29191, Rv. 646290-01), giacché tale vizio è “configurabile allorché manchi completamente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto”, dovendo, invece, “essere escluso, pur in assenza di una specifica argomentazione, in relazione ad una questione implicitamente o esplicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza” (Cass. Sez. Lav., sent. 26 gennaio 2016, n. 1360, Rv. 638317-01).
Orbene, l’evenienza testé descritta è quella sussistente nel caso di specie, avuto riguardo anche al fatto che quella sollevata in primo grado dagli odierni ricorrenti (e da essi riposta in appello, ex art. 345 cod. prc. civ.), non era certo – come i medesimi ribadiscono, erroneamente, ancora in questa sede – un’eccezione del tipo “inadimplenti non est adiplendum”, la cui prova sarebbe stata a carico della parte diversa da quella eccipiente, ovvero, nella specie, della F., e in difetto della quale il giudice avrebbe dovuto ritenere scusabile il comportamento del C. e del T..
Invero, la tempestiva consegna, da parte della F., dei documenti necessari a corredare la richiesta di erogazione del contributo (e previsti, peraltro, come si dirà meglio di seguito, a pena di “revoca” dallo stesso, e non di “mancata ammissione” alla sua fruizione) non costituiva certo un “obbligo contrattuale” assunto dalla stessa verso gli odierni ricorrenti, nell’ambito di un contratto a prestazioni corrispettive, di talché il riferimento all’art. 1460 cod. civ. non risulta, nella specie, pertinente.
9.2. Neppure il secondo motivo di ricorso è fondato.
Il “fatto” della mancata tempestiva consegna dei documenti da parte della F. – il cui esame si assume essere stato omesso dalla Corte bresciana – è, a tacer d’altro, privo di “decisività”, ovvero non “idoneo a determinare un esito diverso della controversia” (da ultimo, ex multis, Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 646308-01).
Dalla lettura del punto 2.6 del bando per l’ammissione al contributo, punto relativo agli “Obblighi del beneficiario” – così come riprodotto nello stesso ricorso qui in esame, per l’esattezza a pag. 4 – emerge che la richiesta di erogazione, o meglio la dichiarazione di “accettazione del contributo”, dovesse pervenire “entro il 15 giugno 2005”, facendo fede unicamente “la data di arrivo”. Non risulta, invece, a carico del richiedente l’onere di inviare la stessa a mezzo di raccomandata, ovvero attraverso altra specifica modalità, di talché il fatto che la F. abbia sottoscritto in quella stessa data del 15 giugno 2005 la dichiarazione suddetta, fornendo contestualmente – e non prima – la documentazione necessaria a corredarla, non impediva certo allo studio professionale C.-T. di curare la consegna in tale data; donde, appunto, la “non decisività” del suo esame.
9.3. Non fondato è – per ragioni analoghe – anche il terzo motivo.
Invero, gli “adempimenti successivi” ai quali – nuovamente in forza del bando di gara – la F. era tenuta, ai fini dell’effettiva erogazione del contributo, erano previsti (come emerge dalla stessa ricostruzione che di essi propongono i ricorrenti a pag. 29 del loro atto di impugnazione) a pena di “revoca del contributo [già, n.d.r.] concesso”.
Nella specie, si discute, invece, di responsabilità da mancata erogazione di un contributo – per intempestività della presentazione della domanda di accettazione – alla cui fruizione la F. era stata
già ammessa, di talché, nuovamente, la circostanza il cui esame sarebbe stato omesso si palesa come priva di decisività.
9.4. Anche il quarto motivo non è fondato.
La circostanza che la sentenza impugnata abbia ritenuto concluso il contratto d’opera professionale con G. C. e A. T. a prescindere dall’intervento del fratello del primo (il Ragionier M.), che pure era stato indicato dalla F., nella propria domanda, come “tramite” per l’affidamento dell’incarico allo studio professionale degli odierni ricorrenti, non integra quella “radicale contraddittorietà” della motivazione, tale da renderla “perplessa ed incomprensibile”, così da consentire il sindacato su di essa, da parte di questa Corte, ai sensi del novellato testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis al presente giudizio).
Difatti, in virtù dell’avvenuta riduzione al “minimo costituzionale”, dello scrutinio sulla motivazione della sentenza di merito demandato a questa Corte, il sindacato di legittimità non potrà più investire la “sufficienza” dell’apparato motivazionale che sorregge il provvedimento giurisdizionale impugnato (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonché – ex multis – Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01), a meno che non ricorra l’ipotesi della motivazione apparente, ipotizzabile, però, solo quando essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01).
9.5. Infine, neanche il quinto – ed ultimo – motivo di ricorso è fondato.
Difatti, una volta accertato – attraverso l’applicazione del principio del “più probabile che non”, destinato ad operare anche con riferimento alle responsabilità dei professionisti diversi da quelli del settore sanitario (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 24 ottobre 2017, n. 25112, Rv. 646451-01; ma si veda anche, con specifico riferimento alla responsabilità dei dottori commercialisti, Cass. Sez. 3, sent. 24 aprile 2010, n. 25112, Rv. 646451-01) – il nesso causale tra la condotta omissiva del professionista ed il danno subito dal cliente (qui, rispettivamente, costituiti dall’omessa tempestiva presentazione della dichiarazione di accettazione del contributo e la mancata erogazione dello stesso), ogni valutazione circa l’eventuale possibilità, per la F., di coltivare proficuamente in sede giudiziale l’impugnativa del provvedimento di esclusione attiene ad una possibile “neutralizzazione” delle conseguenze del danno subito.
Si tratta, in altri termini, della valutazione di una circostanza astrattamente rilevante ai fini ed agli effetti dell’art. 1227, comma 2, cod. civ., ma ancora una volta priva di decisività.
Infatti, sebbene il danneggiato sia tenuto anche ad una condotta “positiva” diretta a limitare (o escludere) le conseguenze dannose dell’altrui inadempimento, essa – dovendo essere valutata alla stregua dell’art. 1375 cod. civ., e quindi del principio dell’’apprezzabile sacrificio” – non può includere attività che siano anche soltanto “gravose” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 9 febbraio 2004, n. 2422, Rv. 569992-01; Cass. Sez. 3, sent., 25 settembre 2009, n. 20684, Rv. 609436-01), quale, in particolare, è stata ritenuta l’esperimento delle azioni giudiziarie (cfr., in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 29 settembre 2017, n. 22820).
10. Nulla va disposto quanto alle spese, in difetto di intervento in giudizio della F. e di M. T..
11. A carico dei ricorrenti, atteso l’integrale rigetto della proposta impugnazione, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
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