CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 settembre 2019, n. 23930
Gestione Commercianti – Pagamento contributi previdenziali – Accertamento fiscale alla base dell’addebito contributivo
Fatti di causa
Si controverte del diritto dell’Inps a riscuotere i contributi a percentuale dovuti da R.F. alla Gestione Commercianti per l’anno 2005 a seguito di accertamento dell’Agenzia delle Entrate.
La Corte d’appello di Firenze (sentenza del 25.6.2014), nel rigettare l’impugnazione del R. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede, che gli aveva respinto l’opposizione alla cartella esattoriale contenente l’intimazione di pagamento della somma di € 10.797,92 per contributi previdenziali dovuti alla Gestione commercianti per l’anno 2005, ha spiegato che la definizione della controversia tributaria per mezzo del condono di cui all’art. 39, comma 12, del D.L. n. 98/2011 aveva inciso solo sugli aspetti tributari, ma non su quelli previdenziali della questione, né aveva fatto venir meno la validità, quanto meno indiziaria, dei rilievi dell’amministrazione finanziaria, per cui l’adesione del contribuente al condono aveva prodotto la definitività dell’accertamento fiscale che era alla base dell’addebito contributivo. Né era possibile riaprire in una sede diversa da quella tributaria l’indagine relativa alla reale entità del reddito realizzato dal ricorrente nel 2005 ai fini previdenziali. Inoltre, il R. non aveva provato il suo assunto difensivo sulla produzione nel 2005 di un reddito inferiore a quello indicato dagli studi di settore in sede fiscale, avendo aderito alla chiusura conciliativa della controversia tributaria.
Per la cassazione della sentenza ricorre il R. con due motivi, cui resiste l’Inps con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 12, d.l. n. 98 del 2011, convertito in legge n. 111 del 2011 ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la parte ricorrente assume che la peculiare definizione della lite fiscale, con il pagamento di una somma forfettaria, ma senza alcun riconoscimento nel merito, non rende in alcun modo definitivo l’accertamento fiscale e anzi, premesso il vuoto normativo nella regolazione della pretesa contributiva tra contribuente e INPS, dal punto di vista formale, non potendo considerarsi definitivamente accertato o conseguito, ai fini fiscali, il maggiore imponibile sul quale parametrare la contribuzione previdenziale, resta fermo il reddito originariamente dichiarato dal contribuente; assume che con la chiusura della lite l’INPS non può pretendere alcunché basando la richiesta sull’accertamento dell’Agenzia delle entrate e che la richiesta di contributi per l’intero importo dovrebbe riconsiderare l’obbligo contributivo sulla base dell’accordo intervenuto tra contribuente e fisco.
2. Col secondo motivo, formulato per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente contesta l’affermazione della Corte d’appello, secondo la quale sarebbe spettato ad esso opponente dimostrare che il reddito prodotto nel 2005 era stato inferiore a quello indicato dagli studi di settore, mentre, a suo giudizio, sarebbe stato onere dell’Inps provare gli elementi costitutivi della pretesa contributiva, non essendo a tal fine sufficiente il reddito individuato nell’atto di accertamento fiscale mai consolidato.
3. Osserva la Corte che i due motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono da rigettare.
Invero, si controverte degli effetti della definizione concordata della lite tributaria sull’obbligazione contributiva previdenziale e dell’esito dell’accertamento da cui è derivata la maggiore pretesa contributiva.
La definizione ha ad oggetto esclusivamente, come recita l’art. 39, comma 12, d.l. n. 98 del 2011, conv., con modificazioni, in legge n. 111 del 2011, «le liti fiscali di valore non superiore a 20.000 euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio» e si perfeziona «a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi dell’articolo 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289».
4. Gli importi sono diversificati in base al valore e alla fase della lite ed è lo stesso legislatore a chiarire, con l’art. 16 legge n. 289 del 2002, cosa debba intendersi per valore della lite, vale a dire «l’importo dell’imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, al netto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni collegate al tributo, anche se irrogate con separato provvedimento; in caso di liti relative alla irrogazione di sanzioni non collegate al tributo, delle stesse si tiene conto ai fini del valore della lite; il valore della lite è determinato con riferimento a ciascun atto introduttivo del giudizio, indipendentemente dal numero di soggetti interessati e dai tributi in esso indicati».
