CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 febbraio 2019, n. 5575
Tributi – Accertamento – Dichiarazioni reddituali – Agevolazioni fiscali – Associazione – Attività commerciale
Fatti di causa
1. E.Z., in proprio e in quanto “già” legale rappresentante dell’Associazione S.D., ricorre, sulla base di due motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, per la cassazione della sentenza della CTR del Veneto, indicata in epigrafe, che – in controversia avente ad oggetto, da un lato, l’impugnazione di un avviso di accertamento che rettificava, ai fini IRES, IRAP, IVA, la dichiarazione per l’annualità 2006, e, dall’altro, l’impugnazione di un atto di contestazione al sostituto d’imposta, per omesse ritenute alla fonte, nell’annualità 2005, quali atti impositivi scaturiti da un controllo fiscale eseguito dalla Guardia di Finanza di Rovigo, da cui era risultato che l’ente costituitosi come Associazione di promozione sociale, culturale e ricreativa, svolgeva, in realtà, attività commerciale di night club o locale pubblico di lap dance, rivolta a “clienti” e non a “soci” e che, pertanto, non poteva fruire delle agevolazioni fiscali previste dall’art. 148, TUIR – ha rigettato l’appello dell’Associazione, confermando la sentenza n. 53/2013 della CTP di Rovigo.
La CTR, in particolare, ha ritenuto che l’Ufficio avesse provato la fondatezza delle pretese fiscali in quanto: il PVC redatto al termine del controllo fiscale era stato consegnato al legale rappresentante dell’Associazione, che lo aveva sottoscritto; l’avviso di accertamento era corroborato non solo dalle dichiarazioni dei “soci”, ma anche dalla documentazione sequestrata e dalle dichiarazioni del legale rappresentante, che dimostravano inequivocabilmente che l’Associazione svolgeva attività commerciale; i bordereaux (sui quali erano annotate le voci in “uscita”) costituivano elemento presuntivo dei pagamenti a favore del personale del night, non contraddetto da circostanze di segno opposto, che sarebbe stato onere della contribuente addurre, ragione per cui era corretta la sanzione, a carico dell’Associazione, nella qualità di sostituto d’imposta del personale dipendente, per il mancato versamento delle ritenute alla fonte; mancava la prova dell’effettiva chiusura del locale, dal 9/01/2006 al 17/04/2006, in ottemperanza dell’ordinanza del Comune di Rovigo; l’Associazione non aveva dimostrato di avere sostenuto i costi di cui, in fase amministrativa, aveva chiesto il riconoscimento; lo stesso Z. aveva dichiarato agli accertatori di avere venduto i mobili del locale, sicché il ricavo che ne aveva tratto era stato legittimamente ripreso a tassazione.
Parte ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
a. Preliminarmente, si appalesa inammissibile l’istanza dell’Agenzia di “declaratoria d’inammissibilità dell’appello riferito all’originario ricorso RGR n. 69/12” (cfr. pag. 23 del controricorso), concernente l’impugnativa dell’atto di contestazione per omesse ritenute, fondata sulla circostanza che la controparte non aveva censurato, in alcun modo, il relativo capo della pronuncia di primo grado e si era limitata a richiamare le argomentazioni svolte davanti alla CTP.
Al riguardo, si rileva, da un canto, che, come si evince dal tenore del controricorso (pagg. 2, 23), la parte contribuente aveva interposto appello anche avverso il capo della sentenza di primo grado che aveva rigettato l’impugnazione dell’atto di contestazione al sostituto d’imposta.
D’altro canto, l’Agenzia ha omesso di proporre ricorso incidentale condizionato con il quale avrebbe dovuto dedurre l’error in procedendo commesso dal giudice d’appello per non avere dichiarato l’inammissibilità in parte qua dell’appello della contribuente.
