CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 agosto 2020, n. 17789
Requisiti contributivi per il diritto a pensione di vecchiaia – Compimento dell’età pensionabile – Rivalutazione della retribuzione pensionabile – Retribuzione assoggettata a contributo dell’ultimo anno di servizio – Media delle retribuzioni assoggettate a contributo degli ultimi tre anni di servizio, maggiorata del 12%
Fatti di causa
1. A.G., iscritta al Fondo di previdenza per gli addetti al servizio di telefonia nel periodo dal 1° giugno 1958 al 30 giugno 1973, data in cui cessava dal servizio con il possesso dei requisiti contributivi per il diritto a pensione di vecchiaia, ma prima del compimento dell’età pensionabile, al raggiungimento dell’età pensionabile (il 55° anno, il 17 settembre 1993) presentava domanda per la pensione di vecchiaia con decorrenza dal primo giorno del mese successivo al compimento dell’età.
2. L’INPS, nel determinare la retribuzione pensionabile, ha assunto l’importo della retribuzione assoggettata a contribuzione nel corso degli ultimi dodici mesi di servizio (luglio 1972 – 20 giugno 1973) senza procedere alla rivalutazione della retribuzione pensionabile ed ha liquidato la prestazione pensionistica mensile incrementata, negli anni successivi, solo per effetto della perequazione automatica.
3. La domanda per la rivalutazione della retribuzione pensionabile e la ricostituzione della pensione con i criteri di cui all’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 503 del 1992, accolta in primo grado, è stata rigettata dalla Corte d’appello di Roma, con sentenza del 28 novembre 2013, in accoglimento del gravame svolto dall’INPS.
4. La Corte territoriale ha ritenuto il decreto legislativo n. 503 del 1992 inapplicabile alle pensioni liquidate successivamente alla sua entrata in vigore ma riferite a cessazioni dal servizio avvenute anteriormente, in coerenza con il canone generale di non retroattività e in considerazione dell’inoperatività della rivalutazione in riferimento a lungo periodo, in assenza di prestazione lavorativa e di retribuzione, tale da far venire meno la stessa base operativa del computo della rivalutazione.
5. Avverso tale sentenza ricorre A.G. con ricordo affidato ad un articolato motivo, poi ulteriormente illustrato con memoria, cui resiste con controricorso l’INPS.
Ragioni della decisione
6. Con unico motivo, deducendo violazione dell’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 503 del 1992 e dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, la ricorrente censura la ritenuta inapplicabilità della riforma del 1992 in considerazione della data di cessazione del rapporto di lavoro (il 30 giugno 1973). Assume che la Corte di merito avrebbe dovuto valorizzare, per l’applicabilità della disciplina, la data di maturazione del diritto a pensione (il 17 settembre 1993) e che, perfezionato il requisito contributivo per il diritto alla pensione di vecchiaia, ma non anche il requisito anagrafico richiesto al tempo (55 anni per l’accesso alla pensione di vecchiaia), la rivalutazione della retribuzione pensionabile, già introdotta per la pensione AGO (art.11, co. 3, legge n. 297 del 1982) ed estesa, con il d.lgs. n. 503 cit., ai fondi sostitutivi ed esclusivi, in presenza di un intervallo superiore all’anno tra la data dell’ultima contribuzione e la data di decorrenza della pensione, l’ente previdenziale avrebbe dovuto procedere alla rivalutazione della retribuzione pensionabile alla stregua del comma 4 dell’art. 7, disciplina del procedimento di liquidazione della pensione indipendentemente dalla durata e collocazione temporale del periodo contributivo preso a riferimento ai fini della rivalutazione, e applicabile, nella specie, perché successiva al collocamento in pensione. Richiama, inoltre, a suffragio delle argomentazioni difensive, Corte Cost. n. 457 del 1998 e l’affermata applicabilità del citato art. 7, comma 4, ai trattamenti pensionistici venuti a maturazione a partire dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo; sottolinea altresì che si tratta di esplicitazione del più generale principio applicato ogni qual volta la legge abbia migliorato i criteri di calcolo della pensione. Rimarca, infine, la necessaria valorizzazione della data di maturazione del diritto a pensione in virtù della ratio della disposizione, consistente nel preservare nel tempo il valore virtuale della pensione differita, procedendo alla rivalutazione della retribuzione che non fruisce del meccanismo di perequazione automatica, riservato alla sola pensione in atto.