Il tenore letterale delle due norme in cui si inscrive l’istituto della definizione concordata delle lite fiscali(art. 39, comma 12, d.l. n. 98 del 2011 e art. 16 l. n. 289 del 2002) e la finalità espressamente indicata dal legislatore nella rubrica dell’articolo 39, recante «disposizioni in materia di riordino della giustizia tributaria» inducono a ravvisare nella definizione agevolata delle liti tributarie l’esclusiva natura deflattiva del contenzioso tributario – di valore inferiore a 20.000 euro e già pendente alla data del 31 dicembre 2011 – allo scopo di liberare e concentrare le risorse dell’Agenzia delle Entrate sulla proficua e spedita gestione dei procedimenti di natura precontenziosa di cui al comma 9 dello stesso art. 39, attraverso il pagamento di un importo percentualmente ridotto del tributo oggetto della lite.
5. Prova ne è che alla deflazione del contenzioso previdenziale il decreto-legge n. 98 ha dedicato l’articolo 38 nel quale fin dalla rubrica, recante «disposizioni in materia di contenzioso previdenziale e assistenziale», è chiarito l’ambito applicativo, ribadito, nel periodo di apertura del primo comma, con il fine di «deflazionare il contenzioso previdenziale» (art. 38, co. 1, primo periodo, d.l. n. 98 cit.). La ripartita collocazione delle disposizioni tra gli articoli orienta l’interprete nel tenere su piani distinti le misure deflative, del contenzioso fiscale e previdenziale. Inoltre, nel testo dell’art. 39 non si rinviene alcun elemento che permetta di saldare le due disposizioni al punto da ritenere che la definizione concordata del giudizio tributario estenda gli effetti sulla rideterminazione totale o parziale del presupposto impositivo accertato dall’Agenzia ai fini extrafiscali, quali i contributi previdenziali calcolati a percentuale sul reddito.
6. Neanche appare percorribile una diversa soluzione interpretativa, in via analogica, in quanto il chiaro dettato normativo è effetto di una precisa scelta del legislatore che, là dove ha inteso estendere ai contributi previdenziali gli effetti della definizione degli accertamenti compiuti dall’Agenzia delle Entrate, lo ha previsto espressamente, come per la mediazione introdotta dall’art. 17-bis d.lgs. n. 546 del 1992, aggiunto dall’articolo 39, comma 9, d.l. n. 98 del 2011, successivamente modificato dall’articolo 1, comma 611, lettera a), l. n. 147 del 2013 (da ultimo sostituito dall’articolo 9, comma 1, lettera I), del d.lgs. n. 156 del 2015, a decorrere dal 1° gennaio 2016) o l’accertamento definito con adesione (art. 2, comma 3, d.lgs. n. 218 del 1997).
Diversamente da tali istituti, comportanti una rideterminazione del reddito imponibile, l’unico effetto della definizione agevolata ex art. 39, comma 12, d.l. n. 98 cit. è costituito dalla chiusura della lite fra il contribuente e l’Agenzia delle Entrate a fronte del pagamento di un importo pari ad una percentuale ridotta dell’imposta in contestazione. La definizione concordata non incide in alcun modo sul contenuto dell’atto di accertamento dell’Agenzia e non importa definitività, propriamente detta, dell’accertamento compiuto dall’Agenzia ai sensi dell’art. 1 d. lgs. n. 462 del 1997, la cui efficacia, ai fini extrafiscali del calcolo dei contributi INPS a percentuale sul maggiore reddito, rimane impregiudicata.
7. Ciò nondimeno l’accertamento conserva valore probatorio che può essere resistito da prove di segno contrario senza che ciò incida sul riparto dell’onere probatorio. Questa Corte di cassazione (v., fra le altre, Cass. n. 13463 del 2017 e n. 19640 del 2018) ha già avuto modo di affermare che tale accertamento costituisce, anche in riferimento all’obbligazione contributiva, un atto amministrativo di ricognizione del loro avveramento, posto che l’accertamento interviene dopo che il contribuente ha adempiuto alla propria obbligazione nella misura che egli ritiene dovuta e gli uffici competenti intervengono con un procedimento amministrativo di secondo grado per verificare la correttezza dell’importo pagato.
Come già chiarito da questa Corte (v. Cass. n. 17769 del 2015), ai sensi del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, è compito dell’Agenzia delle Entrate in sede di liquidazione delle imposte, contributi e premi dovuti in base alle dichiarazioni dei redditi, di provvedere al controllo formale e sostanziale dei dati in esse contenuti.
