CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 settembre 2020, n. 20189
Tributi – Assistenza amministrativa in materia fiscale tra gli Stati membri UE e OCSE – Richiesta di recupero di credito tributario da parte di autorità fiscale islandese – Cartella di pagamento – Legittimità
Fatti di causa
1. La I. s.p.a. (poi divenuta S.I. s.p.a.), con ricorso notificato all’Agenzia delle Entrate, ha impugnato, dinnanzi la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la cartella di pagamento, notificatale il 21 maggio 2013 che – in forza della legge 10 febbraio 2005, n. 19, che ha ratificato e reso esecutiva in Italia la Convenzione concernente la reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa ed i Paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico-OCSE, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1988 – recava il ruolo, emesso dalla Direzione provinciale di Milano dell’Agenzia e reso esecutivo il 14 febbraio 2013, relativo al pagamento dell’importo di euro 4.299.710, oltre agli interessi ed ai compensi di riscossione, a titolo di «Richiesta di recupero 001/2012 formulata dalla autorità fiscale islandese per imposte dovute per l’anno 2009».
Assumeva la contribuente che il relativo ruolo era stato emesso da un ufficio fiscale (la Direzione provinciale di Milano dell’Agenzia delle entrate) incompetente, essendo invece competente, esclusivamente, l’ufficio grandi contribuenti della Direzione regionale della Lombardia, ai sensi dell’art. 27 del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito senza modifica dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e dell’art. 4 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate, approvato con delibera del Comitato direttivo n. 4 del 30 novembre 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2001 ed aggiornato con la delibera del Comitato di gestione n. 57 del 27 dicembre 2012.
Inoltre, la stessa contribuente eccepiva che la cartella difettava assolutamente di motivazione, non contenendo alcuna menzione del titolo esecutivo definitivo e della richiesta di assistenza avanzata dall’Islanda, Stato creditore e richiedente assistenza.
L’adita CTP ha accolto il ricorso.
2. L’Ufficio ha quindi impugnato la sentenza di primo grado e l’adita Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza n. 2712/32/2015, depositata il 17 giugno 2015, ha rigettato l’appello, confermando la nullità della cartella di pagamento sia per l’eccepita incompetenza della Direzione provinciale di Milano dell’Agenzia delle entrate; sia per l’eccepito difetto di motivazione, ed allegazione, dello stesso atto.
3. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso- che ha assunto il n.r.g. 2577/2016, affidato a due motivi, per la cassazione della predetta sentenza d’appello.
4. La contribuente si è costituita con controricorso.
5. La medesima I. s.p.a. (poi divenuta S. I. s.p.a.), con ricorso notificato all’Agenzia delle Entrate, aveva tuttavia già impugnato, dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Milano, l’invito al pagamento, notificatole il 17 aprile 2012 che aveva per oggetto la medesima obbligazione tributaria di cui alla predetta cartella di pagamento, della quale – in forza della legge 10 febbraio 2005, n. 19, che ha ratificato e reso esecutiva in Italia la Convenzione concernente la reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa ed i Paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico-OCSE, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1988- aveva richiesto l’adempimento l’autorità fiscale islandese, per imposte dovute in ragione di titolo esecutivo e definitivo allegato allo stesso invito.
6. Assumeva la contribuente che l’invito al pagamento era stato emesso da un ufficio fiscale (la Direzione provinciale di Milano dell’Agenzia delle entrate) incompetente, essendo invece competente, esclusivamente, l’ufficio grandi contribuenti della Direzione regionale della Lombardia, ai sensi dell’art. 27 del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito senza modifica dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e dell’art. 4 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate, approvato con delibera del Comitato direttivo n. 4 del 30 novembre 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2001.
Inoltre, la stessa contribuente eccepiva che l’atto difettava di motivazione; che era stato violato il suo diritto di difesa, in quanto i documenti sui quali si fondava l’atto erano stati redatti in lingua inglese ed islandese; che l’importo recato dall’atto era stato quantificato sulla base di un tasso di cambio errato.
L’adita CTP ha rigettato il ricorso per «sopravvenuta […] carenza d’interesse ad agire» della contribuente, conseguente all’accoglimento, da parte della medesima CTP, ma all’esito di separato giudizio tra le stesse parti, del ricorso della contribuente avverso la cartella di pagamento, avente ad oggetto lo stesso credito, che l’Ufficio aveva notificato alla medesima contribuente, successivamente alla notifica dell’invito di pagamento.
