CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 settembre 2019, n. 23847

IRAP – Professionista –  Erogazione a terzi di compensi elevati – Presupposto Irap solo ove risulti accertato che siano serviti per compensare attività strettamente connesse a quella oggetto della professione

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 282 del 28/9/2011 la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, accoglieva il ricorso con il quale l’architetto C.D.L. ricorreva avverso il silenzio rifiuto posto in essere dall’Agenzia delle Entrate in relazione all’istanza di rimborso Irap versata per gli anni dal 2004 al 2007, per un totale di € 68.325,12.

2. Avverso tale decisione presentava appello l’Agenzia delle Entrate chiedendo che, in riforma della decisione impugnata, la Commissione Tributaria Regionale dichiarasse l’obbligo del contribuente al pagamento dell’Irap in considerazione della sussistenza di una autonoma organizzazione, di uno studio professionale e di beni strumentali che eccedevano le necessità minime per l’esercizio della attività oltre che dell’abituale ricorso del contribuente a collaborazioni di terzi.

3. All’esito del giudizio la C.T.R. accoglieva l’appello dell’Ufficio finanziario con sentenza n. 12/46/13 del 20.11.2012 depositata il 18.1.2013 avverso la quale il contribuente proponeva ricorso per cassazione che affidava a tre motivi.

4. L’Agenzia delle entrate si costituiva in giudizio resistendo con controricorso.

5. A seguito del decesso del ricorrente, avvenuto il 13.11.2016, gli eredi del medesimo, C.D.A., C.D.L.M. e C.D.D.M. si costituivano in giudizio, riassumendo il giudizio che ritenevano interrotto.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduceva la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. per mancata celebrazione dell’udienza di trattazione in pubblica udienza, lamentando che malgrado l’espressa richiesta di una delle parti, la C.T.R. aveva adottato la forma del rito camerale.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Come chiarito da questa Corte, “in tema di contenzioso tributario, l’omessa fissazione, nel giudizio dinanzi alla commissione tributaria regionale, dell’udienza di discussione orale, pur ritualmente richiesta dalla parte, non comporta necessariamente la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa, atteso che l’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato “error in procedendo”, onde, poiché la discussione della causa nel giudizio d’appello ha una funzione meramente illustrativa delle posizioni già assunte e delle tesi già svolte nei precedenti atti difensivi e non è sostitutiva delle difese scritte, per configurare una lesione del diritto di difesa non basta affermare, genericamente, che la mancata discussione ha impedito al ricorrente di esporre meglio la propria linea difensiva, ma è necessario indicare quali siano gli specifici aspetti che la discussione avrebbe consentito di evidenziare o di approfondire, colmando lacune e integrando gli argomenti ed i rilievi già contenuti nei precedenti atti difensivi” (Cass. 2948/2006).

1.3. Nella specie l’eccezione si appalesa quindi meramente formale non avendo il ricorrente evidenziato l’interesse specifico al rispetto della predetta formalità.

1.4. Il motivo è comunque infondato in quanto nella specie come si evince dal verbale di udienza della C.T.R., su richiesta dell’Ufficio formulata con istanza contestuale ai motivi di appello, la causa è stata discussa in pubblica udienza e solo per un mero errore materiale contenuto nella motivazione della sentenza impugnata la C.T.R. ha dato atto che la controversia era stata “trattata in camera di consiglio”.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduceva “violazione c/o falsa applicazione dell’art. 2 d.lgs n. 446/1997 ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.

2.1. Con il terzo motivo “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio rappresentato dall’incidenza dei costi sostenuti dal ricorrente in merito alla sussistenza di un quid pluris, in termini di valore aggiunto, rispetto al reddito legato al valore intellettuale delle prestazioni rese dal professionista e direttamente ricollegabili alla sua cultura, arte e professionalità”.

2.2. Traendo spunto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2001, lamentava il ricorrente che, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R., l’elemento organizzativo non poteva dirsi connaturato alla attività di lavoro autonomo e non era possibile sottoporre ad IRAP un’attività svolta senza l’ausilio di un complesso organizzato di beni e di prestatori d’opera.

2.3. Tali motivi (secondo e terzo), suscettibili di trattazione unitaria in considerazione della loro connessione, appaiono meritevoli di accoglimento.

2.4. Invero, nella specie, i giudici d’appello hanno ritenuto sussistente il requisito della “autonoma organizzazione”, quale presupposto d’imposta cui il ricorrente doveva essere assoggettato, nella considerazione che per l’esercizio dell’attività di architetto aveva utilizzato un immobile di 115 mq con relative spese annue di oltre 11.000 Euro; che si era avvalso abitualmente della collaborazione di terzi, corrispondendo loro importi annuali complessivi compresi tra i 24.000 e i 28.500 Euro; che aveva sostenuto annualmente spese ricomprese tra 46.629 e € 56.000 Euro e che aveva impiegato beni strumentali per importi annuali ricompresi tra 22.000 e i 25.000 Euro.

2.5. Secondo l’insegnamento di questa Corte, tuttavia, in materia di IRAP, l’elevato ammontare dei ricavi, dei compensi e delle spese, anche per beni strumentali, non integra di per sé il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, essendo necessario che i giudici di merito accertino le caratteristiche del supporto fornito da terzi all’esercizio dell’attività professionale del contribuente, se di natura continuativa, se con mansioni meramente esecutive, ovvero di collaborazione con altri professionisti (tra le altre, Sez. VI-5, n. 8728 del 2018, Rv. 647731).

2.6. Inoltre, l’erogazione a terzi di compensi elevati costituisce presupposto di assoggettamento ad IRAP del professionista solo ove risulti accertato che detti compensi siano serviti per compensare attività strettamente connesse a quella oggetto della professione svolta dal contribuente, e comunque tale da potenziarne ed accrescerne l’attività produttiva, non invece quando dette spese, ancorché elevate, siano state sostenute per compensare terzi per attività afferenti ad altri ambiti (ad esempio, per consulenze professionali di commercialisti ed avvocati o per attività meramente materiali di copie di disegni tecnici, ecc.), non funzionali allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto organizzativo. Quanto poi alle spese per l’immobile nel quale il contribuente svolga la propria attività professionale e alle altre spese comunque sostenute, questa Corte ha ritenuto la necessità di accertare che dette spese siano effettivamente espressione di ausili all’attività, in grado di evidenziare il presupposto “dell’autonoma organizzazione” (Cass., Sez. VI-5, n. 23557 del 18.11.2016, Rv. 642035- 01).

2.7. Orbene, nel caso di specie appare evidente l’inadeguatezza e l’incompletezza della valutazione della C.T.R., che non ha proceduto ad un’analisi critica della consistenza di elementi idonei a comprovare l’utilizzo di una organizzazione autonoma in rapporto ai principi giurisprudenziali sopra richiamati.

2.8. In accoglimento del secondo e terzo motivo del ricorso; cassa la Sentenza impugnata va pertanto cassata e la causa rinviata alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, affinché, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia. La stessa provvederà altresì sulle spese del giudizio di legittimità ex art. 385, 3° comma, c.p.c.

P.Q.M.

accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.