8. Inoltre l’art. 1, del d. lgs. n. 462 del 1997, emanato in attuazione della legge delega n. 662 del 1996, al fine di attuare l’unificazione dei criteri di determinazione delle basi imponibili fiscali e di queste con quelle contributive e delle relative procedure di liquidazione, riscossione, accertamento e contenzioso (art. 3 comma 134, lett. b) l. n. 662 del 1996) ha disposto che: «Per la liquidazione, l’accertamento e la riscossione dei contributi e dei premi previdenziali ed assistenziali che … devono essere determinati nelle dichiarazioni dei redditi, si applicano le disposizioni previste in materia di imposte sui redditi».
Ciò significa che a partire dalla dichiarazione 1999 (per i redditi 1998), l’Agenzia delle Entrate svolge un’attività di controllo, effettuando accertamenti formali e sostanziali sui dati denunciati dai contribuenti, richiedendo il pagamento dei contributi e premi omessi e/o evasi da trasmettere successivamente all’Inps. In caso di mancato pagamento l’Inps procede, sulla base dei dati forniti dalla Agenzia delle entrate, alla iscrizione a ruolo dei contributi totalmente o parzialmente insoluti (ai sensi del d. lgs. n. 462 del 1997).
9. Si è dunque in presenza di un sistema di accertamento, liquidazione e riscossione comune ai due rapporti, previdenziale e tributario in cui gli atti di accertamento disposti dall’Agenzia delle entrate costituiscono atti di esercizio anche del rapporto previdenziale, rispondendo al fine di semplificare ed uniformare le procedure di iscrizione a ruolo delle somme a qualunque titolo dovute all’INPS, nonché di assicurare l’unitarietà nella gestione operativa della riscossione coattiva di tutte le somme dovute all’Istituto (cfr. anche d.l. n. 70 del 2011 conv., con modificazioni, in l. n. 106 del 2011, art. 7, comma 2, lett. t). Del resto già con Cass. n. 8379 del 2014 questa Corte aveva chiarito che in materia di iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali (d.lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3) l’accertamento, cui la norma si riferisce, non è solo quello eseguito dall’ente previdenziale, ma anche quello operato da altro ufficio pubblico come l’Agenzia delle entrate.
10. La giurisprudenza di questa Corte ha inoltre affermato, in ordine alla valenza probatoria degli accertamenti tributari (v., fra le tante, Cass. n. 14237 del 2017), che in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente art. 39, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Pertanto, il giudice di merito (tributario od ordinario, nel caso della contribuzione previdenziale), investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto, in motivazione, dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli articoli 2727 e ss. e 2697, secondo comma, cod. civ.(v., fra le altre, Cass. n. 9784 del 2010).
11. Va anche ricordato, per completezza, che «in tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile, in sede di legittimità, la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento» (così Cass. n. 9108 del 2012).
12. In definitiva, dalla portata presuntiva dell’accertamento tributario si desume la necessità che lo stesso venga in qualche modo resistito dal contribuente che intenda, invece, evitare il consolidamento dell’accertamento stesso e ciò può avvenire con qualsiasi mezzo. In mancanza di tale resistenza di segno negativo offerta dall’obbligato, evidentemente l’atto di accertamento dovrà ritenersi idoneo a rendere definitivo l’avveramento del fatto nello stesso contenuto. Pertanto, una volta che l’INPS abbia invocato tale accertamento, del quale a quanto detto va aggiunto che, diversamente dai verbali ispettivi (frutto ed espressione di attività investigativa), costituisce applicazione di parametri matematici volti a verificare l’esistenza di redditi ulteriori, esso può essere sufficiente a suffragare la pretesa contributiva ove non resistita da prove di segno contrario.
13. Nella specie la Corte territoriale si è uniformata ai predetti principi giacché, riconosciuta la permanenza nell’ordinamento giuridico dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate all’esito della definizione agevolata della lite fiscale, e la sua valenza probatoria ai fini dell’accertamento del credito contributivo per cui è causa, ha ritenuto detto accertamento idoneo a fondare la pretesa contributiva, valorizzando il carattere documentale e le presunzioni gravi, precise e concordanti a fondamento dei rilievi mossi dall’organo accertatore alla società, in assenza di elementi e di qualsivoglia specifica contestazione dell’obbligato, per disattendere l’imputazione dei maggiori redditi al socio.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1 – bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese nella misura di € 1.200,00, di cui € 1.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.
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