7. La contribuente ha quindi impugnato la sentenza di primo grado e l’adita Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza n. 5812/38/2016, depositata 1’11 novembre 2016, ha accolto l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato la nullità dell’invito al pagamento sia per l’eccepita incompetenza della Direzione provinciale di Milano dell’Agenzia delle entrate; sia per l’eccepito difetto di motivazione, dello stesso atto.
8. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso, che ha assunto il n.r.g. 12649/2017, affidato a cinque motivi, per la cassazione della predetta sentenza d’appello.
9. La contribuente si è costituita con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente, appare opportuno riunire il ricorso avente il n.r.g. 12649/2017 a quello, iscritto in precedenza, che ha il n.r.g. 2577/2016.
Infatti, la decisione congiunta delle due impugnazioni è resa opportuna dalla circostanza che le due sentenze che ne sono rispettivamente oggetto riguardano ciascuna un diverso atto dell’amministrazione finanziaria (nell’ordine cronologico con il quale risultano notificati alla contribuente, l’ “invito di pagamento” e la cartella di pagamento), ma entrambi tali atti si riferiscono alla medesima obbligazione tributaria, che è quella per la quale lo Stato italiano presta l’assistenza in materia fiscale richiesta dallo Stato islandese.
La coincidenza di tale obbligazione tributaria risulta invero dalle sentenze impugnate, soprattutto da quella della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 5812/38/2016, depositata l’11 novembre 2016, che infatti espressamente (alla pag. 4) menziona la precedente sentenza n. 2712/32/2015, depositata il 17 giugno 2015, della stessa Commissione, cui rimanda integralmente, dichiarando di motivare per relationem ad essa.
Inoltre, la conferma che i due atti dell’Amministrazione italiana oggetto, rispettivamente, dei due giudizi qui riuniti, riguardino un’unica obbligazione tributaria si ricava dalle stesse difese delle parti (in particolare si vedano, nel giudizio n.r.g. 12649/2017, pag. 5 del controricorso della contribuente e pag. 21 del ricorso erariale).
2. Sempre preliminarmente alla decisione dei ricorsi riuniti, pare utile premettere che la materia del contendere riguarda (anche) la Convenzione concernente la reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa ed i Paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico-OCSE, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1988 e ratificata e resa esecutiva dalla legge nazionale 10 febbraio 2005, n. 19, che, per quanto qui interessa, nella sezione II del capitolo III, intitolata «Assistenza al recupero», all’art. 11, paragrafi 1 e 2, così dispone: «1. Su richiesta dello Stato richiedente, lo Stato interpellato adotta, fatte salve le disposizioni degli articoli 14 e 15, le misure necessarie al recupero dei crediti di natura fiscale del primo Stato, come se si trattasse di crediti tributari propri.
2. Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano soltanto ai crediti di natura fiscale che formano oggetto di un titolo che ne consente il recupero nello Stato richiedente e che non sono contestati, a meno che le Parti interessate non abbiano convenuto diversamente. Tuttavia, se il credito è vantato nei confronti di una persona che non ha qualità di residente dello Stato richiedente, il paragrafo 1 si applica soltanto quando il credito non può più essere contestato, a meno che le Parti interessate non abbiano convenuto diversamente.».
3. Infine, è anche opportuno ricordare che, in ordine alle specifiche modalità con le quali l’Amministrazione finanziaria italiana può procedere a prestare l’assistenza alla riscossione richiesta da altro Stato, questa Corte (per quanto con riferimento ad una diversa convenzione internazionale e ad un quadro normativo non totalmente coincidente con quello relativo alla fattispecie sub iudice, ma esponendo principi che è opportuno aver presenti pure nel caso di specie) ha già ritenuto che: « In tema di riscossione in Italia di crediti per imposte dovute all’amministrazione finanziaria tedesca, ai sensi dell’art. 7 della convenzione tra l’Italia e la Germania sull’assistenza amministrativa e giudiziaria in materia tributaria, approvata con R.D.L. 9 settembre 1938, n. 1676, l’Autorità italiana, quando viene incaricata dall’Autorità tedesca di riscuotere un credito tributario, procede senza udire preventivamente il debitore, ma pur sempre in conformità alla legge italiana. Essa è pertanto tenuta a provvedere alla notifica di una cartella esattoriale, o comunque di un atto che renda il contribuente consapevole del fatto che l’amministrazione italiana procede alla riscossione di un debito tributario nell’interesse e per conto dell’amministrazione tedesca, nonché della natura e delle caratteristiche del debito stesso, atteso che il contribuente ha il diritto di verificare da dove scaturisca la pretesa che l’amministrazione pretende di esercitare, movendo contestazioni, sia pur solo nel ristretto ambito delle questioni devolute alla giurisdizione italiana» (Cass., Sez. U., 09/10/2006, n. 21669; conformi Cass., Sez. U., 23/05/2008, n. 13357; Cass., Sez. U., 03/07/2008, n. 18189; Cass. 09/10/2006, n. 21669).
