CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 settembre 2018, n. 22688
Socio lavoratore di cooperativa – Delibera di esclusione della società – Accertamento – Danno alla professionalità – Risarcimento
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Bologna respinse il ricorso proposto da P.E.P., socio lavoratore della C. soc. coop. p.a., volto ad ottenere l’accertamento della illegittimità della delibera di esclusione dalla società e del conseguente licenziamento; l’annullamento delle sanzioni conservative inflitte; la condanna della società a ripristinare il rapporto di lavoro reintegrandolo ed a risarcire il danno, ivi compreso quello derivato dall’ingiuriosità del licenziamento, il danno alla professionalità, i danni morali, il rimborso delle spese ed i danni da infortunio. Il primo giudice, respinta l’eccezione formulata dalla società di decadenza dall’impugnazione della delibera, ha tuttavia ritenuto provati gli addebiti posti a fondamento delle sanzioni conservative e quelli che avevano determinato l’esclusione del socio dalla compagine sociale ai sensi dell’art. 13 dello Statuto della cooperativa, ai cui era poi seguito il licenziamento.
2. La Corte di appello di Bologna, investita del gravame della sentenza da parte di P.E.P., ha ritenuto fondata l’eccezione di decadenza dall’impugnazione della delibera assembleare reiterata in appello dalla società totalmente vittoriosa in primo grado. Il giudice di appello ha infatti osservato che avverso la delibera di esclusione del socio avrebbe dovuto essere proposta opposizione, ai sensi dell’art. 2533 comma 3 cod. civ., davanti al giudice nel termine di sessanta giorni dalla sua comunicazione poiché si tratta dell’unico rimedio accordato al socio escluso per far valere l’illegittimità del provvedimento anche nel caso in cui se ne contesti la regolarità. Eventuali vizi del provvedimento non possono essere dedotti in giudizio, né rilevati d’ufficio dal giudice, una volta decorso il termine di decadenza dall’impugnazione. Conclusivamente la Corte di merito ha ritenuto che alla definitività della delibera di esclusione del socio, tardivamente impugnata, consegue, ai sensi dell’art. 5 comma 2 della legge n. 142 del 2001 come modificata dall’art. 9 della legge n. 30 del 2003, l’estinzione del rapporto di lavoro.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre P.E.P. che articola un unico motivo al quale resiste con controricorso la C. soc. coop. p.a.. P.E.P. ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
Ragioni della decisione
4. Con l’unico motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 1 e dell’art. 5 della legge 3 aprile 2001 n. 142 nonché dell’art. 2533 cod.civ., in ordine all’applicabilità del doppio termine stragiudiziale e giudiziale di impugnazione del licenziamento di socio lavoratore causato da motivi esclusivamente disciplinari.
4.1. Rammenta il ricorrente che la delibera di esclusione dalla cooperativa, comunicata il 24 marzo 2010, era stata impugnata stragiudizialmente in data 26 marzo 2010. Che a tale impugnazione era seguita, ai sensi dell’art 14 e dell’art. 45 dello Statuto sociale della cooperativa, l’ulteriore impugnazione davanti al Collegio arbitrale nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione. Che il Collegio arbitrale aveva declinato la propria competenza evidenziando che si trattava di esclusione dalla compagine sociale da ricollegare a ragioni disciplinari attinenti allo svolgimento del rapporto di lavoro e non ad inadempimenti del rapporto mutualistico. Che per conseguenza il lavoratore aveva impugnato il licenziamento davanti al giudice del lavoro, stante l’impugnativa stragiudiziale dello stesso nel termine decadenziale, entro il termine quinquennale di proposizione dell’azione giudiziaria allora vigente.
4.2. Tanto premesso sostiene il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 2533 cod. civ., che impone che l’impugnazione della delibera assembleare di esclusione del socio sia proposta al giudice nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione. Ritiene infatti che, come affermato da questa Corte in numerose pronunce, quando il recesso sia determinato da ragioni disciplinari attinenti alle modalità di svolgimento del rapporto di lavoro tale disposizione non trovi applicazione dovendosi applicare il regime processuale e sostanziale previsto per ogni altro lavoratore e dunque, nel caso in esame, l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento nel termine di sessanta giorni dalla sua comunicazione e, a seguire, l’impugnazione davanti al giudice nel termine di cinque anni.
5. Il ricorso è infondato.
5.1. Si controverte della necessità di impugnare davanti al giudice nel termine di decadenza di sessanta giorni la delibera di esclusione del socio cui consegua, automaticamente, l’interruzione del rapporto di lavoro.
5.2. Occorre premettere che nel ricorso si afferma che in data 23 marzo 2010 il lavoratore socio della cooperativa era stato licenziato in tronco e che in pari data era stata comunicata la esclusione dalla società e l’interruzione del vincolo associativo.