7. Il ricorso è da rigettare.
8. Questa Corte di legittimità ha già chiarito, con sentenza n. 6262 del 2011, che la rivalutazione della retribuzione pensionabile prevista dalla legge n. 297 del 1982 per le pensioni AGO non si applica anche a quelle del Fondo Telefonici, prima del decreto legislativo n. 503 del 1992.
9. Con sentenza n. 457 del 1998 la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità – sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. – della L. 4 dicembre 1956, n. 1450, art. 20, comma 2 (Trattamento di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di telefonia in concessione), come modificata dalla L. 22 ottobre 1973, n. 672, art. 13, comma 1, a norma del quale la base pensionabile, individuata in linea di principio nella retribuzione assoggettata a contributo dell’ultimo anno di servizio, non può essere superiore alla media delle retribuzioni assoggettate a contributo degli ultimi tre anni di servizio, maggiorata del 12 per cento, ritenendo non violato il canone di ragionevolezza fra il sistema dell’assicurazione generale obbligatoria (per cui, a partire dalla legge n. 297 del 1982, vige un principio di rivalutazione delle basi retributive, relative ad anni precedenti l’ultimo anteriore a quello di decorrenza della pensione, assunte per il calcolo della pensione medesima) ed il sistema del Fondo dei telefonici, ove questo principio non era previsto.
10. Come rilevato dal Giudice delle leggi, i sistemi previdenziali speciali sono caratterizzati da peculiarità che li differenziano dal sistema dell’assicurazione generale obbligatoria, spesso per aspetti che si traducono in vantaggi maggiori per gli assicurati, e sono connotati, essenzialmente, dall’autofinanziamento delle rispettive gestioni in una visione di mutualità di gruppo o categoriale, mentre il regime ordinario generale è contraddistinto dal criterio della solidarietà sociale e dall’apporto finanziario dello Stato.
11. Del resto, la Corte costituzionale ha ritenuto improprio un raffronto che estrapoli, isolatamente, singoli elementi dei regimi previdenziali complessivi, quale il sistema di calcolo della base pensionabile ed infondata la pretesa di ricondurre ad eguaglianza di disciplina un singolo elemento del sistema, al di fuori di una sua considerazione complessiva.
12. Questa Corte di legittimità già con la sentenza n. 11836 del 2002 aveva riconosciuto che nell’attuale sistema previdenziale, caratterizzato da una pluralità di regimi speciali, non è prevista una disciplina previdenziale unica applicabile a tutti e derogabile soltanto in melius in relazione a singole disposizioni ricavabili dalle rispettive discipline speciali. Aveva quindi escluso che perciò solo si potesse dubitare della legittimità costituzionale di tale sistema, atteso che la disparità di trattamento tra coloro che sono soggetti al regime generale ordinario di assicurazione e coloro che sono soggetti a sistemi previdenziali speciali trova giustificazione sia per le peculiarità che connotano i rapporti di lavoro delle varie categorie sia per la spiccata diversità sussistente tra i regimi speciali (collegati all’entità dei contributi versati) e il regime ordinario generale (contraddistinto, tra l’altro, dal criterio di solidarietà, dall’apporto finanziario dello Stato, dall’esistenza di pensioni minime, sociali, ecc.). Per l’effetto, i regimi previdenziali speciali (caratterizzati da peculiarità che li differenziano dal sistema previdenziale generale ordinario spesso per aspetti che si traducono in maggiori vantaggi per l’assicurato) vanno considerati nel loro complesso, senza che sia possibile una parificazione al sistema generale limitata ad alcune previsioni (cfr. Cass. n. 11836 del 2002 cit. alla quale ha dato continuità Cass. n. 6262 del 2011 cit.).
13. Ed ancora Cass. n. 6262 del 2011 ha ritenuto non sperimentabile l’applicazione della disciplina AGO in considerazione del rinvio, peraltro generalizzato, alla normativa AGO fatto dall’art. 37 della legge sul Fondo risalente al 1956 e rilevato l’incongruità del riferimento alla legge del 1982, emanata quasi trent’anni dopo, dal momento che l’equilibrio economico del Fondo sarebbe stato pregiudicato dall’applicazione di una legge futura, sconosciuta e avulsa dalla specificità della gestione.