4.Premesso il quadro normativo e giurisprudenziale così delineato, si può passare alla trattazione del ricorso avente n.r.g. 2577/2016, che è quello di più risalente iscrizione, con il quale l’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione delle sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2712/32/2015, depositata il 17 giugno 2015, che ha rigettato l’appello erariale , confermando la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano che, accogliendo il ricorso della contribuente, aveva dichiarato la nullità della predetta cartella di pagamento sia per l’eccepita incompetenza della Direzione provinciale di Milano dell’Agenzia delle entrate; sia per l’eccepito difetto di motivazione, ed allegazione, dello stesso atto.
5. Con il primo motivo, l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt.: 27, commi 13 e 14, d.l. n. 185 del 2008, convertito, senza modifica, dalla legge n. 2 del 2009; 71 d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300; 11 Convenzione concernente la reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa ed i Paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico-OCSE, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1988 e ratificata e resa esecutiva dalla legge 10 febbraio 2005, n. 19; 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E; 7 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; 4 e 5 Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2001 ed aggiornato con la delibera del Comitato di gestione n. 57 del 27 dicembre 2012.
5.1. Assume infatti l’Amministrazione che ha errato il giudice a quo nel ritenere che la Direzione Provinciale di Milano dell’Agenzia delle entrate fosse incompetente ad emettere e notificare la cartella di pagamento.
E’ vero, secondo la stessa ricorrente, che l’art. 11, paragrafo 1, della predetta Convenzione multilaterale, disponendo che « Su richiesta dello Stato richiedente, lo Stato interpellato adotta, fatte salve le disposizioni degli articoli 14 e 15, le misure necessarie al recupero dei crediti di natura fiscale del primo Stato, come se si trattasse di crediti tributari propri.», rinvia alle norme nazionali che regolano il procedimento di riscossione dei crediti fiscali dello Stato richiesto, ovvero dell’Italia, nel caso di specie. Ed è altrettanto vero che la controricorrente appartiene, come è incontestato, alla categoria dei cd. “grandi contribuenti”, ovvero dei «contribuenti con volume d’affari, ricavi o compensi non inferiore a cento milioni di euro», di cui all’art. 27, comma 13, del d.l. n. 185 del 2008, per i quali quest’ultima disposizione prevede che, a decorrere dall’ 1 gennaio 2009, «le attribuzioni ed i poteri previsti dagli articoli 31 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nonché quelli previsti dagli articoli 51 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, sono demandati alle strutture individuate con il regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate di cui all’articolo 71, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.».
Tale fonte regolamentare, aggiunge la ricorrente, all’art. 4, intitolato «strutture regionali di vertice», dopo aver menzionato, al comma 1, le Direzioni regionali (ad eccezione del Trentino-Alto Adige) e le Direzioni Provinciali delle province autonome di Trento e di Bolzano, dispone, al successivo comma 3, che « Gli organi di cui al comma 1 esercitano, nell’ambito della rispettiva regione o provincia, funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo nei confronti degli uffici, curano i rapporti con gli enti pubblici locali e svolgono attività operative di particolare rilevanza nei settori della gestione dei tributi, dell’accertamento, della riscossione e del contenzioso, e in specie, a decorrere dal 10 gennaio 2009, quelle di cui ai commi 9, 11, 12 e 14 dell’articolo 27 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, con le attribuzioni e i poteri di cui al comma 13 del medesimo articolo nei confronti dei soggetti con volume d’affari, ricavi o compensi non inferiori a cento milioni di euro. […]».
Tuttavia, secondo l’ufficio, da tale complesso di norme si ricava una competenza esclusiva, con riferimento ai cd. “grandi contribuenti”, delle Direzioni generali dell’Agenzia delle entrate, limitatamente alle attività di accertamento, ma non anche a quelle di riscossione.