1. Con il primo motivo di ricorso, denunciando, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, parte ricorrente censura la sentenza della CTR che avrebbe omesso di pronunciarsi: a) “sull’assenza dei questionari asseritamente compilati dai soci della S. D. su richiesta della Guardia di Finanza, e che avrebbero costituito la prova della natura commerciale dell’Associazione.”; b) sulla circostanza che la contribuente, nell’atto d’appello, aveva lamentato che la sentenza di primo grado alludeva ad un accesso dei verificatori presso i locali dell’Ente che, in effetti, non era mai avvenuto; c) con riferimento alla contestazione del mancato versamento delle ritenute, sulla circostanza, dedotta dall’appellante, per la quale le somme indicate (nei bordereaux) come dovute alle ballerine, erano somme ad esse “spettanti”, ma mai “corrisposte”; d) con riferimento alla ricostruzione induttiva della contabilità, (testualmente) “per il periodo non coperto dalla presenza dei bordereau.”, che l’Organo di controllo, gravato del relativo onere probatorio, non aveva dimostrato che l’attività dell’Associazione era proseguita in violazione dell’ordinanza sindacale che ne aveva imposta la chiusura, per il periodo dal 9/01/2006 al 17/04/2006; e) sulla prova decisiva, indicata dalla contribuente, che dimostrava che, diversamente da quanto affermato dalla stessa CTR, Z. aveva dichiarato alla GdF che il mobilio era rimasto all’interno dei locali occupati dalla S. D., a disposizione delle persone che avevano proseguito l’attività con l’Associazione denominata “D.A.”, senza ricevere alcun pagamento.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Per il costante orientamento di questa Corte, riaffermato, di recente, da alcune da alcune pronunce (Cass. 13/01/2017, n. 743; 14/12/2018, n. 32436; 14/12/2018, n. 32437): «Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.» (Cass. 22/12/2016, n. 26774; in senso conforme: Cass. sez. un. 21/09/2018, n. 22430). Nel caso in esame, posto che il giudizio d’appello è iniziato nel 2013, le censure sono inammissibili poiché le decisioni dei gradi di merito, entrambe di rigetto (c.d. “doppia conforme”), si fondano sulle medesime ragioni di fatto e, del resto, parte ricorrente non ha nemmeno sostenuto il contrario, se non in modo del tutto generico con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
2. Con il secondo motivo, denunciando “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.”, parte ricorrente censura la decisione della CTR che, con riferimento alla mancata detrazione dei costi sostenuti dall’Associazione, avrebbe violato l’art. 109, TUIR, “alla luce della limpida ed esaustiva interpretazione data dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale con le sentenze sopra richiamate al punto 4) pag. 21, 22 e 23. Comunque si richiama quanto precisato alle pagine 21, 22 e 23 del presente ricorso.” (cfr. pag. 22 del ricorso per cassazione).
2.1. Il motivo è inammissibile.
Costituisce ius receptum che, nel ricorso per cassazione, il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione. (Cass. 26/06/2013, n. 16038; in senso conforme: Cass. 15/01/2015, n. 635; 28/02/2012, n. 3010).
Nel caso di specie, la doglianza non è intelligibile, si appalesa appena abbozzata, generica, e non indica sotto quale profilo la sentenza della CTR si porrebbe in contrasto coll’art. 109 TUIR e, perciò, avrebbe dovuto essere diversa.
Del resto, anche il richiamo, nella narrativa del “motivo”, al contenuto delle “pagine 21, 22, 23” del ricorso per cassazione, appare non conferente in quanto: pagina 21, nell’incipit, illustra il vizio di motivazione, in relazione alla cessione dei mobilio (par. 1, lett. e) e si chiude con la trattazione del secondo motivo di ricorso; pagina 22 inizia coll’esposizione dello stesso motivo e termina con le conclusioni del ricorso; pagina 23 riporta i numeri da 3 a 6 dell’elenco dei documenti prodotti, la data e le sottoscrizioni dei difensori.
3. Ne consegue che il ricorso è inammissibile.
4. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
5. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.