14. Con il decreto legislativo n. 503 del 1992, art. 7, comma 4, è stata sancita l’applicabilità della rivalutazione anche alle forme di previdenza sostitutive, quale era il Fondo telefonici, senza operare tra le predette forme alcuna distinzione, a dimostrazione che anteriormente detta rivalutazione non era applicabile perché altrimenti la medesima non avrebbe avuto ragione di essere emanata, come affermato da Cass. n. 6262 del 2011 cit.
15. Il regime transitorio fissato dall’art. 13 del medesimo decreto legislativo («norma transitoria per il calcolo delle pensioni») stabilisce che l’importo della pensione relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 10 gennaio 1993 deve essere calcolato secondo il regime precedente.
16. La disposizione recita: «Per i lavoratori dipendenti iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti ed alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, e per i lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali amministrative dall’INPS, l’importo della pensione è determinato dalla somma: a) della quota di pensione corrispondente all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1 gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile; b) della quota di pensione corrispondente all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1 gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente decreto».
17. La disciplina transitoria conferma, come già affermato da Cass. n. 9033 del 2017, l’applicabilità della normativa antecedente alla riforma, in via transitoria, per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile, anche per chi, non essendo ancora in servizio, avesse maturato la contribuzione utile sotto il vigore della precedente normativa (cfr. Cass. n. 9033 del 2017 cit. ed ivi il rilievo secondo cui risulterebbe privo di senso applicare tale disposizione solo pro quota per chi dopo la riforma avesse continuato a versare ulteriore contribuzione e non applicarla, invece, a chi avesse diritto ad un unico importo di pensione, perché maturato esclusivamente secondo la contribuzione versata in precedenza).
18. Il rilievo attribuito dalla disposizione transitoria alla contribuzione utile sotto il vigore della disciplina antecedente alla riforma conferma che la contribuzione che si pretende di rivalutare risalente ad epoca antecedente all’entrata in vigore della riforma (nella specie al 1973) si colloca nella cornice normativa ante riforma, a nulla rilevando che il diritto a pensione sia maturato successivamente (come, nella specie, al raggiungimento del requisito anagrafico).
19. Inoltre, per la prima applicazione delle disposizioni e per le pensioni da liquidare a decorrere da 1° gennaio 1993, il comma 3 dell’articolo 7 prevede, per chi possa vantare solo periodi contributivi infradecennali, l’incremento del cinquanta per cento dei mesi intercorrenti tra la data di decorrenza della pensione (per pensioni da liquidare a decorrere dal 1° gennaio 1993), al fine di consentire il raggiungimento del periodo massimo decennale e parla di «mesi intercorrenti» tra il periodo infradecennale di contribuzione e la decorrenza della pensione, a significare che il periodo massimo decennale deve essere antecedente alla decorrenza della pensione (come già ribadito nel co. 2, art. 7 cit.), inteso esclusivamente come periodo riferito alla sommatoria degli anni solari nel decennio antecedente la decorrenza della pensione e non a qualsiasi periodo contributivo, pur decennale, ma non antecedente alla decorrenza della pensione.
20. L’argomento difensivo svolto dalla ricorrente, secondo la quale non rileverebbero durata e collocazione temporale del periodo contributivo preso a riferimento, ma esclusivamente l’epoca di maturazione del diritto a pensione, trova ulteriore smentita dall’evidente assenza di retribuzione in assenza di prestazione lavorativa in un periodo ventennale che rende impossibile l’adozione del parametro normativo fissato per il computo della rivalutazione e consistente nell’aumento di un punto percentuale per ogni anno solare da prendere in considerazione ai fini del computo delle retribuzioni pensionabili «in misura corrispondente alla variazione dell’indice annuo del prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati, calcolato dall’ISTAT, tra l’anno solare cui le retribuzioni si riferiscono e quello precedente la decorrenza del trattamento pensionistico» (art.7, co.4, d.lgs. n.503 del 1992 cit.).
21. In definitiva, la sentenza impugnata, che si è conformata ai predetti principi, è immune da censure.
22. Segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo.
23. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n.115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
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