5.2. Il motivo, nei termini che seguono, è fondato.
Infatti, premesso che effettivamente l’art. 11, paragrafo 1, della Convenzione de qua rinvia alle norme interne che regolano il procedimento di riscossione dei crediti fiscali dello Stato richiesto, deve innanzitutto rilevarsi che il predetto art. 27, comma 13, d.l. n. 185 del 2008, demanda, dall’ 1 gennaio 2009, alle strutture da individuare con il regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate di cui all’articolo 71 d.lgs. n. 300 del 1999, nei confronti dei “grandi contribuenti”, «le attribuzioni ed i poteri previsti dagli articoli 31 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nonché quelli previsti dagli articoli 51 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.». Lo stesso art. 27, al successivo comma 14, chiarisce ulteriormente quali siano le attività demandate alle strutture di cui al comma 13, elencando : a) l’attività di liquidazione prevista dagli articoli 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, relativa ai periodi d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2006 e successivi; b) l’attività di controllo formale prevista dall’articolo 36- ter del d.P.R. n. 600 del 1973, relativa ai periodi d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2006 e successivi; c) l’attività di controllo sostanziale con riferimento alla quale, alla data dell’ 1 gennaio 2009, siano ancora in corso i termini previsti dall’articolo 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, e all’articolo 57 del d.P.R. n. 633 del 1972; d) l’attività di recupero dei crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, con riferimento ai quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, siano in corso i termini per il relativo recupero; e) l’attività di gestione del contenzioso relativo a tutti gli atti di competenza delle strutture stesse; e-bis) l’attività di rimborso in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto, relativo ai periodi d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2006 e successivi.
Da tale contenuto dell’art. 27 del d.l. n. 185 del 2008 si ricava (peraltro in conformità anche con il nomen – “Accertamenti”- della rubrica della stessa norma) art. 27) l’istituzione, con una norma di fonte primaria, di una riserva esclusiva di competenza, in relazione alla rilevanza economico fiscale del soggetto accertato, a favore della Direzione regionale, relativamente all’attività di verifica fiscale (cfr. Cass. 03/10/2014, n. 20915; Cass. 14/10/2016, n. 20856; Cass. 21/12/2018, n. 33289), ma non anche in tema di attività di riscossione, in difetto di un’espressa previsione in tal senso. La quale, peraltro, neppure potrebbe rinvenirsi nell’art. 4, comma 3, del già citato regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate che, dopo aver previsto, in generale, che le Direzioni regionali (ad eccezione del Trentino-Alto Adige) e le Direzioni Provinciali delle province autonome di Trento e di Bolzano esercitano « funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo nei confronti degli uffici, curano i rapporti con gli enti pubblici locali e svolgono attività operative di particolare rilevanza nei settori della gestione dei tributi, dell’accertamento, della riscossione e del contenzioso,», aggiunge « e in specie, a decorrere dal 1° gennaio 2009, quelle di cui ai commi 9, 11, 12 e 14 dell’articolo 27 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, con le attribuzioni e i poteri di cui al comma 13 del medesimo articolo nei confronti dei soggetti con volume d’affari, ricavi o compensi non inferiori a cento milioni di euro. […]».
L’espresso e specifico richiamo testuale del regolamento all’art. 27, comma 13, del d.l. n. 185 del 2009 circoscrive infatti, con riferimento ai “grandi contribuenti”, il precedente generico riferimento della stessa norma alle «attività operative di particolare rilevanza nei settori della gestione dei tributi, dell’accertamento, della riscossione e del contenzioso», inducendo a ritenere che, comunque, anche la norma regolamentare, come quella di legge di cui è attuativa, attribuisca alle Direzioni regionali una competenza esclusiva limitatamente all’accertamento e, comunque, alle attività specificamente menzionate nel richiamato comma 13 dell’art. 27 del d.l. n. 185 del 2009.
6.Con il secondo motivo, l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt.: 3 legge 7 agosto 1990, n. 241; 7, comma 1, legge 27 luglio 2000, n. 212; 11 e 13 Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1988, ratificata e resa esecutiva dalla legge n. 19 del 2005; 25, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602; 1 e 6 decreto interministeriale 3 settembre 1999, n. 321, «Regolamento recante norme per la determinazione del contenuto del ruolo e dei tempi, procedure e modalità della sua formazione e consegna, da emanare ai sensi degli articoli 4 e 10 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46.».
6.1. Assume infatti l’Ufficio ricorrente che, come già dedotto nel primo motivo di ricorso, l’art. 11, paragrafo 1, della predetta Convenzione multilaterale rinvia alle norme nazionali che regolano il procedimento di riscossione dei crediti fiscali dello Stato richiesto, ovvero dell’Italia, nel caso di specie. Tali norme, secondo la ricorrente, non imponevano di indicare nella cartella di pagamento alcun dato ulteriore rispetto a quelli esposti nello stesso atto, ritenuti invece insufficienti dalla CTR.