5.3. La sentenza impugnata dà atto che all’odierno ricorrente venne inviato in data 23.3.2010 un telegramma con il quale la società comunicava l’interruzione del rapporto di lavoro associativo e, nello stesso giorno, una raccomandata con la quale si partecipava al socio lavoratore che l’ Assemblea della Cooperativa ne aveva deliberato l’esclusione a norma dell’art. 13 dello Statuto Sociale e dell’art. 9 del Regolamento Sociale e l’interruzione dalla stessa data del rapporto di lavoro, estinto ai sensi degli artt. 8 e 9 del Regolamento oltre che ai sensi della legge n. 142 del 2001 e ss. mm ..
5.4. Nel ricorso non è stata riprodotta la comunicazione della delibera assembleare comunicata con lettera raccomandata del 23 marzo 2010 che neppure viene allegata né è indicato dove potrebbe essere reperita nei fascicoli di parte. Non è possibile perciò verificare se, effettivamente, si trattava di un provvedimento soggetto alla disciplina dell’art. 2533 cod. civ. e non piuttosto al regime generale di impugnazione dei licenziamenti vigente ratione temporis ( si tratta di risoluzione antecedente l’entrata in vigore della legge n. 183 del 2010 con la quale sono stati introdotti termini decadenziali più stringenti per l’impugnazione dei licenziamenti).
5.5. Per tale aspetto la censura, non sufficientemente specifica, è inammissibile perché in violazione dell’art. 366 primo comma n. 6 cod. proc. civ..
5.6. In ogni caso va rilevato che la sentenza della Corte territoriale appare conforme all’orientamento poi consolidatosi davanti a questa Corte (cfr. Cass. s.u. 20/11/2017 n. 27436) secondo il quale la cessazione del rapporto associativo trascina con sé ineluttabilmente quella del rapporto di lavoro. In questo senso l’art. 5 comma 2 della legge n. 142 del 2001 esclude che il rapporto di lavoro possa sopravvivere alla cessazione di quello associativo. Si è chiarito che si tratta di regola “espressione di quella generale fissata in tema di esclusione del socio di cooperativa dall’art. 2533 c.c., in virtù della quale «qualora l’atto costitutivo non preveda diversamente, lo scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti» (discorre di dipendenza dell’estinzione del rapporto di lavoro da quella del rapporto sociale, tra le ultime, Cass., ord. 18 maggio 2016, n. 10306).”
5.7. Le sezioni unite hanno disatteso l’orientamento richiamato dall’odierno ricorrente a sostegno della sua tesi (Cass. 23 gennaio 2015, n. 1259; 11 agosto 2014, n. 17868; 6 agosto 2012, n. 14143) hanno posto l’accento sulla duplicità dell’apparato rimediale conseguente alla duplicità di rapporti cui può corrispondere la duplicità degli atti estintivi. Ciascun atto colpisce, e quindi lede, un autonomo bene della vita, sia pure per le medesime ragioni: la delibera di esclusione lo status socii, il licenziamento il rapporto di lavoro. Tanto questo è vero che si è stabilito (Cass., ord. 29 luglio 2016, n.15798; ordd. 6 ottobre 2015, nn. 19977, 19976, 19975 e 19974; ord. 21 novembre 2014, n. 24917, le quali evocano la pluralità di tutele) che il concorso dell’impugnativa della delibera di esclusione e del provvedimento di licenziamento configura un’ipotesi di connessione di cause.
5.8. In sostanza si è confermato che ciascun provvedimento ha il suo rimedio e conseguentemente deve essere impugnato nei modi e nei termini specificatamente previsti. Tanto questo è vero che, con riguardo all’interazione degli effetti scaturenti da ciascun atto, al fine della ricostruzione dell’apparato rimediale conseguente alla soppressione del bene della vita costituito dal rapporto di lavoro, le sezioni unite hanno affermato che “l’effetto estintivo del rapporto di lavoro derivante dall’esclusione dalla cooperativa a norma del 2° comma dell’art. 5 della legge n. 142/01 impedisce senz’altro, in mancanza d’impugnazione della delibera che l’abbia prodotto, di conseguire il rimedio della restituzione della qualità di lavoratore”.
5.9. Nel caso in esame ciò che è risultato accertato dal giudice di appello è che il rapporto di lavoro non si è risolto per effetto di un’autonoma determinazione ma ha costituito la conseguenza della esclusione del socio dalla compagine sociale. Le carenze allegatorie cui si è sopra fatto riferimento non consentono di dare una interpretazione diversa rispetto alla ricostruzione operata dalla Corte di merito.
5.10 Correttamente, pertanto, il giudice di appello ha inquadrato la fattispecie e, preso atto della mancata impugnazione della delibera assembleare davanti al giudice nel termine previsto dall’art. 2533 terzo comma cod. civ. , ha applicato il regime sostanziale e processuale suo proprio dichiarando decaduto il lavoratore dall’impugnazione.
6. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 3500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R.
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