Infatti, sostiene l’Ufficio, il riferimento allo Stato creditore e richiedente assistenza, unito alla menzione della natura fiscale della pretesa impositiva, del titolo (necessariamente definitivo ai sensi dell’art. 11 della stessa Convenzione) e dell’importo dovuto, erano comunque idonei ad integrare il contenuto minimo legale della cartella di pagamento, che non richiedeva alcuna specifica motivazione o ulteriore indicazione, neppure tramite l’allegazione di atti ad essa esterni e da essa presupposti.
E comunque, aggiunge il ricorrente, il predetto tenore letterale della cartella era comunwe-Isufficiente a garantire la piena conoscenza del titolo e del contenuto della pretesa erariale estera alla contribuente, in virtù del rapporto tra quest’ultima ed il fisco islandese, rispetto al quale l’Amministrazione finanziaria italiana era necessariamente estranea.
Ha quindi errato, a detta dell’Amministrazione, il giudice a quo, nella parte in cui, esprimendo un’ulteriore ed autonoma ratio decidendi, ha ritenuto che l’atto impugnato fosse nullo anche perché la «stringata motivazione contenuta nel ruolo impugnato: “Richiesta di recupero 001/2012 formulata dalla autorità fiscale islandese per imposte dovute per l’anno 2009” non consente alcuna ragionevole verifica del contribuente né sulla identificazione della imposta prevista in Convenzione né sulla obbligatoria certificazione della esigibilità del credito, così come richiesto dall’art. 13 della Convenzione, e neppure sul corretto assolvimento da parte dell’Amministrazione italiana degli adempimenti a suo carico.».
6.2. Il motivo non difetta di autosufficienza, come invece eccepito dalla controricorrente, emergendo dal suo complesso la sintesi delle questioni e dei fatti rilevanti. Esso, inoltre, è fondato. Giova, innanzitutto, premettere quella che, secondo la stessa contribuente (pagg. 2 s. del controricorso) era l’indicazione contenuta nella cartella di pagamento in ordine alla fonte ed alla natura della pretesa fiscale estera: «somme dovute ai sensi della Convenzione OCSE/CoE del 25/01/1988-Titolo Esecutivo/Amministrativo Islanda- Richiesta di recupero n. 001/2012 formulata dall’autorità fiscale islandese per imposte dovute per l’anno 2009… tasso di cambio ufficiale…».
La sufficienza, ai fini della validità della cartella in questione, del complesso di tali informazioni (parzialmente selezionate dal giudice a quo) deve essere vagliata alla luce della già richiamata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria, in esecuzione di una convenzione, presti assistenza al recupero di un credito tributario di un altro Stato, è «tenuta a provvedere alla notifica di una cartella esattoriale, o comunque di un atto che renda il contribuente consapevole del fatto che l’amministrazione italiana procede alla riscossione di un debito tributario nell’interesse e per conto dell’amministrazione tedesca, nonché della natura e delle caratteristiche del debito stesso, atteso che il contribuente ha il diritto di verificare da dove scaturisca la pretesa che l’amministrazione pretende di esercitare, movendo contestazioni, sia pur solo nel ristretto ambito delle questioni devolute alla giurisdizione italiana» (così le già citate Cass., Sez. U., 09/10/2006, n. 21669; conformi Cass., Sez. U., 23/05/2008, n. 13357; Cass., Sez. U., 03/07/2008, n. 18189; Cass. 09/10/2006, n. 21669).
Pertanto, alla luce di tale orientamento giurisprudenziale, va ribadita la necessità che, anche nel caso in cui il titolo da cui deriva la pretesa tributaria provenga da uno Stato estero, la cartella di pagamento contenga elementi sufficienti a consentire al contribuente di valutare se contestarla; ma la congruità di tale contenuto va commisurata all’ambito, ristretto, delle questioni che lo stesso contribuente può sottoporre alla giurisdizione italiana.
Nel caso di specie, il già riportato contenuto della cartella, valutato nella prospettiva di tutela del diritto di difesa del contribuente di cui al predetto orientamento giurisprudenziale, era idoneo a rendere noto alla società debitrice che l’Amministrazione finanziaria italiana procedeva, in adempimento della menzionata convenzione e nell’interesse e per conto dell’Amministrazione fiscale islandese, alla riscossione di un debito tributario, dall’importo determinato, che quest’ultima, in forza di un titolo esecutivo, vantava per imposte dovute per l’anno 2009.
Non è allora comprensibile, alla luce della predetta interpretazione, l’affermazione del giudice a quo secondo la quale la cartella « non consente alcuna ragionevole verifica del contribuente […] sulla identificazione della imposta prevista in Convenzione», atteso che il riferimento all’anno d’imposta ed allo Stato creditore erano invece idonee a consentire alla contribuente (che, peraltro, neppure risulta aver sostenuto che lo Stato islandese avesse emesso nei suoi confronti una pluralità di titoli relativi a diverse imposte per il medesimo anno d’imposta, o per anni diversi) di compiere proprio quella «ragionevole verifica», sull’esistenza e sul contenuto del titolo estero relativo al credito fiscale islandese, cui allude la sentenza impugnata. Né, peraltro, il contenuto delle informazioni, e della conseguente possibilità di verifica del contribuente, doveva estendersi ad ulteriori dati in ordine alla composizione dell’ an e del quantum della pretesa tributaria di cui al titolo, trattandosi di questioni che, comunque, il contribuente non avrebbe potuto introdurre nell’impugnazione della cartella di fronte al giudice italiano. Tanto meno può condividersi l’ulteriore affermazione del giudice a quo secondo la quale il riprodotto contenuto della cartella avrebbe precluso la «ragionevole verifica del contribuente […] sulla obbligatoria certificazione della esigibilità del credito, così come richiesto dall’art. 13 della Convenzione», atteso che tale ultima disposizione convenzionale riguarda i documenti che accompagnano la domanda di assistenza, di cui al precedente art. 11, che lo Stato estero creditore indirizza a quello richiesto, la cui necessaria allegazione, a pena d’invalidità, all’atto di recupero emanato dallo Stato che presta l’assistenza, non è prescritta dalla medesima Convenzione, che piuttosto disciplina, all’art. 17, la notifica – ma solo su richiesta dello Stato richiedente, che non risulta nel caso di specie – al destinatario contribuente dei «documenti, compresi quelli relativi a decisioni giudiziarie, emanati dallo Stato richiedente e concernenti un’imposta prevista dalla presente Convenzione». Né, comunque, risulta che il contribuente abbia messo specificamente in dubbio l’ effettiva «esigibilità» del credito in questione, nel senso di cui agli art. 11 e 13 della Convenzione, ovvero quale oggetto di un titolo che ne consente il recupero nello Stato richiedente e che non può più essere contestato.
Deve pertanto escludersi che l’art. 13 della Convenzione in parola costituisca, di per sé, il parametro rispetto al quale valutare il contenuto necessario, a pena di nullità, della cartella impugnata.
Tanto meno, poi, appare coerente con il richiamato contesto normativo e con la sua interpretazione giurisprudenziale il riferimento della sentenza impugnata alla preclusione della «ragionevole verifica del contribuente […] sul corretto assolvimento da parte dell’Amministrazione italiana degli adempimenti a suo carico.», formula assolutamente generica.
Invero, poiché l’art. 11 della Convenzione dispone che lo Stato interpellato adotta le misure necessarie al recupero dei crediti di natura fiscale dello Stato richiedente «come se si trattasse di crediti tributari propri», il contenuto della cartella di pagamento va valutato in base alle norme interne del primo, e quindi all’art. 25, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in ordine al modello della cartella di pagamento, e perciò all’art. 6 del d.m. 3 settembre 1999, n. 321, che stabilisce il contenuto minimo della cartella di pagamento, coincidente, per quanto qui interessa, con gli elementi che, ai sensi del precedente art. 1, commi 1 e 2, devono essere elencati nel ruolo, compresa « L.] anche l’indicazione sintetica degli elementi sulla base dei quali è stata effettuata l’iscrizione a ruolo».
Il limite di congruità di tale indicazione sintetica è stato apprezzato dalla giurisprudenza di questa Corte in termini non meramente formali, ma nella prospettiva concreta di tutela del diritto di difesa del contribuente, rispetto alla verifica della procedura di riscossione promossa nei suoi confronti, per cui è stata ritenuta sufficiente l’indicazione di circostanze univoche che consentano l’individuazione dell’atto sulla base del quale è stata effettuata l’iscrizione a ruolo, così che resti soddisfatta l’esigenza del contribuente di controllare la legittimità della procedura di riscossione (cfr., ex plurimis, Cass. 11/10/2018, n. 25343; Cass. 18/01/2018, n. 1111; Cass. 11/07/2018, n. 18224). Prospettiva concreta che risulta tanto più adeguata in materia di prestata assistenza al recupero di crediti fiscale di altro Stato, in base all’orientamento giurisprudenziale già più volte richiamato, in considerazione del ristretto ambito delle contestazioni che il debitore può proporre in sede giurisdizionale. E, nel contesto di tale valutazione, non è priva di rilevanza la circostanza che la stessa contribuente, nel controricorso (ed in particolare alle pagg. 16 s di tale atto), deduca l’insufficienza delle informazioni contenute nella cartella in termini astratti, ovvero facendo riferimento, a titolo di mero esempio, all’ipotesi di un titolo esecutivo estero «erroneamente costituito», «perché, ad esempio, affetto da vizio di notifica e quindi mai portato a conoscenza del contribuente», senza contestualizzare tale fattispecie esemplificativa rispetto al caso concreto sub íudice.
Nella sostanza, dunque, non risultando contestato specificamente che il titolo sul quale si fonda la pretesa tributaria dello Stato finlandese sussista e non sia sub iudíce, né essendo dedotto che esista, nei confronti del medesimo contribuente, una pluralità di titoli relativi al medesimo anno d’imposta, l’indicazione sintetica di cui alla cartella di pagamento de qua non può che ritenersi idonea, nel caso di specie, alle esigenze di controllo della contribuente, conformate agli effettivi spazi di tutela giurisdizionale che le sono consentiti dinnanzi al giudice nazionale rispetto allo stesso atto.
7.Tanto premesso, va quindi accolto il ricorso erariale avente n.r.g. 2577/2016, proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2712/32/2015, depositata il 17 giugno 2015, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, va rigettato il ricorso introduttivo della contribuente avverso la cartella di pagamento in questione, con ogni conseguenza anche in termini di spese del giudizio di legittimità.
8. Venendo poi al ricorso riunito dell’Agenzia delle Entrate avente n.r.g. 12649/2017, proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 5812/38/2016, depositata l’11 novembre 2016, con il primo motivo l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt.: 112 cod. proc. civ.; 276, secondo comma, cod. proc. civ.; 132, secondo comma, num. 4, cod. proc. civ.; 36, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; 24 ed 11 Cost. Assume infatti l’Amministrazione che il giudice a quo ha omesso di pronunciarsi in ordine all’eccezione di inammissibilità – per la non impugnabilità, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’invito al pagamento, atto atipico e non impositivo- del ricorso di primo grado della contribuente, sebbene la stessa eccezione fosse stata sollevata dall’Agenzia delle entrate nel giudizio di primo grado e riproposta in sede d’appello, come risultava dalla stessa sentenza qui impugnata.
9. Con il secondo motivo, subordinato al rigetto del primo, l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 19 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e 100 cod. proc. civ., assumendo che, qualora pure il giudice a quo avesse rigettato implicitamente l’eccezione di inammissibilità del ricorso per la non impugnabilità dell’invito al pagamento, tale decisione sarebbe erronea, trattandosi di atto atipico, con il quale neppure veniva manifestata alcuna pretesa impositiva, che nel caso di specie spettava esclusivamente allo Stato islandese, creditore fiscale che aveva richiesto l’assistenza a quello italiano. Inoltre, secondo l’Ufficio ricorrente, la successiva emissione della cartella di pagamento per lo stesso credito, e la sua impugnazione da parte della contribuente (della quale danno atto le sentenze di merito di ambedue i gradi), avrebbe comportato la sopravvenuta carenza d’interesse di quest’ultima al ricorso avverso il precedente invito al pagamento dello stesso credito, come aveva correttamente dichiarato la CTP.
10. Con il terzo motivo, l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt.: 27, commi 13 e 14, d.l. n. 185 del 2008, convertito, senza modifica, dalla legge n. 2 del 2009; 71 d.lgs. 30 luglio 1999, n. 3000; 11 Convenzione concernente la reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa ed i Paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico-OCSE, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1988 e ratificata e resa esecutiva dalla legge n. 19 del 2005; 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E; 7 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; 4 e 5 Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2001, nel testo in vigore dall’1.1.2009.
Assume infatti l’Amministrazione che ha errato il giudice a quo nel ritenere che la Direzione Provinciale di Milano dell’Agenzia delle entrate fosse incompetente ad emettere e notificare l’invito al pagamento.
11. Con il quarto motivo, l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt.: 3 legge 7 agosto 1990, n. 241; 7, comma 1, legge 27 luglio 2000, n. 212; 11 e 13 Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1988, ratificata e resa esecutiva dalla legge n. 19 del 2005; 25, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Assume infatti il ricorrente che l’atto de quo esplicitava che l’invito al pagamento era emesso su richiesta di assistenza dello Stato creditore, per un credito di natura fiscale, relativo all’anno d’imposta 2009, ed era fondato su di un titolo esecutivo, del quale lo stesso Stato richiedente aveva attestato la definitività, che ad esso era stato allegato, unitamente al prospetto di calcolo proveniente dalla medesima autorità. Tali indicazioni ed allegazioni, secondo il ricorrente Ufficio, erano comunque idonee, a differenza di quanto ritenuto dalla CTR, ad integrare il contenuto necessario e sufficiente della motivazione dell’invito al pagamento, anche al fine di garantire comunque alla contribuente la piena conoscenza del titolo e del contenuto della pretesa erariale estera, anche in virtù del rapporto tra quest’ultima ed il fisco islandese, rispetto al quale l’Amministrazione finanziaria italiana era del tutto estranea.
Ha quindi errato, a detta dell’Ufficio, il giudice a quo, nella parte in cui, esprimendo un’ulteriore ed autonoma ratio decidendi, ha ritenuto che l’atto impugnato fosse nullo anche perché la sua motivazione «si fonda interamente sulla “nota numero 2012/31.831 del 27 febbraio 2012”, con la quale l’amministrazione finanziaria islandese avrebbe chiesto assistenza alla riscossione; tale atto, tuttavia, non è allegato, in violazione dell’art. 7, legge 212/2000 (…)».
12. Con il quinto motivo, l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di punti di fatto decisivi e controversi, consistenti nella circostanza che all’atto de quo erano allegati sia il titolo della pretesa (della cui definitività l’invito dava atto) che il prospetto di calcolo, provenienti dal fisco islandese. Ma l’allegazione di tali documenti (riprodotti anche nel ricorso per il quale si procede, unitamente allo stesso invito, che della loro allegazione dà atto), ed il loro contenuto, secondo il ricorrente Ufficio, non sono stati presi in esame dalla CTR al fine di decidere in ordine alla completezza ed alla congruità della motivazione dell’atto controverso.
13. Il ricorso riunito è divenuto inammissibile.
Infatti, è pacifico, come già rilevato, che l’invito al pagamento de quo aveva per oggetto il medesimo credito tributario dello Stato islandese di cui alla successiva cartella di pagamento, a sua volta impugnata dalla medesima contribuente ed oggetto, infine, del ricorso per cassazione erariale avente n.r.g. 2577/2016, qui riunito ed accolto, con rigetto nel merito del ricorso introduttivo della contribuente. L’emissione successiva della cartella di pagamento, e la sua autonoma validità ed efficacia, come sopra definitivamente accertate in questa sede, privano infatti l’Amministrazione dell’interesse ad impugnare la sentenza d’appello che, per motivi meramente formali, ha dichiarato la nullità di un atto, l’invito al pagamento, che della cartella di pagamento non costituiva neppure un necessario antecedente procedimentale, come sostenuto dallo stesso Ufficio nel medesimo ricorso . Peraltro, la stessa sorte del credito tributario islandese, che nell’invito erariale al pagamento era superiore (euro 4.621.225,00), è diversa e minore (euro 4.299.710,00) nella cartella successivamente emessa dall’Amministrazione (e si noti, per inciso, che tale importo è inferiore anche a quello, di euro 4.360.220,00, che per la contribuente avrebbe dovuto eventualmente essere oggetto dello stesso originario invito, al netto dei pretesi errori nell’applicazione del cambio, come risulta dalla pag. 1 della sentenza d’appello n. 5812/38/2016).
Dunque, lo stesso Ufficio, con la cartella di pagamento emessa successivamente, ha rideterminato il medesimo credito in misura inferiore a quella di cui al precedente invito al pagamento, palesando quindi inequivocabilmente di avere conservato l’ interesse sostanziale alla pretesa nei limiti del (minor) quantum esposto nella medesima cartella.
E’ quindi definitivamente sopravvenuta la perdita dell’ interesse dell’Amministrazione ad ottenere in questa sede la conferma della validità formale di un atto, l’invito al pagamento, che non conserva alcuna funzione sostanziale all’esito della successiva emissione, per il medesimo credito, della cartella di pagamento, a sua volta autonomamente impugnata e definitivamente confermata quale valido ed efficace titolo dell’unica pretesa erariale.
14. Le spese di legittimità si liquidano come da dispositivo e quelle dei giudizi di merito si compensano.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso n.r.g. 2577/2016, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente; dichiara l’inammissibilità del ricorso riunito n.r.g. 12649/2017; compensa le spese dei giudizi di merito e condanna la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 18.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.